Stare bene: una guida
On Panodyssey, you can read up to 30 publications per month without being logged in. Enjoy28 articles to discover this month.
To gain unlimited access, log in or create an account by clicking below. It's free!
Log in
Stare bene: una guida
Essere tristi può capitare anche ad una persona che sta bene. Essere davvero tristi, può capitare anche questo. Per un periodo, un paio di giorni, una settimana al massimo. Ma di solito non di più. Inevitabilmente una persona che sta bene e si espone al mondo esterno rischia di provare sentimenti, belli o brutti che siano. Ma quando la tristezza si trasforma in vuoto, quando non c’è nulla che ti possa confortare se non l’alienarti dalla tua realtà distogliendo la tua attenzione da te stesso e dai tuoi problemi, quando non c’è nessuno a prenderti mentre cadi e lo sai, qualcosa dentro di te cambia. Come se qualcosa che hai da sempre dato per scontato non ci sia più, all’improvviso. Non è colpa tua, non lo hai voluto tu, ma non c’è più. C'è qualcosa di diverso in chi perde un pezzo di sé. Essendo animali strettamente sociali, quel pezzo di sé potrebbe benissimo essere anche un aiuto da parte del gruppo, da un genitore, un amico. La mancanza di un piccolo pezzo può far crollare quel castello di carte che è la nostra psiche. Ma il cervello è una macchina perfetta, o almeno ci aspettiamo che lo sia, e prova a tappare le falle, spostando materiale, cambiando gli ingranaggi e attutendo le cadute della psiche come può. La sopravvivenza esige cambiamenti e adattamenti, e il cervello, addestrato da milioni di anni di evoluzione, esegue. Cambiare abitudini, cambiare atteggiamenti, cambiare la nostra palette di sentimenti. Insomma, adattarsi all’ambiente che ci circonda. Noi esseri umani siamo molto bravi ad adattarci, infatti siamo così bravi che troviamo altri esseri umani in quasi ogni ambiente terrestre. In cima all'Everest, in ogni isola negli oceani, in Antartide. Ci mancano solo i vulcani, ma ci stiamo lavorando. Adattarsi. Sopravvivere. Siamo nel 2024 e ci troviamo a sopravvivere come leoni e gazzelle nella savana. Forse potremmo puntare a qualcosa di più della semplice sopravvivenza. Forse potremmo puntare al benessere, magari puntare all’idea di poter essere felici. Sarebbe bello essere felici. Ma come fare? Come si può cambiare una situazione che ci si è incollata addosso e ci appesantisce ogni giorno? Che si lega come catene alle nostre caviglie e ci rallenta, mentre tutti gli altri corrono lungo il sentiero della vita a perdifiato e noi rimaniamo indietro come bambini, felici di poter correre ma al contempo tristi di essere lasciati indietro, mentre guardiamo tutti gli altri allontanarsi da noi dandoci la schiena felici, leggeri. A volte ci fermiamo per prendere fiato, e il distacco aumenta, e lo sappiamo. Vorremmo poter fare di più, correre più forte, ma ci stanchiamo anche di più e il bisogno di prendere fiato aumenta. Ci sentiamo in colpa per essere rimasti indietro mentre tutti gli altri sono ormai fuori portata. Ci sentiamo tristi e sbagliati, pensiamo che ci deve essere qualcosa di sbagliato se siamo arrivati solo fino a qui. Lenti e soli, e nessuno che ci aspetta. Ed è così, siamo lenti, siamo indietro. Ma perché? Perché siamo così pesanti? Perché è legato su di noi un bagaglio così pieno di macigni, che ci rallenta e ci rende difficile superare gli stupidi ostacoli della vita? È un bagaglio fisico o emotivo, che appesantisce il nostro pensiero e la nostra mente, con l’effetto di rallentandoci nella vita reale. Un regalino dell’evoluzione che dovrebbe farci rimanere in vita, ma che non si è adattato alla realtà moderna. Un sistema di allarme che dovrebbe ricordarci il pericolo di una tigre o un leone, ma che ora ci fa ricordare ogni singolo evento imbarazzante o sgradevole della nostra vita, ripresentando immagini di sofferenza passate. Un monito costante a non essere più ciò che siamo stati in un'occasione imbarazzante. O una moviola continua di un evento traumatico. Ma non si può sopravvivere con la testa immersa nel passato, e quindi il cervello ci fa' interiorizzare quella situazione, quel problema. Ci fa digerire nella profondità della nostra mente quell’immagine, che si cicatrizza come un graffio nella nostra memoria, sempre presente ma quasi indistinguibile da tutto il resto. Un piccolo granello di sabbia che incrina la bilancia del nostro bagaglio. Più cresci, più strada devi fare. E se il tuo bagaglio è pesante, gli obbiettivi che gli altri raggiungono con facilità diventano imprese titaniche. E dopo ogni impresa che raggiungi ce n’è sempre una nuova ancora più grande e insormontabile. Quanto bello sarebbe alleggerire almeno un po' questo bagaglio. Essere un pochino più leggeri, anche per fare solo un passo in più del solito. Soprattutto per quelli il cui bagaglio è così grande e pesante, che li schiaccia e basta. Li schiaccia sul divano o nel materasso, un peso mentale che soffoca i loro pensieri. Tutto si trasforma. Tutto può cambiare, piano piano. Una cosa che ci spaventa può diventare insulsa e ignorabile. Una montagna insormontabile può diventare una leggera passeggiata. Come questo bagaglio si è creato e appesantito giorno dopo giorno, può essere svuotato. Possiamo tornare ad essere leggeri.
Bisogna cambiare qualcosa, e se quello che sta attorno a noi è immutabile e freddo, il cambiamento deve avvenire dentro di noi.
La gente è scema e non sa di cosa parla.
