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Il parcheggio sotterraneo

Il parcheggio sotterraneo

Publié le 15 juil. 2024 Mis à jour le 2 août 2024 Horreur
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Il parcheggio sotterraneo

Il buio

I miei passi rimbombano nell’oscurità del grande e freddo cubo di cemento. Una piccola lampada appuntata sul mio elmetto mi permette di vedere a pochi metri davanti a me, ma la struttura sembra così enorme che la luce non riesce a colpire nessun muro. Solo delle colonne in cemento strette ognuna da una barra giallo-fosforescente mi permettono di capire che mi sto davvero muovendo e non sono pazzo. I miei passi rimbombano. Tac, tac, tac, la quiete ritmica del rumore dei miei scarponi che scricchiolano sul cemento mentre avanzo verso l’oscurità è tremenda, e una piccola eco rimbomba ad ogni mio movimento, ad ogni sobbalzo della fondina. Le munizioni sbattono tra loro con dei clang ferrosi. Non mi ricordo nemmeno come ci sono finito qui dentro, a decine di metri sotto terra, e non ha alcuna importanza. Un inseguimento, un'auto che fugge e rompe il cancello di un imponente edificio, la mia volante che scivola su una macchia d’olio e sbatte contro una di queste colonne, ribaltandosi. Le luci dell’altra auto che si allontano, e poi buio. Stringo l’acciaio della pistola così forte che ormai mi fanno male le mani, e l’impugnatura è diventata calda. La mia auto, sventolata dalla colonna come un leggero foglio di carta, si è capovolta contro l’accesso alla rampa di discesa, bloccando il ritorno alla superficie. Rompendo il cruscotto sono riuscito ad uscire, illeso, e mi sono ritrovato in questo posto. La radio, il telefono, nulla prende sotto tutto questo cemento. L'aria non è calda ma è densa, è come respirare polvere pura. Il mio respiro è l’unico altro rumore che si percepisce, e la scia di pneumatici cotti, benzina bruciata e freni roventi mi indica la direzione presa dall’altra auto. Non la sto cercando più come poliziotto, ma come umano. Questo posto è terrificante, ora che l’adrenalina dell’inseguimento se n’è andata, ora che sono solo e sono esposto, ho paura. Voglio trovare quei delinquenti per sapere che non sono solo qui sotto.  Anche se forse loro non saranno felici di vedermi. Una sensazione antica dentro di me, arcaica e mai provata prima, mi dice di andare via. Girando la testa alla ricerca di qualsiasi cosa, noto un piccolo riflesso lontano. Facendo oscillare la luce sul casco con brevi movimenti della testa, verso una spalla e poi verso l’altra, vedo che il riflesso si ripete. C'è qualcosa, mi dico. Avanzo lentamente, più silenziosamente possibile. Il giubbotto antiproiettile è un pesante amico in questo momento. Tendo le braccia e punto la mia pistola nera verso il riflesso. Un passo. Un altro passo. Piano piano mi avvicino, attento, all’erta. Le gambe stanche, quasi tremano. Eccola, la forma cubica si presenta di fronte a me, un manufatto. Una stanzina con le pareti di cemento mozzate da una lunga finestra di vetro. Ed una porta di ferro. Sembra abbandonata da anni. Continuino a muovermi lentamente, passo dopo passo, cercando di avvicinarmi alle finestre di vetro impolverate. Sbirciando da fuori vedo come tutto sia in gran confusione, fogli e cartelle sono sparse per tutta la scrivania, coprendo bottoni di ogni forma e colore, e delle sedie giacciono a terra sbaragliate. Lentamente, sempre fissando quella confusione, la mia mano destra abbandona la pistola e si appronta a posarsi sulla maniglia fredda e rugginosa, per aprire la porta di ferro. A un mio movimento deciso, la maniglia si abbassa ponendo una certa resistenza ferrosa al mio movimento. Un boato improvviso mi distrae e mi abbasso sulle ginocchia, sempre tenendo la maniglia. Un rumore fortissimo esplode ad una distanza indefinita verso dove l’altra auto era fuggita, e io vengo colpito da una successione di onde di eco. Con faccia allibita e terrorizzata mollo la maniglia che scatta in posizione, senza accorgermi della terribile figura ombrosa ed irrazionale che si erge in piedi dentro al cubicolo disordinato, giusto oltre quella porta. Una figura sorridente, in piedi, con le mani pese lungo i fianchi. Ignaro, mi accingo ad investigare l’origine di quel tuono di cemento.  

