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La casa abbandonata

La casa abbandonata

Pubblicato 12 ago 2024 Aggiornato 12 ago 2024 Horror
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La casa abbandonata

In campagna, poco distante da dove ti trovi ora, c’è una grande casa diroccata. Non ha più le finestre, ed il tetto è crollato sotto il peso del tempo, ma per superarla a piedi bisogna camminare con passo spedito per un paio di minuti. È così grande e ha così tanti piani che quasi tutti quelli che ci sfilano davanti pensano sia un peccato che una casa che doveva essere così maestosa e bella sia oggi abbandonata e distrutta. Eppure una volta non era così. Nel piccolo municipio del paesino è pieno di foto antiche appese alle pareti, ingiallite e sbiadite, e tra le tante foto di campi, di contadini, di mercati di animali, in un angolino, spicca una foto di una famiglia numerosa e ben vestita in posa davanti a quella vecchia casa. Maestosa e ricchissima, con grandi aiuole di rose, una fontana, e tutti nella foto sorridono al fotografo mentre danno le spalle a quella bellissima villetta. Eppure, guardando con attenzione, un piccolo dettaglio si nasconde, come impaurito. In una delle piccole finestre dei piani più alti, proprio sotto il tetto, c’è una macchia che ricorda la forma di un viso triste. Nessuno ci ha mai dato troppo peso perchè le foto di una volta erano spesso mosse o sfuocate in alcuni punti. Il tempo di scatto era di una decina di secondi, e se un uccello o una foglia volava davanti all’obbiettivo si producevano queste imperfezioni. Eppure sembra proprio un viso. La casa è stata abbandonata pochissimo tempo dopo lo scatto di quella foto, per cause che sono ancora sconosciute. I proprietari sono fuggiti una notte e non si sono mai più fatti vedere. I paesani, un pò per paura che i padroni potessero tornare da quella che pensavano fosse una vacanza da un giorno all’altro, un pò per scaramanzia, non si erano mai lasciati vincere dalla curiosità di entrare nella casa. Non si poteva, dicevano, e il prete gli dava ragione dicendo che c’era un demonio che vagava per quelle stanze vuote. Diceva che di notte sentiva gli animali fuggire dal giardino, e che dopo pochi anni anche le piante hanno cominciato a morire e non crescere più. Secondo lui c’era qualcosa che non andava bene lì, qualcosa da cui bisognava stare alla larga. In quelle stanze buie. Il contado liquidava il prete dicendo che faceva bene a dire queste cose, che le case vuote sono pericolose e che se i bambini ci fossero andati a giocare, rischiavano di farsi male su qualche chiodo sporgente o su qualche asse instabile. E quindi ci si dava davvero poco interesse a quella casa così grande e così vuota. In fin dei conti, tutti avevano i propri doveri da svolgere e questi occupavano gran parte della giornata. Fatto sta che, nonostante le parole del prete, nonostante gli avvertimenti dei genitori, un gruppo di bambini, incuriositi proprio dal tabù, vollero entrare di nascosto nella casa. Si diceva fossero quattro, o anche cinque, e che datisi appuntamento davanti al campanile all’imbrunire si fossero poi diretti alla vecchia casa. Ridendo, scherzando, giocando e facendo grandi progetti e predizioni sui tesori di dolciumi che avrebbero trovato in questa stanza e sui giocattoli che avrebbero trovato in quest’altra stanza. E con quest’animo divertito ed intrepido, ognuno con un bastone di legno e le tasche piene di sassi, si erano diretti verso un cancelletto piccolo posto ad un lato del giardino della proprietà. Il piccolo cancello si aprì senza sforzi, quasi invitandoli ad entrare, come se un custode fosse rimasto a curarlo ed oliarlo da quella lontana notte in cui la casa si svuotò. I bambini non ci fecero tanto caso ed entrarono, all’avventura. Avvicinandosi alla casa, sentirono una lieve brezza fresca che spirava da qualche parte, non gli era mai capitato prima. -Forse è proprio per questa brezza che costruirono la casa qui- disse uno di loro, e continuarono. L'eccitazione quando trovarono il grande portone aperto era tangibile, erano così contenti che stesse filando tutto liscio e pregustavano già di giocare con giocattoli magnifici e di riempirsi la pancia con leccornie mai viste prima. Eppure la prima grande stanza era vuota. Non c’erano mobili, non c’erano attrezzi n’è specchi ai muri. Solo sul soffitto si intravedevano degli affreschi di angeli e nuvolette, ma era buio e non si capiva cosa stessero facendo. I bambini si spostarono in ognuna di quelle stanze buie, correndo sul pavimento di assi e ridendo, facendo rimbombare i propri passi in tutta la casa, in ogni stanza e anfratto, disturbando. Uno tra i cinque, il più piccolo, vedendo che il sole stava fuggendo e che la casa stava immergendosi nell’oscurità volle tornare a casa.  