Tu hai i tuoi problemi, e sono reali. Possono essere grandi o piccoli a vederli da lontano, ma se ci devi convivere sarà la tua sensibilità a modulare la loro grandezza e il peso che hanno su di te. Non c’è scampo a questo, il malessere è personale e ha origine in modi così strampalati che le persone che ti stanno attorno e non hanno voglia di comprenderti non potranno mai capire. Tu conosci te stesso e conosci ciò che ti circonda, e capire come nasce il tuo dolore o la tua sofferenza sta solamente a te. Non c’è alcun modo che qualcuno di esterno possa farlo senza il tuo permesso. E anche con il tuo permesso e la tua collaborazione chi non è te non avrà mai la completa comprensione dei tuoi problemi o del tuo dolore. Potranno capire come si sviluppa o da cosa è insorto, ma non potranno mai provarlo sulla loro pelle. È quindi importante sapere e comprendere che chi è attorno a te ha i suoi problemi e il suo personalissimo tipo di dolore, e che se vuoi trovarne una luce in fondo al tunnel starà a te lavorare su te stesso e reprimere il dolore che ti attanaglia. Puoi sicuramente essere aiutato, ma solo aiutato, non c’è nessun altro che possa fare questo lavoro al posto tuo, perché è un lavoro interiore e richiede grande impegno nell’affrontare il tuo dolore. Come se non fosse già complicato di per sé, la gente è tipicamente scema e non sa di cosa parla. Il comprenderti è difficile e complesso, e comprendere il tuo dolore lo è ancora di più perché non è sempre un argomento facile. Le persone che davvero sono interessate a capire il tuo malessere sono i veri amici, che provano a mettersi nei tuoi panni, con i loro limiti e i loro pregiudizi che immancabilmente filtrano la loro capacità di comprensione, e cercano di dare una spiegazione alle tue follie e alle tue reazioni brusche e magari poco simpatiche. Quante sono davvero queste persone nella tua vita? Una manciata se sei fortunato, o spesso anche solo una, che è un numero assolutamente sufficiente. Tutti gli altri 8 miliardi di persone se ne fregano altamente del tuo stato d’animo e del tuo malessere, se va bene, oppure sono stronze e ne approfittano e lo usano contro di te. Non ti fidare mai dei consigli delle persone che non ti conoscono e non hanno davvero a cuore il tuo interesse, perché la loro opinione è una porcheria e non c’è modo che possa essere utile alla tua crescita personale. Nulla da dire per quanto riguarda tutto il resto delle materie esistenti come il calcio, l’arte, eccetera, lì tutte le opinioni si possono ascoltare o denigrare senza neanche porsi il problema dell’effetto che hanno su di te, non hanno comunque valore. La vera difficoltà sta' nel non interiorizzare i commenti o le cattiverie che queste persone dicono contro il tuo benessere e il tuo equilibrio mentale. Questo è un grave attacco diretto contro di te e in quanto tale va assolutamente eliminato dalla tua mente, anzi non deve proprio essere considerato, come se fosse stato detto in una lingua incomprensibile perché troppo stupida. Non cadere vittima del loro gioco di scimmia più grande, che cerca di imporre il suo dominio sugli altri facendosi più grossa e soffocando l’altrui. Queste persone sono spesso dei deficienti e non ne vale proprio la pena di prestare loro attenzione. Ora, evitare questo tipo di persone è imperativo, ma se non c’è proprio altra soluzione e ti tocca averci a che fare, cerca di evitare la possibilità di condividere giudizi e opinioni del tuo ambito personale. Non c’è ragione che questi possano avere una soluzione reale ed efficacie per te, ma sicuramente avranno una soluzione da proporre comunque, sicuramente pensata a caso e spesso fuorviante. Non dare loro informazioni sulla tua sensibilità e sui tuoi problemi, perché loro avranno cura di usare le tue confidenze intime contro di te davanti a tutti e non avranno alcuna pietà nel farlo perché le tue confidenze sono un potentissimo strumento di potere, che gli permette di elevarsi davanti a tutti quanti al di sopra di te, redentoti ridicolo. Solo le persone che sono davvero legate a te e che si confidano con te possono avere accesso ad un materiale così radioattivo come le tue sensazioni e i tuoi pensieri. I curiosi e i pettegoli vanno tenuti alla larga, perché il malessere che portano dentro di loro è come una lebbra che si diffonde su chiunque abbiano a portata di discorso o di condivisione di un pensiero. Se aiutare tutti è una cosa bella, aiutarli a farti del male dovrebbe essere un tabù per te stesso. Bisogna imparare a discernere dalle intenzioni altrui nei tuoi confronti, e spesso chi ti chiede di condividere qualcosa di tuo, anche con insistenza, non è intenzionato ad aiutarti ma a scoprire cosa può usare contro di te quando avrà bisogno di uscire da una situazione scomoda. Quindi se le persone che indagano nella tua psiche non sono sceme, sono cattive. E questa è una grande evidenza da prendere in considerazione nel momento in cui cerchi di stare meglio con te stesso e di sopravvivere ai tuoi problemi del passato. Tieniti strette le persone con le quali puoi avere un rapporto di fiducia e confidenza, che spesso sono persone che non ti aspetteresti siano in grado di farlo, e lascia andare al loro destino tutti gli altri. Accompagnarsi ad una persona che urta i tuoi sentimenti è contro producente e assolutamente deleterio, non c’è nessun’altro risultato che possa provenire dall’interazione con loro se non la tua sofferenza, la quale è spesso legata al loro senso di benessere e di completezza.
C’è chi vuole aiutare, c’è chi dice di voler aiutare, e c’è chi proprio vuole rompere i coglioni.
Quante volte hai incontrato un problema ricorrente, pesante, e hai provato a trovare una soluzione? Quante volte hai proposto questa soluzione a qualcuno che ne è coinvolto più o meno quanto te e ti ha risposto male, denigrando le tue soluzioni senza neanche rendersi conto di cosa hai proposto? O magari qualcuno che prima ti dice di sì e poi quando ti metti a risolvere il problema ti denigra e ti attacca?
