

Breve introduzione alla filosofia di Tommaso d’Aquino
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Breve introduzione alla filosofia di Tommaso d’Aquino
Tommaso d’Aquino (1225-1274) è uno tra i più grandi filosofi e teologi della storia dell’Occidente, nonché la figura centrale della scolastica medievale. La sua opera rappresenta un punto di incontro tra il pensiero cristiano e la filosofia greca, in particolare quella di Aristotele. Il suo obiettivo fondamentale fu quello di mostrare l’armonia tra la fede e la ragione, tra verità rivelata e verità filosofica.
1. L’essere come fondamento
Al centro della filosofia di Tommaso d’Aquino si trova il concetto di “esse”, ovvero l’essere. Per l’aquinate, ogni ente partecipa dell’essere in modo limitato, mentre solo Dio è l’”ipsum esse subsistens”, l’essere stesso sussistente. Ogni ente creato è composto da essenza (ciò che una cosa è) ed esistenza (il fatto che quella cosa sia): solo in Dio essenza ed esistenza coincidono. Questo rende Dio l’ente perfettissimo (esse perfectissimum), privo di potenzialità, totalmente atto e causa prima di tutto ciò che esiste. Pertanto, per Tommaso d’Aquino, il concetto fondamentale della realtà è l’essere (esse). Ogni cosa che esiste è, in primo luogo, un ente: qualcosa che “è”. Tuttavia, l’essere non è una realtà uniforme. Esistono diversi livelli e modi di esistere, e comprendere questa varietà è il compito della metafisica, che per Tommaso d’Aquino è la scienza dell’ente in quanto ente.
L’intuizione fondamentale di Tommaso d’Aquino risiede nel concetto che l’essere non costituisca una categoria tra le altre, bensì l’elemento caratterizzante ogni ente. In tal senso, Tommaso si distingue sia dalla dottrina platonica, che attribuisce priorità alle idee, sia da quella aristotelica, incentrata sulla sostanza, per porre l’accento sull’atto di essere, l’actus essendi.
1.1 Composizione di essenza ed esistenza
Secondo Tommaso, ogni ente creato è composto di due principi:
- Essenza (essentia; id quod quid est; quidditas): ciò che una cosa è, la sua definizione (per esempio: “uomo = animale razionale”). Tommaso riprende Aristotele e la scolastica precedente, specialmente Avicenna, per definire l’essenza (essentia) come la quidditas, cioè “ciò che una cosa è”. È la natura specifica di un ente, ciò che lo fa appartenere a una certa specie (uomo, cavallo, pietra…).
- Esistenza (esse): il fatto che quella cosa sia, al di là della sua definizione.
Scrive nel De ente et essentia: “In omnibus creaturis aliud est essentia, aliud esse”,“In tutte le creature, l’essenza è distinta dall’essere.” (De ente et essentia, cap. 4). Solo in Dio essenza ed esistenza coincidono: “Deus est ipsum esse subsistens” – Dio è il suo stesso essere. Questo significa che nessuna creatura esiste per se stessa, ma riceve l’essere da un altro, cioè, nel nostro contesto, da Dio. L’essere, per Tommaso, è ciò che attualizza l’essenza, è l’atto più fondamentale.
1.2 Dio come esse subsistens
A differenza delle creature, come abbiamo visto, Dio non presenta una distinzione tra essenza ed esistenza. In Lui, essere ed essenza coincidono perfettamente. Dio non possiede l’essere, è l’essere: “Deus non solum est sua essentia, ut ostensum est, sed etiam suum esse”; “Dio non è soltanto la sua essenza, come è già stato provato, ma anche il suo essere” (Summa Theologiae, I, q. 3, a. 4).
Questa affermazione sintetizza una verità fondamentale: solo Dio è l’essere per essenza, ovvero l’esse subsistens, l’essere che sussiste in sé, senza dipendere da altro. Ogni altra entità riceve l’essere da Lui. Dio, pertanto, è atto puro (actus purus), privo di potenza, totalmente attualizzato, perfetto. Negli enti finiti, vi è sempre una distinzione tra ciò che possono essere (in potenza) e ciò che sono (in atto). Dio, come detto, è atto puro, senza alcuna potenzialità da realizzare: in Lui essere, agire, perfezione sono identici e completi.
1.3 L’essere come atto
Tommaso d’Aquino considera l’essere come l’atto ultimo di ogni realtà, ciò che completa ogni altra perfezione. La forma di una cosa non è sufficiente a renderla reale: è l’essere che la fa esistere concretamente. Come scrive: “L’essere è l’attualità di tutti gli atti, e perciò è la perfezione di tutte le perfezioni” (De potentia, q. 7, a. 2).
Questa prospettiva rivoluziona la metafisica: il centro non è più la “sostanza” in senso aristotelico, bensì l’atto di essere (actus essendi) che sostiene ogni cosa.
