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il greenwashing

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Pubblicato 19 apr 2023 Aggiornato 19 apr 2023 Imprenditorialità
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il greenwashing

Avviene quando un'azienda cerca di occultare l'impatto negativo reale del suo operato attraverso false pubblicità che ne enfatizzano gli sforzi nell'ambito della ecosostenibilità.

Il greenwashing è un espediente atto a colpire il consumatore ed, in particolare, il suo portafogli, portandolo con l'inganno a compiere scelte eticamente discutibili mascherate da opere di ecosostenibilità da una intensiva campagna di propaganda promulgata da un marchio. È un'attività estremamente vantaggiosa per l'azienda in quanto comprende il semplice reindirizzamento della politica pubblicitaria aziendale, anziché modificare in modo concreto tutto l'apparato produttivo inquinante che si nasconde dietro ad un cartellone “verde”. Come è noto ai lettori, un consumatore medio non segue pratiche ecologiche impattanti in prima persona ma preferisce acquistare prodotti che si dichiarano eco-friendly al fine di effettuare acquisti “non colpevoli” dei vari disastri ambientali che avvengono nel mondo. Quindi prodotti di qualità non concorrenziale, se presentati come derivanti da processi ecosostenibili, saranno preferiti dai consumatori rispetto ad una concorrenza di maggiore qualità. Si tratta quindi di un business impattante e in grande crescita, il quale non può essere dichiarato falso finché non vengono operate ricerche e controlli da parte delle autorità competenti, spesso in paesi dall’altra parte del mondo rispetto ai negozi in cui facciamo l’acquisto.

Cosa rende un articolo BIO, e come identificare le frodi?

L'obbligo dei controlli per articoli bio spazio dalla produzione agricola, al trasporto e lavorazioni dei beni fino alla vendita. I prerequisiti affinché un prodotto possa essere definito bio sono la coltivazione con l'utilizzo esclusivo di fertilizzanti e pesticidi naturali e non di natura puramente “chimica” o industriale.

L'unione europea ha sviluppato il marchio comune euro Leaf a identificazione dei prodotti biologici per tutti i prodotti realizzati nel territorio della comunità europea contenenti almeno il 95% di ingredienti bio: si compone di un codice indicante l'organismo di controllo ed un codice indicante l'origine degli ingredienti.

Esiste anche il marchio eu Ecolabel che certifica il ridotto impatto ambientale di prodotti o servizi offerti da un'azienda che spazia in un ambito non puramente agricolo-alimentare.

E quali sono i più recenti scandali di greenwashing?

La consumer Authority norvegese sta accusando il marchio H&M di green washing in quanto la sua linea di abbigliamento “conscious” fornisce informazioni vaghe ai consumatori per spiegare la natura ecosostenibile dei suoi capi fast fashion come “uso di un minimo del 50% di materiali riciclati” e “un massimo di cotone del 20% per capo”. Non vengono però fornite al consumatore informazioni sulla reale differenza nella produzione di questi capi rispetto a tutti gli altri, che sono notoriamente eco-unfriendly.

Dobbiamo ricordare infatti che il mondo della moda (soprattutto fast) è responsabile del 20% dello spreco globale di acqua, del 10% delle emissioni globali di CO2, del 24% degli insetticidi usati nel mondo e del 11% dei pesticidi, usati per far rendere al massimo la produzione di cotone.

il secondo esempio di greenwashing è portato dal marchio Coca Cola, che con le iniziative del “World without waste” mente ai suoi clienti proclamando che i tappi delle bottiglie di plastica sono al 100% riciclabili, quando in realtà Coca-Cola è il principale produttore di rifiuti di plastica mondiale, con 200.000 bottiglie di plastica prodotte ogni minuto, immettendo nell’ambiente ogni anno 2,9 milioni di tonnellate di polietilene tereftalato (PET). Del PET buttato, Solo il 30% può essere riciclato e la piccola parte che finisce in un centro di riciclo viene usata per produrre oggetti ad uso non alimentare in quanto solo PET usati per contenere acqua possono essere riciclati per produrre altre bottiglie, e in quantità massime del 50% per ogni nuova bottiglia.

Un'altro esempio di green washing è portato da Eni che è stata multata per 5 milioni di euro (la cifra massima prevista per legge) per aver pubblicizzato il “Enidiesel+” come capace di abbattere i consumi di carburante del 40%, cosa dimostratasi falsa.

E infine Ikea è stata accusata di essersi rifornita di legname abbattuto in modo illegale in Russia e Ucraina, abbattendo alberi senza valutazione dell'impatto ambientale e oltre i confini autorizzati per legge. Le cifre stimate di abbattimento di alberi per soddisfare la richiesta mondiale dei prodotti di Ikea parlano di un albero al secondo.

Il Greenwashing non solo è un problema a livello ambientale, ma è un crimine a tutti gli effetti: la pubblicità ingannevole è “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente” articolo 2 del D.L. 145/2007.

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