Può essere frustrante avere a che fare con persone che accettano una situazione sgradevole o svantaggiosa senza provare a trovare una soluzione. Soprattutto per problemi le cui soluzioni sono tipicamente semplici e intuitive. Possiamo dirigere un sacco di energie e attenzioni a convincere una persona disinteressata che le nostre soluzioni sono rapide, intelligenti ed economiche, ma se il nostro interlocutore non ha alcun interesse nella risoluzione del problema, non c’è modo di convincerlo. Anche se il problema è una cosa da nulla. Spesso la cosa migliore da fare è bypassare l’altrui e risolvere il problema con le nostre mani, immediatamente. Un problema risolto è risolto. Una persona che non si accorge che c’è un problema, non si accorge neanche che non c’è più. Spesso accade che la soluzione sia giusto a portata di mano ma noi ce la facciamo sfuggire a causa di un mancato permesso, di una paura ad agire che ci blocca, o di un interesse ad essere corretti con gli altri che non porta da nessuna parte. Bisogna in primo luogo essere corretti con sé stessi, riconoscere l’esistenza di un problema e porvi fine. Se si vive con qualcun’altro è bello condividere i propri pensieri o le proprie emozioni, ma non è detto che il risultato finale delle nostre condivisioni sia qualcosa di positivo o di costruttivo. La reazione dell’altrui non possiamo né modularla né tantomeno prevederla. È un'incognita e spesso ci pone un freno all’agire. Ma se invece la nostra azione fosse giusta? Se fosse davvero la soluzione al problema che tanto ci infastidisce? Non aspettare il consenso di un'altra persona, semplicemente risolvi il problema e vivi bene con te stesso. Risolvere i problemi è una tendenza caratteristica della natura umana, come risolvere la settimana enigmistica o trovare le soluzioni nei quiz televisivi. Risolvere problemi ci fa stare bene e ci rende felici, perché quindi privarsi della felicità di aver risolto un problema, e non godere delle nostre magnifiche soluzioni?
Beh, a volte i problemi sono le uniche cose di cui una persona stupida può parlare. Rubare l’attenzione altrui tramite una scusa così ignorante come esporre i propri problemi e fare finta di ascoltare le soluzioni altrui è un comportamento tipico di una certa categoria di persone. Non hanno alcun interesse nella risoluzione del problema, non hanno interesse nemmeno nell'esportelo in realità. L'unico interesse è far muovere la bocca e attirare la tua attenzione. Qualsiasi sia l’argomento che devono usare per la tua attenzione e il tuo tempo va benissimo, e se funziona lo useranno ancora e ancora come tema di conversazione. Chiudere la questione immediatamente è importante per salvaguardare il tuo benessere e soprattutto il tuo tempo. Dedicare il proprio tempo a persone in cerca di attenzione è un errore, è come provare a riempire un pozzo un granello di sabbia alla volta. Queste persone sono malate e hanno un vuoto interiore che non può essere riempito da nessuna frase né da ore e ore di conversazioni continue. Hanno un problema che devono riconoscere e affrontare, e tu non sei né la soluzione per questo loro problema né un palliativo.
Quando un uomo è colpevole del male che ha commesso fiuta la punizione da lontano.
È un pò come dire excusatio non petita, accusatio manifesta. Il nostro cervello funziona secondo modalità che ci piace definire note e replicabili, ma le quali sono in realtà assolutamente ignote e oscure. Anche i migliori scienziati più studiano il cervello, più capiscono che non ne sanno nulla. E questo non è una questione che dovrebbe stupirci. La nostra capacità mentale è legata alla complessità dell’organo cerebrale, ed essendo noi capaci di fare cose molto complesse anche il motore all’origine di questa capacità deve essere assolutamente complesso. Molto spesso la cultura antica ci fornisce delle risposte che funzionanti, anche se le spiegazioni di queste metodologie sono fantasiosamente inventate. È una questione di esposizione ad un problema e risoluzione a tentativi, e questi tentativi danno vita a qualcosa che funziona sicuramente, ma come funziona è cosa ignota, o molto spesso “divina”. E anche in questo caso la spiegazione divina di quel senso di colpa che ci induce ad esporci quando abbiamo commesso qualcosa di grave si chiama anima, coscienza, karma. È una qualità innata del genere umano, che induce ognuno di noi a fermarci prima di fare del male all’altrui, o che ci ripropone la visione delle azioni terribili che abbiamo commesso ogni notte, in songo. Soldati, assassini, la maggior parte di loro diventa alcolista o abusa di droghe, soprattutto se il significato delle azioni che hanno commesso non è di importanza superiore, come proteggere la propria famiglia o impedire che un tiranno esegua le più terribili crudeltà contro altre persone innocenti. Il senso di giustizia che abita dentro di noi allunga il dito indice contro noi stessi, etichettandoci come colpevoli. Una volta, nel nord Italia, le ricche famiglie costruivano chiese per farsi perdonare i propri peccati. Oggi si fanno ingenti donazioni in beneficenza. Sempre un prezzo da pagare per potersi convincere di essere diventati bravi e buoni, per poter dormire la notte. Ma non è così semplice. Non è così scontato e immediato. La redenzione non è un processo attraverso il quale una persona vuole passare di propria volontà, perchè è doloroso e incredibilmente pesante. È una cosa che muove le tue convinzioni intestine e ti fa rendere conscio che la tua vita è stata spesa in modo sbagliato, le tue azioni hanno creato del male negli altri e ora devi essere punito. Ed accettare la punizione inflitta da qualcun’altro non è assolutamente una cosa semplice. Pagare per i propri crimini, anche solo morali, è una cosa che ogni persona deve prima o poi fare per poter vivere, e chi pensa di essere superiore a questo prezzo, di non doverlo mai pagare, vive una vita col pilota automatico. Non è superiore a nessuno, ed è solo un peso per la società illuminata. Non c’è motivo per il quale una persona debba essere cieca e sorda al male che induce nell’altrui, e non c’è motivo per il quale questo male debba essere impunito. La giustizia è fatta di torti e punizioni, e quello che dobbiamo fare per essere persone giuste è evitare di commettere torti, abbattere il sistema di creazione della sofferenza alla radice, così che le punizioni siano materia unicamente potenziale, e mai reale. Essere colpevoli è un atto contro se stessi in primo luogo, e contro le nostre vittime in secondo luogo. Colpevoli contro noi stessi perché ci impediamo di vedere e di capire il vero significato della vita, e ci lasciamo trasportare dalla superficialità e dalle correnti ideologiche altrui, senza riflettere e senza guardare dentro il nostro animo, ponendoci in un processo di ricerca di ciò che è veramente un balsamo per la nostra persona e non ciò che è unicamente una possibilità di profitto terreno. Perché il vero benessere è una conseguenza chimica ed elettrica. È un processo biologico. È un affare interno al nostro cervello. Non c’è possibilità che il possesso di un oggetto esterno alla nostra persona sia capace di indurre al nostro interno uno stato di benessere. Soddisfazione forse, temporanea e semplice gioia. Ma la vera felicità è coadiuvata da molecoline prodotte e tenute al sicuro dal nostro cervello, nei nostri neuroni, nelle sinapsi. L'unico modo affinché queste possano essere espresse è attraverso un processo introspettivo, e non attraverso un accanimento all’esterno del nostro corpo. Il benessere, la felicità non sono altro che conseguenze ai comportamenti, alle azioni e alla conoscenza di aver fatto la cosa giusta. Non è possibile imbrogliare sé stessi. Non esiste nessuno così intelligente da essere in grado di convincersi nel profondo di essere nella ragione anche quando sta volontariamente commettendo un torto, e non esiste nessuno di così stupido da non rendersi conto che le azioni che sta compiendo sono deleterie per qualcuno. Ecco perchè chi è colpevole del male che ha consciamente commesso fiuta la punizione da lontano. Perchè la punizione non è esterna, è interna alla sua persona. Non proviene da un nemico lontano che ci ha scoperto e sta arrivando. È un costante senso di colpa che l’animo mette in essere affinchè la giusta punizione venga assegnata. Non è una paura, quanto una necessità. Vivere nel terrore e nell’attesa di questa punizione è di per sè doloroso. Inimicarsi chiunque, essere sospettosi e guardinghi, allontanare le persone e diffidare dei propri collaboratori più stretti è una forma di tortura che una persona colpevole si autoimpone, in attesa e previsione di una punizione che non esiste, ma che nella testa di questa persona esiste ed è terribile. Più tempo questa persona evita la sua punizione, più tempo passa vivendola. Non è possibile sfuggire da questa modalità di pensiero, è solo possibile affrontare il prezzo delle proprie azioni.