Il rumore alla fine del tunnel era molto simile al boato che ha fatto la mia auto sbattendo e ribaltandosi, ma l’eco sembrava correre verso di me, sembrava voler fuggire verso la superficie. Non so perché. Vedo in lontananza, all’interno del profondo muro di oscurità, una vibrazione. Una vibrazione gialla, che si ripete a brevi intervalli regolari. Mi ricorda tanto le luci intermittenti dei mezzi speciali, che girano per le strade di notte evitando i problemi del traffico diurno. Provo una sensazione fortemente sgradevole, ancora una volta un sentimento arcaico e primordiale che mi dice che qualcosa attorno a me mi è ostile, anche se non vedo niente. Mi dirigo a passi veloci verso quella che penso, e spero, sia l’origine del boato. Più mi avvicino e più l’oscurità si fa meno densa. Eccola, finalmente, la luce gialla e intermittente. Perpendicolare alla direzione in cui mi sto muovendo, compare anche una forte luce bianca che illumina una lunga serie di colonne. Si tratta dell’auto che stavo inseguendo, l’auto dei banditi che stavo cercando così affannosamente. Due ruote sono bucate, e questo la rende lievemente inclinata su un lato. Avvicinandomi vedo che la luce intermittente è uno degli indicatori di direzione posti sul retro, l’unico funzionante mentre tutti gli altri sono fuori uso. Quando i miei occhi si sono finalmente abituati a questa luce improvvisa ma tanto desiderata, noto come qualcosa sui finestrini. Un qualcosa di strano, che reagisce alla mia torcia con un luccichio. Un piccolo frammento di vetro coperto di sangue. Butto l’occhio all’interno dell'abitacolo in cerca di feriti, ma non c’è nessuno. Tutto quello che rimane dei finestrini è quel piccolo frammento di vetro coperto di sangue. Niente schegge, niente benzina o olio percolati sotto il motore, niente segni di incidente sui paraurti. Come se qualcuno avesse bucato ed abbandonato li volontariamente quella vettura rossa. Ma chi erano quelle persone, perché sono scappate qui sotto? Perché le ho inseguite senza chiedere rinforzi o informare rispetto alla mia direzione? Perché non sono andato piano qui dentro, alla fine non li ho presi comunque tanto valeva andare piano e tornare a casa. Ma chi erano quelle persone?  