Per Tommaso, quindi, l’essere è il fondamento ontologico di tutto. Ogni cosa è ciò che è in quanto partecipa dell’essere, e solo Dio è l’essere stesso. La filosofia tomista è, in questo senso, una vera e propria metafisica dell’essere, che parte dall’esperienza degli enti finiti per risalire, con rigore logico e razionale, all’essere assoluto, cioè a Dio.
Rimandiamo al punto 6 per un rapido sguardo ai concetti di intelletto e di metafisica dell’essere come trattati nella Summa contra Gentiles nel Libro 2, LII.
2. La dimostrazione dell’esistenza di Dio
Tommaso d’Aquino affronta la questione dell’esistenza di Dio in modo filosofico, cioè a partire dalla ragione naturale. Egli sostiene che, sebbene la fede possa conoscere Dio per rivelazione, è anche possibile dimostrare razionalmente che Dio esiste osservando il mondo. Questo è il compito della teologia naturale, che studia Dio con gli strumenti della filosofia. La trattazione più celebre si trova nella Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3, dove Tommaso espone le famose “cinque vie” (quinque viae), cioè cinque argomenti razionali che portano alla conclusione che Dio esiste: “Deum esse quinque viis probari potest”; “L’esistenza di Dio può essere dimostrata in cinque modi” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.1 Prima via: dal movimento
Tommaso parte dal fatto evidente che nel mondo ci sono cose che si muovono (cioè il divenire che passa dalla potenza all’atto). Ma niente può muoversi da solo se non è mosso da altro. Questa catena di motori non può andare all’infinito: deve esserci un primo motore immobile: “Ergo necesse est devenire ad aliquod primum movens, quod a nullo movetur, et hoc omnes intelligunt Deum”; “Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.2 Seconda via: dalla causa efficiente
Ogni effetto ha una causa. Ma una cosa non può essere causa di se stessa. Se non si può andare all’infinito nelle cause, si deve arrivare a una causa prima, che non è causata da nulla e che dà inizio alla catena causale: “Ergo est necesse ponere aliquam causam efficientem primam, quam omnes Deum nominant”; “Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.3 Terza via: dalla contingenza all’essere necessario
Nel mondo ci sono esseri contingenti, cioè che possono esistere o non esistere. Ma se tutto fosse contingente, ci sarebbe stato un momento in cui nulla esisteva. E dal nulla, nulla viene. Dunque deve esistere un ente necessario, che non riceve l’essere da un altro: “Ergo necesse est ponere aliquid quod sit per se necessarium, non habens causam necessitatis aliunde, sed quod est causa necessitatis aliis, quod omnes dicunt Deum”; “Dunque bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.4 Quarta via: dai gradi di perfezione
Notiamo che ci sono gradi nei valori: più o meno vero, buono, nobile, ecc. Ma questi gradi si misurano in base a un massimo, come il più caldo rispetto al calore. Deve dunque esserci un essere perfettissimo, che è la misura di tutte le perfezioni: “Ergo est aliquid quod omnibus entibus est causa esse, et bonitatis, et cuiuslibet perfectionis, et hoc dicimus Deum”; “Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.5 Quinta via: dal fine (ordine del mondo)
Le cose naturali, pur prive di intelligenza, agiscono in modo ordinato per un fine. Questo ordine non può essere casuale. Ci deve essere un intelletto ordinatore, che dirige tutto verso il fine: una mente suprema che ha disposto l’universo: “Ergo est aliquid intelligens, a quo omnes res naturales ordinantur ad finem, et hoc dicimus Deum”; “Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
Facciamo notare che, in tutte le sue argomentazioni, Tommaso si muove da un principio fondamentale: “ex effectibus proceditur ad cognitionem causae”, ovvero si conosce la causa attraverso gli effetti.
3. La conoscenza: ragione e rivelazione
Per Tommaso d’Aquino, la ragione naturale può conoscere molte verità sul mondo e persino su Dio. Tuttavia, alcune verità superiori, come la Trinità o l’Incarnazione, possono essere conosciute solo tramite la rivelazione divina. La filosofia e la teologia, pertanto, non si oppongono, ma si completano: la filosofia prepara il terreno alla fede e ne difende i contenuti con argomenti razionali. Questa visione è definita “armonia tra fede e ragione”. Tommaso d’Aquino ha elaborato una riflessione profonda e armonica sul tema della conoscenza, cercando di dimostrare come la fede e la ragione non siano in contrasto, ma rappresentino due vie complementari verso la verità. Il suo principio fondamentale è che la verità è una sola, e quindi non può esserci contraddizione tra ciò che è vero per la ragione e ciò che è vero per la fede: “Cum ergo ex utraque veritate sit Deus auctor, non potest esse verum quod est per fidem contra id quod est naturaliter cognitum per rationem”; “Poiché Dio è l’autore di entrambe le verità, non può essere vero ciò che è conosciuto per fede e allo stesso tempo contrario a ciò che è conosciuto naturalmente per ragione” (Summa contra Gentiles, I, 7, 2).