Il tempo non esiste
In un certo senso, il tempo non esiste. È un'idea, una creazione dell’uomo. È una suddivisione di qualcosa che esiste effettivamente, il ciclo giornaliero di rotazione della terra attorno al suo asse, e per estensione lungo l’orbita attorno al sole. Ma in realtà in natura il tempo non esiste. Non si può chiedere ad un animale che ore sono, o ad un fenomeno atmosferico. Loro avvengono e basta. Loro vivono e basta. Non c’è nulla di stravagante nella loro vita relativo al tempo. C'è il sole o non c’è il sole, fa caldo o fa freddo. E l’evoluzione li ha dotati di strumenti adatti a sopravvivere a tutti questi singoli momenti dell’anno. Ma noi esseri umani ci siamo inventati qualcosa di più, abbiamo questa tendenza a suddividere e catalogare. Prima macroscopicamente abbiamo catalogato la ricorrenza delle stagioni con l’anno, seguendo la periodicità di equinozi e solstizi, poi con maggior specificità attraverso l’uso di mesi e settimane, e infine una sottodivisione del giorno in sè attraverso ore, minuti e secondi. Ma tutto questo è una fantasmagorica invenzione dell’uomo. Tutto ciò non esiste, è solamente una convenzione molto utile alla nostra vita complessa. Ecco quindi che la nostra natura più animalesca entra in conflitto con quella che è una sovrastruttura innaturale imposta dall’esterno. Il tempo. E come entità estranea alla nostra biologia, il tempo va compreso in modo corretto o si possono sviluppare delle resistenze dentro di noi contro di esso. Un pò come con la matematica. Com'è possibile questa cosa? Che senso ha dire che il tempo non esiste?
Il tempo esiste, si, ma solo perché lo abbiamo creato noi e lo seguiamo ogni giorno. Se domani non ci fossero più persone, il concetto di tempo andrebbe perso ma il tempo di per sè rimarrebbe in esistenza. Perché il tempo non è qualcosa di reale, è una categorizzazione di qualcosa di reale. È la suddivisione di qualcosa che accade indipendentemente da tutto il resto. È la rotazione della terra. Tanto semplice quanto straordinario. Ma se domani la terra non esistesse più, si potrebbe dire che il tempo scompaia assieme ad essa? Prendiamo l’esempio della luna. Se la società umana si fosse sviluppata sulla luna, che mostra sempre la stessa faccia alla terra, si sarebbe formato il concetto di tempo? O basterebbe anche solo andare all’equatore, esiste solo il giorno, non le stagioni.
Vabbè il punto è un altro.
Il passato non esiste, e neanche il futuro. Quello che io ero ieri, o dieci anni fa, non è più tangibile. Non è più alla mia portata e non posso più interagirci. Non posso plasmare il passato ne modificarlo. È un evento dato. E l’unica cosa che lo rende reale è il ricordo che io ho di questo. Non esiste più. Posso avere fotografie, posso ricordarmi cose che ho fatto, posso avere un tatuaggio o una cicatrice. Ma il passato non esiste più. E per quanto riguarda il futuro, questo non esiste ancora. Non è tangibile, e tantomeno plasmabile. Non è in essere finchè non sarà arrivato. Ed ecco che sorge un problema. Se ne passato ne futuro esistono, cosa esiste? Esisto io. Adesso. In questo momento. In questo istante sono un essere vivente. In questo istante posso plasmare quello che mi circonda. Posso modificare l’ambiente che mi sta intorno. Posso sentire e vedere quello che esiste per davvero. Ciò che è reale e non solo una risposta elettrica o chimica del cervello. E non solo, quello che esiste adesso può farmi del male ma quello che è esistito, o che esisterà in futuro, non può farmi del male. Potrebbero potenzialmente, ma in questo momento sono vivo e sto bene. Non c’è nulla di male. Aver paura del passato è come aver paura dei bombardamenti della seconda guerra mondiale oggi. Non ci sono più. Devo piuttosto preoccuparmi di non farmi male adesso. E avere paura del futuro? Questo ha senso. Aver paura di qualcosa che potrebbe presentarsi e ferirmi, è normale. Si, è normale. È un naturalissimo istinto di preparazione ai problemi futuri, una capacità di evitare di farsi del male ficcandosi in situazioni difficili o pericolose. Ma a volte la preoccupazione può superare la realtà delle cose. Le possibilità che consideriamo superano di gran lunga la realtà dei fatti. Aggiungiamo eclatantemente scenari improbabili perchè siamo soggetti alla paura del futuro. Quante cose potrebbero andare male, e quante cose potrebbero ferirci, quando in realtà quando giugne quel momento, non succede nulla. Tutto quello che abbiamo pensato e predetto risulta essere stata solo una nostra stravagante fantasia e nient’altro. E ne siamo sollevati e soddisfatti. Ma non è assolutamente salutare. Il nostro cervello non è pensato per prevedere troppi scenari distruttivi contemporaneamente, però è capace di farlo grazie alla nostra fervida immaginazione. Con tutta questa grande quantità di traffico di dati possibili e plausibili, il nostro cervello smette di funzionare correttamente. Smette di essere efficiente e spesso si attiva un meccanismo di lotta o fuga per un evento che deve ancora realizzarsi fisicamente. Abbiamo paura di poter finire in una brutta situazione perché nella nostra mente elaboriamo un insieme di situazioni irrisolvibili che ci impediscono di approcciare la situazione stessa, quando in realtà nulla di tutto ciò è reale. È solo una proiezione delle nostre paure nel mondo reale. Non esiste nulla di tutto questo. Almeno finchè non ci troveremo nella situazione di dover affrontare questi problemi, a quel punto saranno reali. Ma qual’è la vera probabilità di trovarsi in una situazione del genere? Decisamente bassa, e decisamente inferiore alla probabilità che non accada assolutamente nulla. Avere l’ansia è deleterio sia per il fisico che per la mente, perchè è una preparazione ad un evento che non esiste, ad un problema che potrebbe esistere, ma che non esiste.