Perso nei meandri dei miei sensi di colpa e dei miei avrei dovuto, mi continuo a distrarre per qualche istante ancora dalla cruda realtà e con faccia trista fisso il vuoto oscuro davanti a me, illuminato ritmicamente di giallo. Tac. Tac. Tac. Guardare questo luccichio intermittente mi rilassa, mi ipnotizza. La luce gialla colpisce lo spazio tra due colonne, illuminandole lievemente. Una testa, una figura illuminata di giallo. Poi più niente. Sussulto dal terrore. Avrei giurato di aver visto qualcosa lì, proprio lì illuminato dalla luce. Una figura è comparsa e scomparsa. Una figura scura, umana, in piedi. Le mie dita si serrano sulla pistola, che sembra doversi rompere da un momento all’altro sotto l’enorme forza della presa del terrore. Mi guardo intorno, nessun movimento. Nulla oltre l’oscurità. Trattengo il fiato, cercando di ascoltare ogni singolo rumore. Ma si sente solo il ticchettio della freccia. Maledetta freccia e maledetto ticchettio, non si sente nulla mi dico. Un Tac rimbomba lieve. Ho sentito qualcosa. Ho sentito qualcosa proveniente dall’oscurità. Era qualcosa ho sentito un rumore, deve esserci qualcosa lì. Tac. Lo ho sentito ancora. C'è qualcosa lì. Punto la mia pistola nella direzione da cui penso sia provenuto il suono, in cui sono abbastanza sicuro ci sia qualcosa. Improvvisamente i rumori si fanno frenetici. Tac tac tac tac tac Qualcosa mi sta correndo addosso! Dall'oscurità compare una figura terribile, mostruosa, antropomorfa. Grida e ringhi incomprensibili si succedono in breve sequenza, anzi all’unisono. Terrore! il mio copro non risponde. Quello salta con le mani allungate verso di me, mi assale! Io non riesco a fare nulla se non a serrare i denti e chiudere gli occhi. Abbasso lievemente le spalle e spero che scompaia via, tornando da dov’è venuto. In un istante, mi passa sopra. Sento una puzza nauseabonda ed irrespirabile, sopra di me. Un gran frastuono di vetri e lamiera dietro di me, contro l’auto. Non so cosa sia successo. Mi ha mancato. Non me lo faccio ripetere due volte. Il terrore che prima teneva fermi ogni mia fibra muscolare, ora mi costringe a correre. Corro verso il cubicolo a perdifiato. Stupida luce che non illumina niente non servi a niente. Corro senza guardarmi indietro, non ascolto e non penso a nulla. Tengo la pistola con una mano mentre agito l’altra nel vuoto cercando di afferrarlo ed usarlo per spingermi sempre un pò più avanti, sempre un pò più veloce. Porta. Porta, dov’è la porta? Devo entrare. Devo chiudermi dentro e sbarrare tutto fuori. Eccolo, finalmente, poco lontano da me, vedo il cubicolo. Eccola la porta. Correre e aprire, non c’è altro nella mia testa. Dietro di me, grida e rumore di passi velocissimi. Aiuto. Aiuto. Qualcuno mi aiuti. Come fa a correre così veloce? Bastardo! Lo spazio che mi separa da quella costruzione in cemento sembra essere sempre troppo grande. Sento dietro di me che la bestia mi afferra, si aggrappa ai miei vestiti. Sento le dita che mi stringono e mi graffiano la schiena. Corro più veloce che posso. Finalmente sono quasi arrivato alla porta, ma i passi dietro di me si fanno sempre più vicini, sempre più veloci. Molto più veloci dei miei. Non riesco a correre più veloce, e per un istante mi viene da piangere. La mia mano afferra la maniglia quasi volesse stritolarla, facendola scendere immediatamente. La porta si spalanca e la richiudo con un botto. Qualcosa penzola dalla serratura, una chiave con un portachiavi a forma di soldatino dello schiaccianoci. La giro, due mandate, due rumori metallici e si blocca. Poi un forte colpo contro il ferro. Ho chiuso appena in tempo. Mi giro e do le spalle alla porta. La mia lucina illumina qualcosa di abominevole. In piedi. Davanti a me. Che sorride.  

Due lampi illuminano le pertinenze del cubicolo, rompendo l’oscurità del parcheggio sotterraneo. Un tonfo sordo. E poi più nulla.  

Ansimando, sfinito, a terra, con la pistola in mano, mi scanso quell'ammasso disgustoso di dosso e lo faccio rotolare a terra, sopra le scartoffie abbandonate. La mia pistola ancora fuma dalla canna lievemente, mentre io fisso esterrefatto quella cosa. Illuminata dalla lucina, sembra di carne. Un corpo. Un essere vivente. Ancora seduto, lo spingo col piede e questo sobbalza e si ferma. Non succede più nulla. Mi è necessario ansimare, ho fame d’aria, ma la puzza è insopportabile qui dentro. Porca miseria. Riconosco qualcosa che copre quella cosa. Mi alzo in piedi e mi poso sulle scrivanie, sul quadro comandi in plastica e ferro. Trovo una piccola lampada da tavolo posta sopra la scrivania, di tipo vecchio. La accendo coprendomi la faccia con la manica cerco qualcosa di utile sul quel vecchio quadro comandi. Un interruttore bello grosso al centro di una delle tastiere porta un cartellino: “luci”. Alzo l’interruttore. Un sonoro schiocco si ripete avvicinandosi verso di me, mi supera e si allontana. Dopo un intervallo di una decina di secondi ecco che Toc. Toc. Toc. le varie lampade alogene sul soffitto del garage si illuminano in sequenza. Vedo distintamente l’auto rossa ancora accesa, e sento dei pesanti passi che fuggono da qualche parte.  

