Il Cammino
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Il Cammino
Cammino, con la testa china, le scarpe che affondano pesantemente nel fango freddo. Sono in marcia da parecchi giorni ormai. Ero accampato in vetta alle montagne rocciose, dove la polvere bianca della dolomia pian piano si posa sopra ogni cosa come una neve dura, capace di soffocare tutto. Da lì sono sceso verso valle, una notte in cui il cielo era coperto da nubi nere, passando per i boschi di pini e abeti. Gli alberi, impassibili...mi sentivo come osservato da queste presenze stoiche, gigantesche, e così fitte che giorno o notte al loro cospetto fa poca differenza. È ottobre, l’estate ormai è finita, e io ho deciso che in montagna d’inverno è meglio non starci, potrebbe diventare pericoloso. Dopo il bosco, la pianura illuminata dai primi fiochi raggi mattinieri del sole, che con tutta la calma della loro potenza schiariscono i campi incolti dalla bruma. Mi sento quasi un fantasma a camminare attraverso la foschia. Il sole sorge ad est, ed io vado a sud o a ovest. Il fango, è come se avvolgesse come un panno le mie scarpe. È pesante, e freddo, ma mi sono stancato di toglierlo con le mani, perchè al prossimo passo tornerà più arrabbiato di prima. Io cammino, con un pò di fame. Nella foschia intravedo un tetto, un magazzino, magari dentro c’è rimasto qualcosa. Per la fame che ho, mi sembra di non arrivare mai abbastanza in fretta. Avvicinandomi vedo che la porta è spalancata, e centinaia di lattine grigie chiuse sono accatastate le une sulle altre. Ai miei occhi è il tesoro di re mida. Quello che non riesco a mangiare, lo metto in tasca e quello che in tasca non ci sta, lo guardo sconsolato. Riprendo la mia marcia, il sole è alto ormai e mi riscalda le spalle. Ad un tratto, un eco, da lontano dietro di me, degli zoccoli calcano ritmicamente la strada battuta. È bel cavallo marrone, che traina un carretto di legno tutto sgangerato, ma non c’è nessuno a bordo. Io mi fermo e lo guardo avvicinarsi, e lui si presenta davanti a me, fermandosi a un braccio di distanza. Allungo una mano sul suo muso e lui sbuffa, contento forse di vedere un altro animale come lui. Gli prendo le briglie e lo invito ad accompagnarmi, e lui accetta di buon grado.
Camminando, oltre un piccolo torrente attraversato da un vecchio ponte di legno che vedo davanti a me, sento il suono di due campanacci e un pensiero mi sfiora “magari ho trovato altri due compagni di viaggio”. Macchè compagni di viaggio, sono vacche! Figurati, un uomo, un cavallo e due vacche! Che bella combriccola. Attraversando il ponte osservo l’acqua, che scroscia instancabilmente verso la sua meta, il mare, ed è pronta a fare di tutto per raggiungere il suo mare. Alla fine ci riesce sempre. Sbatto via il fango dalle scarpe con dei pestoni decisi sulle tavole di legno, e giurerei che anche il cavallo sta imitando il mio gesto mentre cammina a fianco a me.
Il rumore dell’acqua è ormai quasi scomparso dietro di me quando eccole, le due caroline al pascolo. Il recinto di legno è completamente distrutto e a tratti mancante, e queste due si avvicinano al carro per poi seguirlo. Non ho mai visto due vacche così contente di vedermi. O magari sono contente di vedere il cavallo, mah. Distratto da queste filosofie, quasi non mi accorgo che davanti a noi cammina una vecchina curva su un bastone, che, da quanto è piegato, sembra sorreggerne completamente il peso. Questa si gira verso di noi e guardando il cavallo dice “Me caro, no se che podria sentarme sol to bel careto?” deve essere un bel pò ceca. Una volta fatta sedere se ne esce con “ch’el senior te benediga”. Non faccio in tempo a girarmi che altre persone, almeno dieci, si sono messe in fila dov’era la vecchina portando ceste, sacchi, fiaschi e mi chiedono di salire. Dietro di loro un fiume in piena di persone di ogni tipo tutte a piedi, carri fermi ai lati della strada con i cavalli ancora legati, camionette con le ruote immerse nel fango. Il carretto è pieno di persone che non hanno aspettato di sentirsi dire di sì o di nò, ed il cavallo non ce la fà. Qualcuno ha delle corde, e le vacche vengono legate davanti al carro e la marcia riprende. In mezzo alla folla di gente tutti sono preoccupati perchè “sono arrivati”, e altri gli rispondono “hanno già sfondato”. “C’erano anche i tedeschi stavolta” dice un uomo con una benda attorno al braccio e la testa sporca di sangue coagulato e terra. “Ce l’hanno fatta, hanno sfondato”. Il fiume in marcia non si ferma per nessuno, il terrore spinge questa gente più forte di quanto la fame non sia in grado di fermarle. La domanda più frequente è “ma dove stiamo andando?”. Nessuno lo sa bene. “A Udine” dicono in tanti, le mamme con i bambini piccoli vogliono spingersi addirittura fino a venezia “una follia”. E intanto camminiamo. Dopo tante e tante ore di strada, non ho più voglia di camminare. Vedo un campanile coperto dai tetti di un vecchio villaggio di contadini. “Chi vuoi che venga a disturbarmi, in chiesa” mi dico. Tra tutte le case svuotate scelgo la chiesa per riposarmi. C'è qualcosa che mi spinge ad aprire i portoni di legno e farmi strada un pò incerto nella penombra della navata centrale. Mi avvicino all’altare. Mi fermo. Respiro l’aria fredda e vecchia della chiesa. Una candela sull’altare si accende da sola, e poi un’altra. Emanano una fortissima luce rossa che mi scalda il viso, “finalmente” penso. Allungo le mani verso la luce, ma queste mi appaiono sbiadite, scolorite, vuote. Non mi capacito, eppure ho mangiato per strada. Le vedo scomparire davanti ai miei occhi, e poi le braccia e le gambe. Sono tornato in cima alla montagna rocciosa, dove la polvere di dolomia copre un uomo disteso, semisepolto da una grandinata di sassi, con la bocca aperta e il viso completamente coperto di polvere. La mano che non è coperta stringe una collana d'oro. “La riconosco quella collana, e riconosco quell’uomo. Quell’uomo sono io”.
Jean-Christophe Mojard 10 months ago
Che testo meraviglioso! Colpi di scena poetici che ci sollevano fino alla formidabile battuta finale.
Alessandro Perin 10 months ago
Grazie mille! Mi fa molto piacere che le sia piaciuto!