3.1 La duplice via alla verità: filosofia e teologia
Secondo Tommaso, la conoscenza umana ha due fonti:
- La ragione naturale, che ci permette di conoscere il mondo e alcune verità su Dio, come la sua esistenza o certe sue proprietà (unità, immutabilità, bontà, ecc.). Questa è la via della filosofia o teologia naturale.
- La rivelazione, cioè le verità comunicate da Dio direttamente (tramite la Scrittura e la tradizione), che superano la capacità naturale della ragione. Questa è la via della teologia sacra.
Dice Tommaso: “Est duplex veritas in divinis: una ad quam pervenit ratio, altera quae rationem excedit”; “Vi è una duplice verità nelle cose divine: una alla quale giunge la ragione, l’altra che supera la ragione.” (Summa contra Gentiles, I, c. 3). La filosofia, quindi, non è alternativa alla fede, ma la prepara e la sostiene, offrendo strumenti per argomentare e difendere la verità.
3.2 Il concetto di analogia
Uno dei problemi centrali nella conoscenza di Dio è: come possiamo parlare di Dio se è infinito, mentre il nostro linguaggio è finito? Tommaso risolve questo problema con il principio dell’analogia, che si oppone sia all’univocità(stesso significato in ogni contesto) sia all’equivocità (significato completamente diverso). Quando diciamo che Dio è “buono”, non intendiamo esattamente la stessa bontà che ha l’uomo, ma neanche qualcosa di totalmente diverso. Usiamo un linguaggio analogico, cioè che mantiene una certa proporzione tra le cose: “Unde nullum nomen univoce de Deo et creaturis praedicatur. Sed nec etiam pure aequivoce, ut aliqui dixerunt. Quia secundum hoc, ex creaturis nihil posset cognosci de Deo, nec demonstrari; sed semper incideret fallacia aequivocationis. […] Dicendum est igitur quod huiusmodi nomina dicuntur de Deo et creaturis secundum analogiam, idest proportionem”; “Perciò nessun nome si attribuisce in senso univoco a Dio e alle creature. Ma neanche in senso del tutto equivoco, come alcuni hanno affermato. Perché in tal modo niente si potrebbe conoscere o dimostrare intorno a Dio partendo dalle creature; ma si cadrebbe continuamente nel sofisma chiamato equivocazione. […] Si deve dunque concludere che tali termini si affermano di Dio e delle creature secondo analogia, cioè proporzione” (Summa Theologiae, I, q.13, a.5).
Con l’analogia possiamo affermare delle cose vere su Dio, pur senza esaurirne il mistero. Questo metodo protegge sia la trascendenza di Dio, sia la possibilità di conoscerlo realmente.
3.3 Il limite della conoscenza: comprehensio
Tommaso distingue fra cognoscere (conoscere) e comprehendere (comprendere pienamente). Gli uomini possono conoscere Dio a partire dalle sue opere e tramite la rivelazione, ma non possono comprenderlo perfettamente, perché Dio è infinito, mentre l’intelletto umano è finito: “Deum scimus esse, sed quid sit, ignoramus”; “Sappiamo che Dio è, ma non sappiamo che cosa sia” (Summa contra Gentiles, I, c. 14). E ancora: “comprehendere Deum impossibile est cuicumque intellectui creato […] Nullus igitur intellectus creatus, videndo Deum, potest cognoscere omnia quae Deus facit vel potest facere, hoc enim esset comprehendere eius virtutem”; “È impossibile per qualsiasi intelletto creato comprendere Dio […] Dunque nessuna mente creata vedendo Dio può conoscere tutto quello che Dio fa o che può fare: poiché ciò equivarrebbe a comprendere tutta la di lui potenza” (Summa Theologiae, I, q. 12, a. 7-8).
La comprehensio è propria solo di Dio stesso. Nemmeno i beati in paradiso possono comprendere Dio nella sua totalità, anche se lo vedono “faccia a faccia” (visio beatifica). La nostra conoscenza resta partecipata, limitata e sempre sorprendente. Tommaso d’Aquino propone, pertanto, una visione profonda ed equilibrata della conoscenza: ragione e rivelazione non si escludono, bensì si sostengono a vicenda. L’intelletto umano, sebbene finito, è capace di ascendere a Dio, di conoscerlo autenticamente, ma sempre con umiltà, consapevole dei propri limiti. I concetti di analogia e comprehensio esprimono tale equilibrio tra verità e mistero, tra luce e ombra, che caratterizza ogni autentico percorso filosofico e teologico.