-Andiamo a casa- disse –tanto non c’è niente. Fa buio, andiamo a casa-. Gli altri lo guardarono, convinti che fosse la cosa giusta da fare, anche perchè pure loro avevano paura di stare lì, ma quando distolsero lo sguardo e si fissarono negli occhi qualcosa cambiò. Nessuno voleva essere il fifone, e quindi nessuno sarebbe ritornato a casa per primo. -Il più piccolo, è ovvio che è un fifone: è piccolo!- si dicevano. E nessuno volle uscire. Vagare per quel dedalo di stanze buie era diventato complicato, e bisognava stare attenti e camminare piano, al centro dei saloni, altrimenti si poteva sbattere da qualche parte. Sopra di loro, in ogni stanza, qualcosa dall’alto li guardava. Una schiera di angeli, diavoli, contadini abitavano i soffitti di quella vecchia villa, disegnati da qualcuno tanti anni prima. Ecco che, ai piani di sopra, al centro di una stanza in un ala della casa, c’era qualcosa. -è un asta- disse qualcuno -è un attaccapanni- lo corresse qualcun’altro. Tutti incuriositi, vi si avvicinarono, era il primo tesoro trovato in quella casa e bisognava studiarlo. Il più piccolo, attaccato con le mani alla maglietta di uno dei grandi, li seguiva controvoglia dentro alla stanza. Non poteva uscire senza di loro, aveva troppa paura. Il fato volle che uno di loro tirò una bastonata all’attaccapanni, rompendolo a metà. Questo cadde rovinando sul pavimento e producendo un botto che si sentì fino in paese. -perchè ha fatto così? È solo caduto non doveva fare tutto questo rumore- dissero. Eppure accadde. E accadde anche di sentire qualcosa. - hai sentito?- disse uno –stai zitto, non ho sentito nulla- gli risposero. Il più piccolo, in silenzio, disse –sta piangendo-. -chi sta piangendo? Non c’è nessun’altro qui-. -è disopra- riprese lui – e sta piangendo, la sento-. -andiamo via- disse qualcuno, eppure non appena si scambiarono gli sguardi, nessuno voleva andare via per primo. -Andiamo a vedere, fifoni- disse uno, e allora tutti, contro voglia, andarono a vedere. L'ultimo piano sopra di loro era completamente di legno, e il tetto crollato in alcuni punti permetteva alla luce della luna di entrare. La scalinata venne conquistata dai bambini in pochi e fieri balzi. Entrando gagliardi nella porticina, sentirono nuovamente dei rumori –qualcuno sta piangendo, è proprio qui dentro-. Da una delle stanze immerse nell’oscurità provenivano dei lamenti terribili, un pianto soffocato che si faceva sempre più forte e straziante. La voce si faceva sempre più forte. I bambini, impauriti, si portarono davanti la porta scardinata della stanza completamente soffocata da buio e dissero –chi sei? Perchè piangi? - e la voce si fermò. Il silenzio era completo, e i bambini stavano immobili cercando di capire cosa stesse succedendo, fissando il buio. Il più piccolo aveva la testa schiacciata contro la maglietta di uno dei grandi. Sentirono dei rumori, lievi e lenti, che si avvicinavano a loro. Erano dei passi. Pesantissimi e strani, sbilenchi. Un gorgoglio si pronunciò fuori della stanza, come il grido di una persona che affoga. Improvvisamente, davanti a loro comparve. Era una figura enorme, vestita con un lungo mantello nero. Protese le mani scheletriche con le dita disgustosamente lunghe verso i bambini, e il viso coperto dal cappuccio e nascosto dall’oscurità si palesò alla fievole luce della luna che filtrava dal soffitto bucato. Era una vecchia mostruosa. Senza occhi. Pronuncio con una voce terribile –Occhi, i miei occhi. Mi prendo i vostri. - I bambini fuggirono verso le scale a rotta di collo, senza badare gli uni agli altri. Mentre i grandi scattavano, scivolavano, rotolavano sulle scale, il più piccolo cadde e venne lasciato lì. Piangendo, provò a scendere anche lui la grande scalinata, ma i gradini alti erano difficili da percorrere. Dietro di lui, la vecchia, con una mano posata sullo corrimano, scendeva curva le scale. L'altra mano si allungava verso il bambino, sfiorando la sua giacchetta con le unghie lunghe e bianche. Questo inciampò, rovinando giù per le scale, il che gli dette un certo vantaggio su quella vecchia mostruosa, e riprese subito a scendere. La vecchia, arrabbiata, allungo le gambe lunghe in modo bizzarro e decrepite sugli scalini, passandone tre per volta. In pochi balzi si fece sul bambino e allungando le mani gli prese una spalla. Questo piangendo senza freni non capiva più niente. Solo il terrore regnava nei suoi pensieri. Tra le lacrime gridò - Aiuto! dove siete? Aiuto! - ai bambini più grandi, ma questi erano già in giardino e stavano correndo verso il cancelletto. Trovandolo chiuso e arrugginito, lo saltarono o si incastrarono attraverso le sbarre rotte. Il bambino si infilò attraverso le sbarre del corrimano e saltò, candendo, sul piano inferiore. Con un braccio dolente, piangendo, continuò a scendere gli scalini. La porta era ormai vicina, e il bambino percorse le grandi stanze vuote e diroccate, sentendo dietro di sè i poderosi e pesanti passi della strega. Uscendo in giardino si diresse verso il cancelletto, e vide che gli altri lo stavano aspettando e lo aiutarono a saltare. Dalle grandi e vuote stanze della casa si senti un forte vociare, e la strega disse con voce rauca e cadenza lenta – nelle stanze vuote, mi troverai ancora. Nelle case, al buio, negli anfratti. Io sono sempre lì. China nell’angolo, a piangere. Ad aspettare voi bambini.-.

I ragazzi fuggirono verso il paese e davanti alla chiesa una certa folla animata lì attendeva. C'era il parroco che diceva ave Maria, e i loro genitori che si gridavano e correvano di qua e di là. Vedendoli arrivare gli corsero incontro, sollevati, e riempiendoli di ceffoni e tirare d’orecchi li riportarono a casa.  

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