Facciamo un esperimento. Tu puoi viaggiare nel tempo, e adesso ti spiego come fare. Puoi tornare nel passato, nella tua vecchia casa, entrare nella scuola di quando eri ragazzo, girare per le aule e sederti al tuo vecchio banco, che ormai ti è diventato piccolino e stretto. Puoi andare in sala giochi, nel tuo bar preferito, puoi tornare nella stanza d’hotel di quella vacanza al mare che hai fatto quando eri bambino, tanti anni fa. Puoi tornare indietro e rivivere quei momenti e trovare ogni cosa al suo posto, tutti i tavoli, tutte le sedie, i quadri, gli alberi, è tutto proprio come te lo ricordavi, ma nel passato non c’è nessuno. Le stanze sono vuote, le strade sono deserte. Sei solo a camminare attraverso le piazze, ti siedi da solo al tavolo della cucina della casa in cui sei cresciuto. Sei solo. È tutto al suo posto, ma sei solo. Ora ci sono bambini diversi seduti ai posti dei tuoi vecchi amici, c’è qualcun’altro che abita nella tua vecchia casa. Il passato è proprio lì, davanti a te, ci sei dentro. Eppure nulla è più come prima. Sei dentro casa tua, ma la famiglia non è la tua. Le persone che camminano per strada non le riconosci, non c’è nessun viso familiare. Sei tu, e sconosciuti. Ora preparati. Soppesa le sensazioni che stai provando, la felicità di tornare indietro ai bei tempi, e la tristezza di essere solo, nelle stanze, nei luoghi di una volta. Guarda cosa hai attorno a te, in questo momento. Concentrati, e cerca di rispondere alla mia domanda: Che problema ho io in questo momento? Che cosa affligge me, seduto, mentre leggo questa frase? Puoi al massimo avere fame o sete. Non hai altri problemi in questo momento. Le rate dell’auto? Verrà il giorno in cui dovrai pagarle, ma non è adesso. Il mutuo della casa? Uguale. I colleghi di lavoro o gli amici a scuola? Non sono qui con te, ci sei tu, e ci sono queste parole. Concentrati sul tuo respiro, sentilo fluire dentro al tuo corpo e concentrati. Cerca di sentire le sensazioni che prova la tua pelle, dalle orecchie, al naso, alla bocca, al mento, alle spalle, ai gomiti, ai polsi, alle dita, e via così per tutto il corpo. Concentrati su te stesso. Prenditi un minuto, chiudi gli occhi e ascolta, cosa senti? Senti quello che ti sta intorno: le macchine, il frigo, la televisione. Ma c’è altro. C'è un qualcosa in più, che non proviene dall’esterno. Chiudi ancora gli occhi e ascolta senza porre giudizio. Senti la canzone che ti è rimasta in testa? O le vocine che ti dicono di preoccuparti? Ascoltale senza giudicarle, imparziale. Lo senti che il loro suono non proviene dalle orecchie, non passa per i timpani, ma si crea nella tua mente? Compaiono come dal nulla. Esatto. Tu puoi provare a controllarle, ma difficilmente ne sarai capace, e soprattutto tra venti minuti torneranno a comandare loro. Tu ascoltale imparziale. Sappi che dentro di te hai la tua mente, che ragiona e tramite la quale stai leggendo queste parole, e un elemento arcaico, intuitivo, che esula dal tuo comando. Un qualcosa che non riesci a controllare, e che non puoi neanche fermare o toccare. Esiste in parallelo a te. Ti dice di avere ansia, ti dice di arrabbiarti, ti dice di essere cattivo o di approfittare di qualcosa. Eh già, sembra che sia dalla tua parte, ma non lo è. perché? Perché ti tiene sveglio la notte, e ti disturba durante il giorno. Come può essere tuo amico, se ti disturba e non si lascia controllare, e non smette quando gli dici basta? Esiste, è in tutti noi, ed è autonomo. Ora tu che sai della sua esistenza, che ti sei reso conto cos’è e come lo si riconosce, hai la possibilità di manipolarlo, esiliandolo quando serve. Tramite la concentrazione e il respiro, allungando i tempi in cui indagini all’interno della tua mente, puoi averlo in pungo. Non puoi manipolarlo, ma puoi farlo tacere. E vedrai che separando le sue azioni negative, ti troverai in uno stato di piacevole benessere. Agisci secondo la tua coscienza, che è la parte di idee che puoi controllare e manipolare, e questa prenderà forza, schiacciando questo nemico inafferrabile. Esercitarsi nel fare del bene e comportarti secondo la tua coscienza, anche andando a danno di te stesso (un bel controsenso a prima vista!) ti aiuterà ad abbattere questa vocina insulsa. Non avrai più bisogno di “sopravvivere” mettendo in atto il male che ti suggerisce questa vocina, ma sarai capace di apprezzare la vita e il tuo tempo qui sulla terra.