4. Il ruolo della astrazione nel processo conoscitivo
L’aquinate, nella sua opera Commentarium in Aristotelis Metaphysicam, riprende e sviluppa questa idea con la formula: “Scire est scire per causas” (C.A.M., lib. I, lect. 5, n. 72), sottolineando come la scienza (in senso aristotelico) richieda la conoscenza delle cause, e che solo chi conosce le cause può dirsi veramente sapiente. Inoltre ricordiamo che in questo modo la ricerca parte sempre dai dati sensibili, dice infatti Tommaso: “Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu” (Nulla è nell’intelletto che non sia stato prima nei sensi). Questa formula, peraltro, spiega il ruolo della astrazione: la mente umana, ricevendo i dati dai sensi, è in grado di cogliere le forme intelligibili (le “essenze”) attraverso un processo che coinvolge l’intellectus agens (intelletto agente). La formula la troviamo espressa nell’opera Quaestiones Disputatae de Veritate (q.2, a.3, ad 19): “Intellectus noster nihil intelligit sine phantasmate, sicut dicit Philosophus. Unde oportet quod principium nostrae cognitionis sit a sensu. Et propter hoc dicitur quod nihil est in intellectu quod non sit prius in sensu”, “Il nostro intelletto non comprende nulla senza un’immagine sensibile (phantasma), come dice il Filosofo [Aristotele]. Perciò è necessario che il principio della nostra conoscenza venga dai sensi. Ed è per questo che si dice che nulla è nell’intelletto che non sia stato prima nei sensi”.
Il concetto di astrazione riveste un ruolo centrale nella teoria della conoscenza di Tommaso d’Aquino, risultando strettamente connesso, come accennato, alla funzione dell’intellettus agens (intelletto agente). Quest’ultimo concetto, che Tommaso riprende da Aristotele (De Anima, III, 5), viene da lui rielaborato con notevole originalità. Per l’aquinate, come abbiamo visto, la conoscenza umana ha sempre origine nei sensi. Tuttavia, ciò che i sensi colgono sono forme materiali, individuali e concrete. Tuttavia, l’intelletto umano è capace di cogliere le forme universali (le essenze) — e lo fa astraendo queste forme dai dati sensibili. Il processo avviene in più fasi:
- Sensazione: i sensi esterni (vista, udito…) colgono l’oggetto materiale.
- Immaginazione: i sensi interni formano un phantasma, cioè un’immagine mentale dell’oggetto percepito.
- Azione dell’intellectus agens: qui entra in gioco l’intelletto agente, che astrae (letteralmente: “trae fuori”) la forma intelligibile (l’essenza) dal phantasma.
- Intellectus possibilis: riceve la forma astratta ed è in grado di conoscerla come concetto universale.
Tommaso descrive così l’intellectus agens: “Oportebat igitur ponere aliquam virtutem ex parte intellectus, quae faceret intelligibilia in actu, per abstractionem specierum a conditionibus materialibus. Et haec est necessitas ponendi intellectum agentem”, “Bisognava dunque ammettere nell’intelletto una potenza capace di rendere intelligibili in atto gli oggetti, mediante l’astrazione delle forme dalle loro condizioni materiali. Questa è la necessità di ammettere l’intelletto agente” (Summa Theologiae, I, q.79, a.3). Senza di esso, l’uomo potrebbe solo percepire, non comprendere intellettualmente.
Tommaso lo paragona spesso alla luce, come del resto fece Aristotele, che rende visibile il colore nell’aria: senza luce, l’occhio non può vedere il colore; senza l’intelletto agente, l’intelletto non può cogliere l’essenza. Dice Tommaso: “Ergo oportet virtutem quae est principium huius actionis, esse aliquid in anima. Et ideo Aristoteles comparavit intellectum agentem lumini, quod est aliquid receptum in aere. Plato autem intellectum separatum imprimentem in animas nostras, comparavit soli; ut Themistius dicit in commentario tertii de anima. Sed intellectus separatus, secundum nostrae fidei documenta, est ipse Deus, qui est creator animae, et in quo solo beatificatur, ut infra patebit. Unde ab ipso anima humana lumen intellectuale participat, secundum illud Psalmi IV, signatum est super nos lumen vultus tui, domine”, “Perciò è necessario che la virtù, la quale costituisce il principio di questa operazione, sia qualche cosa dell’anima. - Per questa ragione Aristotele paragonò l’intelletto agente alla luce, che è un’entità ricevuta [e posseduta] dall’aria. Platone poi, come riferisce Temistio, paragonò al sole l’intelletto separato, che comunica una sua impronta alle nostre anime. Ora, stando agli insegnamenti della nostra fede, questo intelletto separato è Dio stesso, il quale è il creatore delle anime, e loro unica felicità, come vedremo in seguito. Da lui quindi l’anima umana partecipa una luce intellettuale, secondo le parole del Salmo: La luce del tuo volto, o Signore, è impressa su di noi”(Summa Theologiae, I, q.79, a.4)
Per chiarire il concetto di astrazione, prendiamo in considerazione l’esempio di un gatto. I sensi percepiscono questo gatto particolare. L’immaginazione ne forma un phantasma. L’intelletto agente, illuminando il phantasma, astrae la forma “gatto” – non questo gatto individuale, ma il concetto universale di “gatto” – che poi l’intelletto possibile riceve e comprende. Riassumiamo schematicamente quanto detto:
- Oggetto materiale: ad esempio, un albero, un cavallo, una persona — realtà concreta.