La figura, a terra, rimane immobile. Con la luce si vede chiaramente. Ha una forma umanoide, è vestito da addetto alla sicurezza. Sembra proprio umano, mi dico. Con il piede lo giro ancora, su sé stesso. Un uomo con la faccia frantumata. La bocca aperta mostra denti rotti e marci. La camicia completamente coperta di sangue. Non importa. Non importa. Fuori della cabinetta non c’è più nessuno. Frugo nei vari scaffali e nei vari cassetti. Solo cartacce illeggibili, un mazzo di chiavi e un volantino in cui una famiglia abbraccia un cane. Tutta robaccia. Le chiavi me le porto dietro. Mi avvicino alla porta, giro due mandate e faccio scattare la maniglia. Si apre scricchiolando. Mi prendo anche l’altra chiave e lascio la porta chiusa dietro di me. Respirare quell’aria densa e polverosa mi sembra un regalo adesso, e tra colpi di tosse cerco di riprendere fiato, respirando quella polverosa mistura d’aria. 
Con passi decisi mi dirigo verso la macchina rossa e oltre.   

Mezz'ora prima 

Seduto in auto, parcheggiata all’ombra di un grosso edificio, aspetto in silenzio che accada qualcosa. Mancano ancora 6 ore alla fine del mio turno di pattuglia. Il mio partner, Robert, non si è fatto vivo oggi. Non importa. Mentre passo il tempo a mangiare delle ciambelline glassate industriali e bere acqua calda sporca che al bar hanno chiamato “caffè”, ma che è in realtà un brodo di polveri, vedo dei movimenti sospetti. Davanti a me, nella caffetteria che mi ha appena truffato per 2,50$, una donna esce gridando qualcosa di incomprensibile e lancia una tazza di carta contro la vetrina. Una macchia marrone esplode. “Devono aver truffato anche lei” mi dico ad alta voce. Allungo la mano sulla ghiera dei comandi e accendo i lampeggianti e un breve scatto della sirena. La donna atterrita si accorge di me si allontana di corsa. “Un altro eccitante mistero risolto da me”. Mentre fisso la strana opacità di una ciambellina rosa macchiata da strisce di cioccolato, la radio, fino a quel momento silenziosa, impazzisce. Un fracasso, un rumore grigio e poi una voce di donna dà comunicazione: P-Co, un auto color rosso è stata vista fuggire dall’ospedale militare verso nord, rubato materiale secretato. Identificare ed arrestare con ogni mezzo disponibile. Ordini di ingaggio: fuoco di risposta. Distrattamente lancio la ciambellina fuori dal finestrino. Dopo un istante mi rendo conto di cosa ho appena fatto e affranto da quella perdita mi allaccio la cintura e mi appresto a partire. “Dovrebbero essere qua in giro” mi dico mentre procedo lentamente, tra gli incroci. Dopo aver percorso neanche 200m svolto a destra e mi fermo in coda ad un semaforo. Una vecchina lungo il marciapiede fa passeggiare due cagnetti. La città è completamente intrisa di suoni, rumori, fino al midollo. Non c’è un momento in cui ci sia completo e totale silenzio. C'è sempre un clacson, o una sirena, o qualcuno che grida, o un condizionatore, o un frigo morente. C'è sempre qualcosa che fa casino. E proprio mentre penso a questo casino che mi circonda, abbasso il finestrino. Mi sembra di sentire qualcosa, in tutto quel casino. Oltre