La mente degli altri non è uno specchio della tua mente
Quando stiamo male e ci sentiamo non realizzati, quando sentiamo di essere capaci di poter fare molto di più di quello che stiamo facendo, e ci sembra che i nostri sforzi siano focalizzati in un inutile circolo vizioso da quale non riusciamo ad uscire, ci capita di pensare a quello che gli altri pensano di noi. Come ci vedono i nostri amici? Che opinione hanno di me i miei genitori? È davvero brutto. Soprattutto perché non è dato saperlo mai, è una realtà nascosta e inconoscibile, l’opinione altrui è come un quadro astratto che non riusciamo a comprendere. Non è tangibile, e non si può mai sapere se le risposte alle nostre domande siano la realtà o una macchinazione, o risposte di cortesia. Ancora peggio è il proiettare le nostre insicurezze, esasperazioni e tristezze nei fantocci che creiamo nella nostra testa delle persone che ci stanno attorno. Creiamo delle definizioni di noi stessi che non esistono e spesso non hanno senso, giustificando l’odio che proviamo contro di noi come “lo provano anche loro, è giusto che io mi odi, ha senso”. È molto semplice dire che un'altra persona mi odia, senza ben conoscere il suo pensiero. O ancora meglio, è estremamente allettante per una persona in difficoltà dare un senso al disgusto che prova per sé stesso proiettandolo sulla figura ideale e irreale di qualcuno che gli sta vicino. Più vicina è questa persona, più importante è, più l’odio irreale che noi attribuiamo ai sentimenti di questa persona contro di noi sazia il vuoto di sentimenti che si crea quando la potenzialità di qualcosa non viene colmata. Una curiosità insoddisfatta insomma. Quando ci lasciamo con un dubbio atroce; forse perché pensare di poter essere bravi in qualcosa è meglio che essere sicuri di fare schifo. Non ho il coraggio di fare una cosa che adorerei fare bene, ad esempio disegnare. Vorrei disegnare ed essere bravo, e far vedere a tutti quanto sono bravo, ricevere complimenti e vendere i miei disegni per milioni di euro l’uno. Ma sono terrorizzato dal disegnare. Ho paura di prendere in mano la matita e far vedere a tutti che produco solo robaccia da buttare via. Ho paura che tutti riconoscano la mia incapacità e ne siano disgustati, e che mi prendano in giro. Per questo non faccio disegni. Ho paura che questa persona a me cara mi derida e mi prenda in giro. Direbbe che faccio schifo e che dovrei piuttosto lavarmi i denti anziché perdere tempo in queste porcherie. Questa persona che mi sta a cuore mi insulta e mi ferisce. Ma nulla di tutto questo è reale. Non c’è un singolo passaggio di questo ragionamento che si basi minimamente su di un fatto reale. Non c’è proprio alcun modo di determinare se queste ipotesi possano trasformarsi in realtà, concretamente, o se siano solo cose false e inventate a caso senza alcun fondamento. Perché mi faccio questo ogni volta che sento di voler esprimere il mio potenziale? È una mia necessità che soffoco dentro di me, la tengo nascosta e non mostro a nessuno, perché ho paura di venire attaccato e cacciato dal gruppo. Di non essere più considerato dai miei amici o dalla mia famiglia. La mia mente proietta scenari irreali per prepararmi ad essere escluso ed abbandonato da tutti, cosicché quando questa cosa capiterà sarò pronto. Ma lo sarò per davvero? Questa eventualità è reale? C'è davvero il rischio di venire cacciato dai miei amici o dalla mia famiglia per un disegno? Una scultura in legno brutta? Un origami tutto spiegazzato? Devo aver paura di esprimere le mie potenzialità artistiche? No. Tutto quello di cui ho paura è l’idea che io ho di me stesso. Ho paura di quello che penso di me, che i miei pensieri possano trasferirsi in qualche modo dentro alla mente di chi mi sta intorno, e che questi comincino ad adottare il linguaggio che io uso contro di me. A pensare e a dire quello che io penso e dico di me. A esasperare il malessere che vive dentro di me. Chi è esteriore a me, ha il diritto di pensare e credere ciò che vuole. Ha il diritto di dire cose contrarie al mio pensiero, e io non ho il diritto di imporre il mio pensiero su tutti in modo uguale e uniforme. La realtà è che non c’è una risposta all’odio che proiettiamo in chi ci sta attorno, non esiste una realtà oggettiva in questo argomento. Nessuno mi odia così profondamente. La realtà più probabile è la neutralità delle opinioni. Nessuno mi odia, se mostro qualcosa a qualcuno la sua reazione più probabile sarà la neutralità emotiva, o un piccolo e momentaneo stupore dato dalla novità e dalla curiosità nei confronti del disegno, ma nulla più. Proiettare dei sentimenti così forti nella mente altrui è un'azione sbagliata e stupida, un’azione molto più realistica sarebbe proiettare dei sentimenti di neutralità in questi miei fantocci rappresentanti le altre persone. Le persone di me che opinione hanno? Pensano che sono un idiota e che dovrei sparire? Assolutamente no. Pensano che sono ok. O non pensano nulla affatto. È molto brutto avere questa consapevolezza, che la maggior parte delle persone sia indifferente alla mia presenza o alla mia assenza, che scambi con me due tre battute di cortesia e che poi si allontani indifferente. Però è la verità. È una base oggettiva e reale da cui far partire i nostri filmini mentali disperati. E come base è estremamente solida. È valida. Ha senso. Odiare qualcuno è una spesa energetica enorme, e lo stesso vale per l’amore. I sentimenti più forti stancano fisicamente, richiedono tantissimo sforzo e tantissima energia. Danno anche forti sensazioni in cambio, grandi emozioni e grandi fluttuazioni di umore rispetto alla banale normalità. Ed è anche forse un pò per questo che proiettiamo odio. Speriamo di non essere indifferenti alle persone, e siccome essere amati è davvero improbabile, allora ci va bene essere odiati, disprezzati, che qualcuno passi serate intere a pensare a noi e ai nostri stupidi disegni e a quanto fanno schifo. Ne saremmo grati. Avere dei nemici è rilassante, essere pensati e desiderati è bello. Una persona che ci dedica un pugno sul naso è una sensazione che non dimenticheremo mai. Quindi, non bisogna proiettare odio nei fantocci altrui, ma neutralità, molto conveniente, facile da gestire, assolutamente normale e probabile.