- Sensi esterni: vista, udito, tatto… raccolgono i dati sensibili.
- Phantasma: immagine formata dall’immaginazione (senso interno).
- Intelletto agente: astrae la forma intelligibile (l’essenza) dal phantasma.
- Intelletto possibile: passivamente riceve la forma e la comprende.
- Concetto universale: nasce la conoscenza dell’universale (non di questo uomo, ma dell’uomo in quanto tale).
5. L’etica e la legge naturale
L’etica di Tommaso si basa sull’idea che ogni essere umano tende naturalmente al bene e alla felicità, che si trovano nel compimento della propria natura. Questa legge inscritta nella natura umana è detta legge naturale. Le virtù (come prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) aiutano l’uomo a raggiungere il proprio fine. Ma il fine ultimo dell’uomo è la visione di Dio, che può essere raggiunta solo con l’aiuto della grazia divina.
L’etica di Tommaso d’Aquino è fondata su una visione realista e teleologica dell’uomo: ogni essere ha una natura che lo orienta verso un fine (telos), e il bene morale consiste proprio nel compiere la propria natura secondo ragione: “Ratio enim boni in hoc consistit, quod aliquid sit appetibile, unde philosophus, in I Ethic., dicit quod bonum est quod omnia appetunt”; “Infatti, la nozione di bene consiste in questo: che qualcosa sia appetibile; perciò il filosofo, nel primo libro dell’Etica, dice che il bene è ciò che tutte le cose desiderano” (Summa Theologiae, I, q. 5, a. 1).
Per l’essere umano, il bene è ciò che lo conduce alla realizzazione piena di sé, e ciò che lo allontana da questo fine è male. La sua etica non si fonda su regole arbitrarie, ma su una profonda coerenza tra natura, ragione e felicità.
5.1 Il fine ultimo dell’uomo: la felicità
Tommaso riprende da Aristotele l’idea che l’uomo cerca naturalmente la felicità (beatitudo), ma precisa che essa non può essere trovata nei beni temporali, perché sono limitati, mutevoli e incapaci di soddisfare il desiderio umano in modo pieno. Solo Dio può essere il fine ultimo: “Ad perfectam igitur beatitudinem requiritur quod intellectus pertingat ad ipsam essentiam primae causae. Et sic perfectionem suam habebit per unionem ad Deum sicut ad obiectum, in quo solo beatitudo hominis consistit”; “Ma alla perfetta felicità si richiede che l'intelletto raggiunga l'essenza stessa della causa prima. E allora avrà la sua perfezione nel possesso oggettivo di Dio, nel quale soltanto si trova la felicità dell'uomo”(Summa Theologiae, I-II, q. 3, a. 8). Questa visione di Dio, la visio beatifica, è il compimento del desiderio umano e la pienezza dell’etica cristiana: l’uomo è fatto per conoscere e amare Dio.
5.2 Le virtù come strumenti del bene
Per arrivare al fine ultimo, l’uomo deve agire secondo virtù, che sono abiti buoni e stabili che perfezionano le sue potenze. Tommaso distingue le virtù in:
- Virtù morali1, come la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza
- Virtù teologali2, che sono infuse da Dio: Fede (Fides), Speranza (Spes), Carità (Caritas), vedi 1 Corinzi 13:13.
Le virtù permettono all’uomo di vivere bene, cioè in accordo con la ragione e l’ordine voluto da Dio: “Et philosophus dicit, in II Ethic., quod virtus est quae bonum facit habentem, et opus eius bonum reddit”; “E il Filosofo afferma, che la virtù rende buono chi la possiede, e buona l'azione che egli compie” (Summa Theologiae, I-II, q.55, a.3).