le auto in attesa del verde, oltre i muri spessi dei palazzi e i loro tetti piatti, oltre i bus che si fermano e fanno scendere e salire le persone. Un rumore richiama la mia attenzione. Tendo l’orecchio sporgendomi leggermente fuori dal finestrino. Improvvisamente capisco. Si fa sentire un suono al quale sono estremamente abituato. Una sirena. Finalmente è verde, e le auto cominciano a muoversi impacchettate le une sulle altre, come legate da una catena. Dal nulla compare un'auto rossa che attraversa l’incrocio a tutta velocità. Sfreccia come una macchia improvvisa e scompare oltre le case. Accendo luci e sirena e cerco di farmi strada tra i veicoli quasi fermi. La sirena si fa sempre più forte, più vicina. Un lampo blu è seguito da un'esplosione e una breve e bassa pioggia nera. Detriti plastici finiscono sul mio cofano. Prendo subito il trasmettitore: “P-Co da 652 incidente tra la Maynard e Summer street, una volante e un'auto civile, inviare subito ambulanza. Inseguo auto in fuga”. Senza aspettare una risposta, sfilo tra le auto creandomi un varco e mi affretto all’inseguimento. Non penso di aver ancora molte possibilità di prenderla, ha troppo vantaggio ed è complicato sbrigliarsi nel traffico. Non riesco neanche a mettere in terza per la calca che c’è. Ho paura di perderla. I passanti mi fanno tutti cenno verso la stessa direzione, e io la seguo. Fiuto a naso che verso dove la gente guarda stizzita, sorpresa o spaventata deve essere la direzione in cui si muove l’auto. Un paio di chilometri così e vedo che è incastrata nel traffico, tra due file di auto ferme e altre auto provenienti con continuità dalla corsia opposta. Non posso fare nient’altro se non bloccare il flusso di auto nella carreggiata opposta, in modo da bloccarli all’interno di quel labirinto di lattine, per poi muovermi a piedi. La gente è incazzata e sbraita mostrandomi il pugno fuori dal finestrino. Non importa. Sono lì, poco avanti a me, a portata. Questi mi vedono, uno grida e parte una pistolata che si infrange in una delle auto ferme. Nasce il caos. La strada ordinata di veicoli diventa un rodeo di sopravvivenza, non ci sono più regole. Tutti tornano indietro, vanno avanti, saltano sul marciapiede, cercano di investirmi. Corro più velocemente possibile verso l’auto e entro saltando dentro al finestrino. Il traffico sta scomparendo e l’auto rossa riesce a trovare dei piccoli spazi per drsi alla fuga, di nuovo. “Cazzo, merda merda, c’ero quasi. Erano lì merda!”. Riaccendo la sirena e mi lancio nuovamente al loro inseguimento. Si dirigono a tutta velocità verso la periferia. Vanno piano, si sono persi. “Stavolta vi fotto a tutti e due”. Ora è personale. Prendo velocità per speronare la loro auto. Loro mi vedono e sbroccano. Con un forte stridio di pneumatici sull’asfalto l’auto rossa prende il volo, sbanda, si schianta contro un cancello e irrompe in un edificio. Senza pensarci due volte, gli vado dietro. La loro auto scompare nel buio del grande garage prendendo la strada di uscita in contro mano. Le luci blu dei miei lampeggianti scompaiono subito dopo tuffandosi nel buio. 

