Il macellaio
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Il macellaio
La prima notte
Uccidere Per il puro gusto di punire, storpiare, strappare, eliminare da un essere vivente tutto ciò che lo distingue dalle bestie. Un ammasso di carne ed ossa. Il suo scopo è chiaro e semplice, come le parole che ha lasciato nella lettera inviata al Commissariato di Neapolis. Si muove con il suo furgoncino nero nella notte, alla ricerca di prede contro cui sfogare il suo odio e la sua rabbia. Pattuglia ogni notte, con minuzia, le strade nei sobborghi poco illuminati di Neapolis, alla ricerca di una vittima per la quale valga la pena rischiare di morire. Vuole solo vederela soffrire. Vuole solo vederla piangere. I la luce dei lampioni illumina ritmicamente l'abitacolo del furgone, mentre lui fissa la strada davanti a sé, senza guardare nulla nè prestare attenzione. Guidare è come un gesto automatico, che lo aliena dai suoi pensieri. Mentre guida lui non esiste più. È come se tutte le voci che con costanza occupano la sua testa si spegnessero, come se si distraessero a guardare gli alberi che sorpassa ai lati della strada e le luci dentro le finestre delle case. Lui si chiede costantemente se Dio esiste, e se lui possiede un'anima. Se esiste, io non posso uccidere e torturare. Se esiste io potrei avere uno scopo, potrei essere vivo per una ragione. Non posso credere che la mia vita qui non abbia più senso di un sasso immobile, così effimera e breve. Ogni ora sembra un'eternità, eppure gli anni si rincorrono così velocemente che non riesco a stargli dietro. La mia memoria non funziona più, non riesco a ricordare nulla. Tutto ciò che dovrebbe essere positivo lo vivo come un affronto. Non riesco a concedermi un momento di pace. Non posso apprezzare nulla. Tutto ciò che è bello mi è lontano. I sentimenti stessi mi sono diventati estranei e ostili. Odio in modo viscerale tutto, odio nutrirmi e odio bere. La mia vita è intrisa d’odio, ogni mio gesto mi fa soffocare in un odio denso e nero, e io me lo merito. Il mio dovere è morire, dovrei farlo ora, io desidero ardentemente morire, lo desidero follemente, tanto che lo sogno la notte, ogni notte, di venire ucciso apposta o per sbaglio. Ogni mattina mi sveglio, triste e deluso di essere vivo, di essere nato. Se non fossi mai nato. Se solo non fossi mai nato. Non ho nemmeno il coraggio di impiccarmi. Voglio un coltello in mano, mentre corro verso un poliziotto, mentre sbraito e gridò a squarciagola, agitandolo sopra la testa. Corro con gli occhi chiusi in attesa di sentire un calore improvviso e cadere a terra con un tonfo sordo, esanime. Voglio che qualcuno si faccia carico della mia morte. Voglio morire senza poter decidere nulla. Morire. Io voglio uccidere stasera. Voglio uccidere tutto. Voglio uccidere.
Eccola, finalmente. Una ragazza, sul marciapiede, cammina con insicurezza, allunga entrambe le mani verso un albero e ci si avvicina a passi brevi, per poi posarci tutto il suo peso. Sta tornando a casa ed è ubriaca.
Il furgone è parcheggiato alla fine della via, lontano una cinquantina di metri dalla siepe che fiancheggia il marciapiede, dietro alla quale lui si nasconde. Seduto per terra come i bambini, con le gambe tese e le punte dei piedi verso l’alto, con la testa un poco inclinata sulla spalla e la bocca aperta, mentre gli occhi spalancati guardano verso il furgone. L'unica cosa che percepisce è l’aria che entra ed esce dai polmoni attraverso i denti mentre la aspetta. Non gli sembra nemmeno di essere lì. Non sa niente. Alle sue spalle sente un rumore leggero, una porta che si apre e si chiude. Lui, senza chiudere la bocca, si gira, posando le mani per terra, ma senza muovere le gambe. Gli occhi esterrefatti si posano sulla porta della casa, mentre il respiro si fa sempre più affannoso. Fissa le luci che si accendono e spengono in sequenza nella casa. "È entrata.”. “Il caos l'ha salvata.”. “Il caos non è il mio padrone, le sue leggi non hanno potere su di me.” Lui le cose non sa mai se le dice ad alta voce o le pensa e basta. Il corpo che usa non è il suo, e fa fatica a capire queste cose. Aspettando in quella posizione scomposta, vede una piccola finestra lato della casa illuminarsi e poi aprirsi. Si alza in piedi. Mentre la sua testa ciondola come se fosse legata al corpo attraverso una corda sulla quale non ha alcun controllo, e gli occhi roteano nelle orbite mentre cerca di mantenere lo sguardo fisso sulla finestra. Muovendosi lentamente, cerca di pestare il meno possibile sui talloni, per fare piano. A cinque metri dalla finestra aperta riesce a sentire conati di vomito provenire dalla stanza. È il bagno, e dentro c'è qualcuno che sta male. Da dov'è riesce a vedere il giardino sul retro; la sua attenzione viene attratta da una figura nera, nascosta dietro alla casa, enorme, informe, con cinque arti che protrudono in modo scomposto da un corpo malformato. La testa deforme, nella quale spiccano due zanne bianche. Questa figura si alza in piedi, e comincia a balzellare sulle gambe, alzando le spalle vicino alla testa e tenendo le tre braccia lungo il corpo. Lui sorride alla bestia, porta le mani sul viso e comincia a graffiarsi la pelle delle guance, fissandola affascinato. Questa trova una bicicletta e ci siede, con due mani afferra il manubrio e con la terza un pedale, mentre tiene le gambe divaricate e la bocca aperta. Con un movimento ritmico del braccio, a cui segue il busto e la testa, se ne va dietro alla casa e scompare. Lui estrae il coltello dalla tasca interna della giacca, è un coltello a serramanico con una lama lunga otto centimetri. Si avvicina alla finestra, quatto quatto, si abbassa. Si mette sotto al balcone, mantenendo lo sguardo fisso sulla finestra e balza in alto, posando lo stomaco sulla lastra di marmo alla base della finestra e reggendocisi con la mano sinistra, mentre la destra guida la punta del coltello dentro alla gola della ragazza, china in ginocchio sul water. Il coltello fugge dal collo della ragazza con la stessa rapidità con cui è entrato. Lui, in bilico sulla finestra, sorride con la bocca spalancata mentre guarda la ragazza portarsi le mani al collo ed emettere un conato di vomito verde che le ricopre le gambe. Lei si gira di scatto e corre, ma carambola contro il lavandino sbattendo la testa sullo specchio, mandando il secondo in frantumi e il primo in pezzi contro il pavimento. Accasciandosi di peso sui cocci rotti, con una mano alla gola e l'altra stesa verso la porta, la ragazza perde i sensi mentre il sangue le sgorga a fiotti fuori dalla gola. Lui si spinge giù dalla finestra e se ne va verso il furgone.
Il giorno dopo sul giornale compare un articolo di una ragazza coinvolta in un incidente domestico, è morta scivolando in bagno da ubriaca.
“Non è vero! Sono stato io! Sono stato io! Sono stato io! Devono fermare me, devono venire a uccidermi! Chi ha scritto questo pagherà!”