Per Tommaso d’Aquino, le virtù morali non sono semplici atti isolati o disposizioni momentanee, ma sono habitus, cioè abiti stabili dell’anima che perfezionano le potenze dell’uomo nel loro agire: “de quo philosophus, in V Metaphys., dicit quod habitus dicitur dispositio secundum quam bene vel male disponitur dispositum, et aut secundum se aut ad aliud, ut sanitas habitus quidam est. Et sic loquimur nunc de habitu. Unde dicendum est quod habitus est qualitas”; “In proposito il Filosofo afferma, che l'abito è una disposizione secondo la quale uno è disposto bene o male, o in se stesso o in rapporto ad altro, così come è un abito la salute. Ora noi parliamo dell'abito in questo senso. Perciò concludiamo che l'abito è una qualità” (Summa Theologiae, I-II, q. 49, a. 2). In altre parole, l’habitus è una qualità stabile, acquisita o infusa, che orienta l’individuo ad agire correttamente con prontezza e disinvoltura. Le virtù morali sono habitus buoni, che perfezionano la volontà e le passioni secondo la ragione. Le virtù morali per Tommaso vanno così catalogate: “Sic igitur tota materia morali ad considerationem virtutum reducta, omnes virtutes sunt ulterius reducendae ad septem, quarum tres sunt theologicae […]; aliae vero quatuor sunt cardinales”; “Ebbene, dopo aver ridotto tutta la morale alla considerazione delle virtù, tutte le virtù vanno ancora ridotte al numero di sette: tre teologali […] e quattro cardinali” (Summa Theologiae, II-II, Prooemium). Tommaso, secondo l’abito, le distingue tra:
- Habitus acquisiti: frutto dell’esercizio e dell’educazione, ossia le virtù cardinali3 di prudenza, giustizia, fortezza,temperanza, trattate nella Summa Theologiae, II-II, q.47-170.
- Habitus infusi: donati da Dio, come le virtù teologali4 (fede, speranza e carità [amore donativo], trattate nella Summa Theologiae, II-II, q.1-47), e alcune virtù morali che accompagnano la grazia: “Virtus vero ordinans hominem ad bonum secundum quod modificatur per legem divinam, et non per rationem humanam, non potest causari per actus humanos, quorum principium est ratio, sed causatur solum in nobis per operationem divinam. Et ideo, huiusmodi virtutem definiens, Augustinus posuit in definitione virtutis, quam Deus in nobis sine nobis operatur”; “le virtù che ordinano l'uomo al bene in quanto ricade sotto la legge divina, e non sotto la ragione umana, non possono essere causate dagli atti umani, il cui principio è la ragione: ma sono causate in noi dall'azione di Dio. Perciò nel definire codeste virtù, S. Agostino così completa la definizione: che Dio opera in noi senza di noi” (Summa Theologiae, I-II, q.63, a.2)
L’importanza dell’habitus risiede anche nel fatto che rende l’agire morale stabile e libero, non frutto del caso o dell’emozione. Solo chi possiede l’habitus della giustizia, ad esempio, agirà in modo giusto spontaneamente e con gioia. In sintesi, per Tommaso le virtù sono strumenti del bene proprio in quanto habitus, ovvero forze interiori che rendono l’uomo capace di vivere secondo ragione in modo stabile, libero e orientato al suo fine ultimo.
5.3 La legge naturale
Uno degli aspetti più originali del pensiero etico di Tommaso è la dottrina della legge naturale (lex naturalis). Essa è la partecipazione della creatura razionale alla legge eterna di Dio, ed è inscritta nel cuore dell’uomo: “Inter cetera autem rationalis creatura excellentiori quodam modo divinae providentiae subiacet, inquantum et ipsa fit providentiae particeps, sibi ipsi et aliis providens. Unde et in ipsa participatur ratio aeterna, per quam habet naturalem inclinationem ad debitum actum et finem. Et talis participatio legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur. [...] lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et malum, quod pertinet ad naturalem legem, nihil aliud sit quam impressio divini luminis in nobis. Unde patet quod lex naturalis nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali creatura” , “Ebbene, tra tutti gli altri esseri la creatura ragionevole è soggetta in maniera più eccellente alla divina provvidenza, perché ne partecipa col provvedere a se stessa e ad altri. Perciò in essa si ha una partecipazione della ragione eterna, da cui deriva una inclinazione naturale verso l'atto e il fine dovuto. E codesta partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole si denomina legge naturale. [...] la luce della ragione naturale, che ci permette di discernere il male e il bene, altro non è in noi che un'impronta della luce divina. Perciò è evidente che la legge naturale altro non è che la partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole” (Summa Theologiae, I-II, q.91, a.2).
La legge naturale è universale, immutabile e conoscibile da tutti, perché fondata sulla ragione. Essa comanda il bene e proibisce il male secondo i principi primi dell’agire umano: “Hoc est ergo primum praeceptum legis, quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum. Et super hoc fundantur omnia alia praecepta legis naturae”; “Ecco, dunque, il primo precetto della legge: Il bene è da farsi e da cercarsi, il male è da evitarsi. E su di esso sono fondati tutti gli altri precetti della legge naturale” (Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 2).
Da questo principio derivano naturalmente i precetti fondamentali della morale: conservare la vita, procreare, vivere in società, cercare la verità, ecc.