Ancora qui 

 “Spero di non rivederne altri, che quell’altro abbia imparato con chi ha a che fare” mi dico lasciandomi alle spalle il ticchettio giallo, che diventa più fioco ad ogni passo man mano che avanzo sotto le luci verdastre. Attento ad ogni rumore strano, ad ogni eco che non risponda al rumore dei miei passi. Ho molta paura. Ho paura che sbuchi fuori nuovamente una di quelle bestie e che mi uccida. Ho paura che mi salti addosso e mi stringa con quelle luride dita e ho paura che mi strappi la faccia a morsi. Non voglio morire a questo modo, non me lo merito. Io sono una brava persona, e per nulla al mondo lascerò che mi uccidano così. La canna della pistola ha smesso di sibilare ormai da qualche minuto mentre io avanzo. Le luci poco oltre l’auto rossa sono tutte spente. Di nuovo il buio. Di nuovo devo immergermi nel buio e andare avanti. Non importa, bisogna farlo, bisogna provare a uscire da questo buco schifoso. In lontananza, vedo un qualcosa. Un riflesso. Un altro riflesso maledetto. Non posso fare nient’altro se non andare avanti. Ecco il riflesso, ad ogni passo sempre più definito e luminoso. È una piccola lucina verde, molto debole. Avvicinandomi vedo come stia fluttuando immersa nel buio, a un paio di metri da terra. È una luce di emergenza posta al di sopra di una porta. Una porta, finalmente, l’uscita. Contento di poter finalmente uscire, mi distraggo e mi avvento a grandi passi verso quella luce verde. Finalmente. La maniglia della porta inizialmente non vuole collaborare, ma non ci vuole molto per convincerla. Ecco, finalmente, ecco che cede. Ecco che la porta si apre. Uno stanzino polveroso e buio. Subito chiudo la porta dietro di me. La mia piccola lucina illumina una scalinata di ferro arrugginito che corre dal basso verso l’alto. Sembra scendere giù all’infinito. Senza pensarci due volte mi metto a salire i gradini, a due a due, immerso nel più completo buio. Il rumore degli scarponi che sbatte sulle griglie di ferro mi rende euforico. Bam bam bam, salgo felice come un bambino. Bam bam bam. Al secondo piano comincio a rallentare perchè la polvere mi dà fastidio, è difficile respirare, mi impasta la bocca. Ma continuo, non sarà di certo un pò di polvere a fermarmi adesso. Mi fermo, col fiatone, affamato d’aria. Mi copro la bocca con la manica della camicia, e poi con il colletto, provando in tutti i modi a trovare una soluzione. Bam bam bam. Gelo. Un brivido mi attraversa la schiena e mi lascia esterrefatto. Bam bam bam. Sta arrivando. Di nuovo. Sta salendo anche lui le scale. Mi sta inseguendo. Parto. Corro. Mi lancio gradino sopra gradino, usando il corrimano come rampa per spingermi con le mani. Non mi fermo più. Bam bam bam. Sentendomi ripartire il bastardo si è rianimato, e sta correndo più veloce che può. Sta correndo a perdifiato per prendermi. Io corro verso l’alto. Una rampa di scale dopo l’altra, non mi fermo. Il terrore che mi infonde sentire la presenza di quella cosa dietro di me. Me la sento come appesa al colletto, come se mi stesse sfiorando la schiena con le dita mostruose. Corro e basta, stanco morto e arrabbiato. Perché non mi lasci in pace? Corro. E mi fermo. Quasi sbatto contro il corrimano in ferro e cado sulle scale di sotto. Sono finite le scale. Il rombo dei gradini in ferro continua a perseguitarmi, e io sono terrorizzato. Cosa faccio? Mi trovo in cima alle scale, nel buio più totale, e ci sono solo muri. Non c’è nulla. Impossibile che esiste gente così stupida da fare scale che portano al nulla. Fanculo agli architetti. Impossibile mi dico. Comincio a tastare i muri, alla ricerca di qualcosa nel buio. Sento una leggera linea scavata nel muro, dritta e verticale. La seguo tastando con le dita e sento dei cosetti in ferro, dei cilindri verticali. C'è una porta seminascosta nel muro davanti a me, questa è la cornice e questi sono i cardini. Ma la maniglia non c’è. Che