Il Peter pan che risiede dentro di noi
Quanto è bello essere accuditi, protetti, ascoltati: come quando eravamo bambini. Essere sempre al centro dell’attenzione, e poter fare quello che più ci pare, e soprattutto farlo liberi da pensieri e preoccupazioni. Quanto sarebbe bello poter comportarci così da domani mattina, dimentichi dei nostri drammi. Vorremmo essere proprio come Peter Pan: un ragazzo che non invecchia mai, che vola con la fantasia e fugge verso l’isola che non c’è, portando con sé altri ragazzi che non invecchiano mai. È un ragazzo magico, può fare tutto ciò che vuole e, velatamente, mantiene sempre la potenzialità di diventare tutto ciò che vuole. È puro potenziale, ha tutta la vita davanti e può ancora scegliere che strada intraprendere. Ma non ne ha bisogno. Non ha bisogno di scegliere che strada intraprendere perchè non invecchierà mai. L'unico esempio di adulto che peter pan conosce e sa aver scelto una strada è un vecchio tiranno, cattivo e senza una mano: capitan uncino. La stessa persona che è nientemeno inseguita per l’eternità da un coccodrillo che ha mangiato una sveglia: il tempo. Il tempo che insegue instancabilmente capitan uncino, e che si è già portato via un pezzo di sè quando gli ha mangiato la mano, e gli è piaciuta così tanto che ne vuole ancora. Il capitan uncino, tremendo e feroce, inseguito dal coccodrillo, è una persona afflitta dal dolore, e non può venirne fuori vincitore. A vedere questa cosa Peter Pan si dice di non voler abbandonare la sua infanzia per diventare come capitan uncino. Peter Pan quindi perde sé stesso, diventa capo dei bimbi sperduti e regna sull’isola che non c’è, ignorando la realtà di ciò che lo circonda. Quando incontra Wendy, la quale ha accettato di crescere e di diventare adulta, lui non si pone la domanda se possa nascere qualcosa di più dalla loro amicizia, perché è sopraffatto dalla presenza irreale di campanellino, che lo estrania dalla realtà dandogli la possibilità di ignorare ciò che esiste. È un vizio, quale vizio tra i tanti sia campanellino capitelo voi. Peter Pan non vuole sacrificare la sua pluripotenzialità di bambino scambiandola con la realizzazione di una singola carriera, o di una singola vita. Lui potrebbe essere, potrebbe diventare qualsiasi cosa, e a questo non vuole rinunciare.
Il cammino, che Peter Pan non vuole percorrere, è al pari del coccodrillo: inarrestabile e inevitabile. Esiste, ed è lì, che lo aspetta, e prima o poi lui lo percorrerà. Di sua sponte o obbligato. Il problema è che, spostandoci dalla storia alla realtà, chi non desidera percorrere il suo cammino si comporta come Peter Pan. Pensa di poterlo fuggire, pensa di poter essere superiore ed unico, non vuole riconoscere la realtà delle cose. E se si aspetta troppo a rendersi conto della realtà delle cose, se si aspetta che gli anni passino e che le occasioni vadano perdute, si diventa dei bambinoni. Dei vecchi mocciosi. Persone che hanno tenuto gli occhi chiusi sulla loro realtà, e hanno ottenuto di essere degli adulti che si comportano come adolescenti. (Chi è che si comporta così nella tua vita? È un profilo che ti è noto?) Percorrere la strada è inevitabile. Bisogna scegliere, o ti viene affidata. La crescita sta nella cessione della nostra qualità di bambini, nella perdita del nostro status speciale di categoria protetta, e in cambio ci viene dato di poter scegliere una strada. Se non scegliamo la nostra strada, ce ne verrà imposta una quando non saremo pronti (e non lo saremo mai).
“Poter essere” qualsiasi cosa cozza contro l’”esserlo”. È un ossimoro. Acqua e olio. Roma e lazio. Il potenziale è pura immaginazione e irrealtà, mentre l’attuare il potenziale e diventare qualcosa è realtà. O una cosa, o l’altra. È un sacrificio che bisogna fare, un prezzo da pagare, e sappiamo tutti che il conto arriva sempre. Prima lo si paga e meno sarà salato. La cosa che non viene detta ai tanti Peter Pan è che un piccolo passettino verso una direzione può aprire porte che non ci saremmo mai neanche immaginati esistessero. Lasciare il potenziale e diventare il reale, apre delle porte, settoriali e specifiche, ma ogni nodo della rete da pesca delle nostre decisioni è legato ad altri 3 nodi almeno, e scegliendo uno di questi 3 ne troviamo altri 3 da poter scegliere. Riscopriamo che la predita del “potenziale di bambino” era solo temporanea, ci è stata ridata in forma modificata. Siamo e potremmo essere allo stesso tempo, c’è però bisogno di affrontare un sacrificio.
Nessuno mi ha mai insegnato ad affrontare la paura
(Non sapevo che guardare l’esorcista dall’inizio alla fine mi avrebbe fatto stare meglio).
Sfortunatamente non si tratta della connotazione convenzionale che diamo al termine paura, non si tratta di non scappare davanti al babau o ad un mostro marino. Si tratta di affrontare un diverso tipo di paura, che spesso il nostro inconscio confonde con la paura fisica di qualche clown assassino. Capita infatti di aver piacere di guardare al cinema dei film dell’orrore, che ci facciano un sacco di paura e di uscire dalla sala soddisfatti per aver affrontato senza fuggire un evento così emotivamente forte. È uno specchietto per le allodole tuttavia. Il nostro inconscio non riesce a focalizzare la natura della paura che a volte ci stringe il cuore, e ci fa pensare che se ci torturiamo con un film orribile questa paura possa essere superata e se ne possa andare per sempre, come se non fosse mai esistita. Eppure è come combattere i mulini a vento. È come voler fare a pugni con qualcosa che sta dietro ad un muro. Il problema c’è e noi lo sentiamo, percepiamo la sua presenza con costanza e ci rende nervosi, forse anche tristi, ci fa dormire poco la notte e non ci permette di godere appieno della nostra vita perchè abbiamo sempre questa sensazione di malessere che vogliamo assolutamente dimenticare e soffocare nell’inconscio. Solo che il nostro inconscio è come un grandissimo lago, se nulla turba la superficie di questo lago si mostra come uno specchio, piatto e infinito. Se invece qualcosa si nasconde al suo interno, si formano delle increspature e ci rende difficile vivere. Sappiamo che c’è qualcosa, e questa rimarrà lì finchè non la rimuoviamo. Solo una volta rimossa potremmo godere interiormente del nostro lago piatto. Ecco spesso questo mostro marino che nuota nelle acque del nostro inconscio è paura. Una forma di paura che ci costringe a agire diversamente rispetto alla nostra