5.4 Grazia e libertà
Pur riconoscendo la forza della legge naturale, Tommaso sa che l’uomo da solo non può raggiungere il fine ultimo. Per questo, sottolinea il ruolo della grazia, che perfeziona la natura senza distruggerla. La grazia illumina l’intelligenza e rafforza la volontà, rendendo possibile la vita virtuosa e la beatitudine eterna: “Gratia non tollat naturam, sed perficiat”;“La grazia non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona” (Summa Theologiae, I, q. 1, a. 8).
Anche la libertà è centrale per Tommaso: non come arbitrio assoluto, ma come capacità razionale di scegliere il bene.Solo scegliendo ciò che è conforme alla verità l’uomo diventa veramente libero. L’etica di Tommaso d’Aquino rappresenta una delle sintesi più alte tra la razionalità classica e la fede cristiana. Essa dimostra che l’uomo è un essere razionale, ordinato a un fine soprannaturale, capace di conoscere il bene attraverso la legge naturale e di perseguirlo con l’ausilio delle virtù e della grazia. Si tratta di una visione positiva, realistica e integrale dell’uomo, che ancora oggi offre spunti di riflessione a molte questioni contemporanee riguardanti l’etica, la libertà e la felicità.
6. L’intelletto e la metafisica dell’essere in Summa contra Gentiles, Libro 2, LII
Nel libro II della Summa contra Gentiles, al capitolo 52, Tommaso d’Aquino affronta con rigore la struttura ontologica delle sostanze intellettive e il loro rapporto con Dio, che è l’essere sussistente per essenza. Egli sottolinea che, sebbene le sostanze intellettive non siano corporee, esse non sono semplici in senso assoluto, poiché la loro essenza non si identifica con il loro atto di essere (esse). A differenza di Dio, in cui essenza ed esistenza coincidono, le creature intellettive manifestano ancora una forma di composizione, pur non essendo costituite di materia e forma.
In questa prospettiva, Tommaso ribadisce il principio fondamentale secondo cui l’esistenza è distinta dall’essenza in tutte le creature, anche in quelle spirituali o immateriali. L’esse sussistente, ossia l’essere che è atto puro e non riceve nulla da altro, è esclusivo di Dio. Tutti gli altri esseri esistono per partecipazione all’essere, e non per essenza: il loro essere non è identico alla loro sostanza, ma è da essa distinto e, perciò, ricevuto.
Da ciò deriva la dottrina tomista della unicità dell’essere sussistente. L’essere come atto puro, assolutamente semplice e senza composizione, non può moltiplicarsi, perché l’infinità dell’essere implica la pienezza di tutte le perfezioni e non può ammettere alcuna divisione. Infatti, se esistessero due esseri infiniti, non potrebbero essere distinti per una perfezione che l’uno ha e l’altro no, poiché ciò implicherebbe una limitazione dell’infinità.
Le sostanze create, anche quelle intellettive, sono dunque entità causate, in quanto ricevono l’essere da un principio esterno. Solo Dio è essere incausato, poiché se il suo essere derivasse da un altro, si cadrebbe in una regressione all’infinito, che la ragione naturale esclude. Questa distinzione fonda la differenza tra le sostanze create, che possiedono un essere partecipato, e le sostanze increate, tra le quali solo Dio può essere concepito come atto perfettissimo.
In tal senso, Tommaso afferma con chiarezza che Dio è l’unico “esse perfectissimum”, identificandosi con l’essere stesso, senza alcuna potenzialità o composizione. Egli lo ribadisce anche nella Summa Theologiae (I, q. 4, a. 1), in cui scrive: “Deus autem ponitur primum principium, non materiale, sed in genere causae efficientis, et hoc oportet esse perfectissimum”, ovvero: “Dio, poi, è posto come primo principio, non materiale, ma nel genere di causa efficiente, e questo deve essere perfettissimo” L’“esse perfectissimum”, quindi, è ciò che costituisce il termine ultimo di ogni generazione e di ogni movimento, la realtà pura e attuale da cui ogni altra trae il proprio essere.
Tommaso chiarisce inoltre che, mentre la natura universale – come “animale” o “uomo” – è concepita in astratto come una sola, essa si realizza in individui distinti, ciascuno definito dai propri caratteri specifici. Un ente che esistesse separatamente dalle determinazioni proprie di una specie, non sarebbe concretamente “un animale”, ma un’entità astratta, priva delle caratteristiche che definiscono le specie particolari.
Infine, nella sua riflessione sul nome proprio di Dio, Tommaso riprende il passo biblico di Esodo 3,14, “Ego sum qui sum”, per affermare che solo Dio può essere designato come “Colui che è”, perché solo in Dio l’essere è identico all’essenza. Negli altri enti, l’essere è ricevuto, causato e distinto dalla sostanza; solo in Dio essere e sostanza si identificano pienamente, rendendolo l’ente per essenza, causa prima e principio ontologico di tutto ciò che esiste.