cazzo mi invento adesso? Allungo le mani tra la polvere che fluttua davanti alla mia pila. Lascio cadere la pistola e provo a cercare qualsiasi cosa sulla superficie fredda della porta, con entrambe le mani. La disperazione ha preso il posto della ragione, e non riesco più a pensare a nulla. Bam bam bam. I passi si fanno sempre più vicini. Con una mano tasto il muro gelido e con l’altra cerco la pistola a terra “ma perché l’ho mollata, deficiente!”, ma non trovo nulla né di qua né di là. I passi sul ferro ora diventano veri e propri colpi, calci e pedate impartite alla scalinata da una bestia tremenda. Che vuole darle anche a me. Ecco che con le dita della mano destra sfioro qualcosa sul muro. Un buchino. Un buchetto verticale, grande poco meno di un polpastrello. È una serratura. Subito ci infilo le unghie per cercare di aprire quella merda. Che non ne vuole sapere di aprirsi. Intanto i colpi stanno raggiungendo l’ultimo piano di scale. Mi viene in mente il mazzo di chiavi che ho in tasca. O mi va bene questa o mi tocca morire. Ci trovo una vecchia chiave tozza, che sembra della misura giusta per incastrarsi dentro al buco della serratura. Bam bam bam. Cerco di infilare la chiave senza piangere. Questa entra e subito giro due mandate mentre con tutto il peso spingo contro la porta. Bam bam bam. È dietro di me. Sta salendo gli ultimi gradini e sta per prendermi. Giro la chiave nella porta ma sembra essersi incastrata. Quella porta di merda, stupidi architetti! Apriti! Ma questa non si smuove neanche. “Ma come? Non è giusto!”. La bestia dietro di me è arrivata sul pianerottolo e dopo essersela presa comoda qualche istante mi corre addosso. Sento che ansima folle e che puzza disgustosamente. Terribilmente. L'aria diventa irrespirabile e la polvere rende il tutto pensate. Come respirare cenere. Giro la testa mentre con tutto il corpo continuo a spingere la porta, rannicchiato a terra. Mi scendono delle lacrime. “Non è giusto”. La bestia balza in aria e piomba contro di me. Mi salta addosso come volesse rompermi e aprirmi, un tonfo dolorosissimo. Una fortissima luce bianca mi rende cieco. Mi trovo a terra, disteso di schiena sull’erba verde. In cielo, il sole splende fortissimo. Non c’è una nuvola. Sono morto. Così, di colpo. Senza senso. Dovevo stare a casa oggi. Dovevo fare il maestro a scuola, altro che poliziotto. Che stupido che sono. Cerco di alzarmi sulle braccia ma un forte dolore mi fa ricadere a terra. “Il braccio, è tutto storto. Bella merda”. Mi alzo sul gomito del braccio sano, e vedo la porta di ferro spalancata. Erbacce e edera che la coprivano ora penzolano a mezz’aria, e sono sparse per tutto il prato. Una figura nera è stesa a terra a pochi passi dall’uscita. Si sta alzando scomposta, la vedo chiaramente ora. È una figura antropomorfa. Nera. Maciullata. Sporca. Sangue ovunque. Sembra ammaliata dalla luce, distratta. Non importa. Mi lancio in piedi con l’ultimo scatto di adrenalina e salto a piè pari. La colpisco al centro del corpo e la faccio volare attraverso la porta, facendola rovinare contro la scalinata. Subito mi rialzo in piedi e corro a togliere la chiave dalla serratura. Un grido terrificante e disperato anticipa un frettoloso bam bam bam ferroso. Non importa. Tolta la chiave, mi affretto a chiudere la porta. Per un istante la piccola luce illumina la terribile faccia putrefatta della bestia gridante, che mi è quasi addosso un'altra volta. Un grande tonfo. Poi silenzio. La porta si è chiusa. Non ci sono altre serrature all’esterno. Mi accascio a terra, fissando la porta, così sterile e così inutile. Un piccolo segno rettangolare in un muro vecchio. Assolutamente ignorabile. Eppure, ci protegge tutti da questa diavoleria immonda. Guardo il mazzo di chiavi, su ognuna c’è la stessa sigla. Alcune hanno scritto a penna Lab, Mag, Canc. 

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