attitudine naturale facendoci prendere decisioni con le quali non concordiamo appieno (dentro al nostro cuore), o che ci fa reagire in modo sbagliato nei confronti di un evento o di un'azione sapendo che stiamo commettendo un errore. Dall'acqua infatti non uscirà il mostro di lockness in tutta la sua furia, ma uscirà un trauma irrisolto, un terrore che non riusciamo a gestire e che ci obbliga a procrastinare per qualcosa. Il mio esempio è procrastinare lo studio, ho il terrore di gestire la burocrazia e le date degli esami. Completo orrore solo al pensiero di dovermi iscrivere ad un appello o di dover controllare il sito dell’università. È una cosa assolutamente assurda, eppure mi attanaglia a tal punto che mi cuocio dentro l’ansia e il disagio della procrastinazione piuttostochè affrontare quei 6-8 secondi che ci vogliono ad iscriversi ad un esame. Il terrore mi soffoca a tal punto che spesso non riesco neanche ad uscire di casa per chè sono legato da una parte dal senso di colpa per non essermi ancora iscritto, e dall’altra sono terrorizzato dal non sapere quando sarà l’esame e se ho tempo di iscrivermi, prepararmi bene eccetera. Eppure eccomi qui. Sono una persona assolutamente avventurosa, dormo da solo nei rifugi, sono adnato a lavorare come assistente di campo in spagna e in sud africa, e in questo secondo caso non ero neanche sicuro che il progetto di ricerca esistesse e al terzo aereo che ho preso mi veniva da piangere per quanto assurde fossero state le mie decisioni. Eppure eccomi qui ho fatto tutto, ho affrontato un incendio nella savana che ha distrutto tutto il lavoro che dovevo svolgere e i cui resti si vedevano dai satelliti, con un suzuki degli anni 70 che davanti alle fiamme non voleva partire. Eppure ho risolto tutto e sono capacissimo di risolvere centinaia di altri problemi come questo. Avevo il terrore dell’acqua, e sono diventato sommozzatore. Eppure, se mi siedo davanti al computer e cerco di aprire la pagina degli esami, le mie mani si fermano e non sono capace di andare avanti. Cerco di distrarmi e guardo youtube, scrivo pagine e pagine di racconti e libri. Tutto piuttostochè guardare gli esami. Eppure c’è stato un momento in cui non avevo per niente paura, subito dopo la terapia con uno psicologo. Ero tranquillo e non mi faceva ne caldo ne freddo, eppure ora sono tornato ad essere spaventato comprima della terapia. Nessuno mi ha mai insegnato ad affrontare le mie paure. Ho pensato di scrivere questi paragrafi perchè ho appena preso in mano la mia paura e mi sono iscritto a 2 esami, circa cinque minuti fa, e mi è sembrato giusto scrivere di questa esperienza ora. Aver paura è un naturale processo di crescita che la natura ha pensato di costruire per salvarci la vita. La naturalissima paura di lanciarsi da una scogliera serviva ai nostri antenati per non lanciarsi dalle scogliere. Ma ora che siamo nel 21esimo secolo la paura non si trova più nel suo “ambiente naturale”, ma in un ambiente artificiale nel quale il cervello è sperduto. Le nostre emozioni legate alla sopravvivenza non sono programmate per funzionare in questo ambiente terribilmente sociale, e possiamo avere dei malfunzionamenti. Il cervello per qualche motivo si lega emotivamente alla cosa sbagliata, riconosce come paurosa una certa situazione, sbagliando. E non c’è modo di sistemare questa situazione in modo naturale, ma bisogna accompagnarsi verso la soluzione e risanare l’errore che si è formato. Il cervello è una macchina estremamente complicata che ha imparato a riconoscere come paurosa la schermata di iscrizione agli esami, questa diecimila anni fa non esisteva e quindi non ha senso che questa paura venga in essere in modo innato, c’è stato un evento che ha legato a quella pagina il terrore. E come lo ha imparato lo può disimparare, tramite un processo inverso. Questo processo è il più complicato che io abbia mai affrontato, affrontare le proprie paure è una questione di forza di volontà estrema. Non richiede solo coraggio ma anche un fermo autocontrollo e un odio per il se stesso che non è come dovrebbe essere. Sappiamo cosa potremmo essere in grado di fare, eppure non lo facciamo perchè siamo fermati da qualcosa che è dentro di noi, qualcosa che è soggetto al nostro controllo eppure non siamo in grado di controllarlo. Riconoscere il problema, per quanto assurdo e banale e stupido possa essere, è il primo passo per diventare una versione di noi stessi libera. Come si fa? La tecnica migliore per risolvere un problema assurdo è farsi aiutare. Quello che per me è una montagna insuperabile, per mia mamma o per un mio amico può essere un'inezia talmente idiota che non sa nemmeno se lo sto prendendo in giro o se sono serio. Farsi spingere attraverso la risoluzione di una situazione che ci congela dal terrore è il modo più semplice per superare questa paura (ad esempio ho avuto 4 istruttori di nuoto che mi hanno insegnato ad affondare l’attrezzatura da sub a 3 metri di profondità e poi immergermi e vestirla, io che non ero in grado di fare una vasca a stile senza fermarmi a metà e aggrapparmi ai galleggianti). Si può anche farlo da soli, ma la spinta che serve per farlo è molto maggiore in quanto bisogna bypassare il funzionamento di una parte del nostro cervello che si è impostata in “evita questa cosa ad ogni costo”. Quando siamo con un'altra persona è più semplice bypassare questo circuito perchè si attivano circuiti legati alla socialità e quindi parti differenti del cervello.
C'è solo un modo per scoprirlo
Quando ho paura, quando non so se sono ancora capace di scrivere una storia o di completare un lavoro, quando non so cosa fare, o quando sono indeciso mi dico “C’è solo un modo per scoprirlo”.
Avere paura di non essere all’altezza di un lavoro, di mostrare i propri punti deboli esponendosi davanti a tutti, di non essere più bravi come lo si era una volta è normale, capita a tutti. Però questo non ci deve impedire di fare ciò che vogliamo, ciò che sotto sotto ci piacerebbe fare. Riuscirò a fare un dipinto come ne ho già fatti tanti? Riuscirò a scrivere un libro bello come tutti quelli che ho già scritto? Questa paura, di non essere all’altezza dei propri successi, che ci fa smettere di fare cose che ci piacciono tanto o che non ci fa intraprendere un qualcosa di nuovo, è normale ma è sbagliata. La risposta che dobbiamo dare a questi interrogativi non è la paura, ma è “C’è un solo modo per scoprirlo”. E questo modo è provare.