NOTE
1 Le virtù morali sono qualità etiche che una persona sviluppa attraverso l’abitudine e la pratica, orientate verso il bene e la giustizia. Nella filosofia antica, in particolare in quella aristotelica, le virtù morali sono essenziali per raggiungere l’eudaimonia, che si traduce con il concetto di “felicità” o “realizzazione umana”. Aristotele le definisce come il giusto mezzo tra due estremi, e la loro pratica porta a un comportamento equilibrato e armonioso. Ecco alcune delle principali virtù morali: (1) Temperanza: La capacità di moderare i propri desideri e impulsi, in particolare quelli legati ai piaceri sensoriali come il cibo, il bere e il sesso. La temperanza è la virtù che aiuta a non essere schiavi delle passioni. (2) Coraggio: La virtù che permette di affrontare il pericolo e la sofferenza con determinazione, senza cedere alla paura. È il giusto equilibrio tra la temerarietà e la viltà. (3) Giustizia: La virtù che riguarda il dare a ciascuno ciò che gli spetta, sia nei rapporti interpersonali che nella società. La giustizia non è solo legata alle leggi, ma anche al senso di equità e rispetto dei diritti altrui. (4) Prudenza: La capacità di prendere decisioni sagge e ponderate, valutando le conseguenze delle proprie azioni. È la virtù che guida l’intelligenza pratica nell’affrontare le situazioni quotidiane. (5) Generosità: La disposizione a donare agli altri senza aspettarsi nulla in cambio, sia in termini di beni materiali che di tempo e affetto. (6)Magnanimità: La virtù che riguarda il desiderio di compiere azioni grandi e nobili, facendo il bene per il bene, senza egoismi o calcoli personali. (7) Veridicità: L’impegno a essere sinceri e onesti, evitando la menzogna, ma anche l’esagerazione o l’autocelebrazione. È la virtù che fonda la fiducia nei rapporti sociali.
Le virtù morali, secondo Aristotele, sono un cammino che l’individuo percorre attraverso l’educazione, l’abitudine e la riflessione. Non sono innate, ma si sviluppano con il tempo e con la pratica costante, portando una persona a vivere una vita più piena e autentica.
2 Le tre virtù, secondo Tommaso, in dettaglio. Fede (Fides). È la virtù per cui crediamo in Dio e in tutto ciò che Egli ha rivelato, perché Dio è la Verità. Non è cieca: si fonda sull’autorità di Dio, che non può ingannarsi né ingannare. Per Tommaso, è un atto dell’intelletto che aderisce alle verità rivelate su comando della volontà mossa dalla grazia. Speranza (Spes). È la virtù per cui desideriamo e ci attendiamo da Dio la vita eterna, confidando nel suo aiuto. È un atto della volontà, ma poggia sulla fede: si spera ciò che si crede possibile con l’aiuto divino. Presuppone che si riconosca la propria debolezza e la potenza salvifica di Dio. Carità(Caritas). È la virtù per cui amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso e il prossimo come noi stessi per amore di Dio. È la più grande delle virtù, perché dura anche in Paradiso, dove la fede e la speranza cesseranno. Per Tommaso, la carità informa tutte le altre virtù: èciò che le vivifica e le rende meritorie.
3 Cardinale, dal latino cardinalis, derivato da “cardo, cardinis” cardine, cerniera, asse portante, quindi virtù che sono il cardine della vita morale umana. Tutte le altre virtù morali derivano da queste o si organizzano attorno ad esse.
4 Teologale, dal latino theologicus, che deriva dal greco θεολογικός (theologikós) composto da: theós (θεός), Dio e lógos (λόγος), discorso, parola, ragione. Significa quindi “che riguarda Dio” o “che ha Dio come origine, oggetto e fine”. Non si acquisiscono con lo sforzo umano, ma vengono donate dalla grazia.
NOTA BIBLIOGRAFICA
- Tommaso d'Aquino, Ente ed Essenza, a cura di Pasquale Porro, Rusconi, 1995
- Tommaso d'Aquino, Commenti a Boezio, a cura di Pasquale Porro, Rusconi, 1997
- Tommaso d'Aquino, La somma contro i gentili, a cura di T.S. Centi, UTET, 1997
- Tommaso d'Aquino, Compendio di teologia ed altri scritti, a cura di A.Selva e T.S. Centi, UTET, 2010
- Tommaso d'Aquino, SOMMA DI TEOLOGIA, a cura di Fernando Fiorentino, 4 vol., Città Nuova, 2018
- Tommaso d'Aquino, Unità dell'intelletto, a cura di Alessandro Ghisalberti, Bompiani, 2020
- Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, Sansoni, 2004
- Sofia Vanni Rovighi, Storia della filosofia medievale, Ed. Vita e Pensiero, 2006
- Giuseppe Barzaghi, La Somma Teologica di San Tommaso d'Aquino, COMPENDIO, Edizioni Studio Domenicano, 2009

