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Breve introduzione alla filosofia di Tommaso d’Aquino
Tommaso d’Aquino (1225-1274) è uno tra i più grandi filosofi e teologi della storia dell’Occidente, nonché la figura centrale della scolastica medievale. La sua opera rappresenta un punto di incontro tra il pensiero cristiano e la filosofia greca, in particolare quella di Aristotele. Il suo obiettivo fondamentale fu quello di mostrare l’armonia tra la fede e la ragione, tra verità rivelata e verità filosofica.
1. L’essere come fondamento
Al centro della filosofia di Tommaso d’Aquino si trova il concetto di “esse”, ovvero l’essere. Per l’aquinate, ogni ente partecipa dell’essere in modo limitato, mentre solo Dio è l’”ipsum esse subsistens”, l’essere stesso sussistente. Ogni ente creato è composto da essenza (ciò che una cosa è) ed esistenza (il fatto che quella cosa sia): solo in Dio essenza ed esistenza coincidono. Questo rende Dio l’ente perfettissimo (esse perfectissimum), privo di potenzialità, totalmente atto e causa prima di tutto ciò che esiste. Pertanto, per Tommaso d’Aquino, il concetto fondamentale della realtà è l’essere (esse). Ogni cosa che esiste è, in primo luogo, un ente: qualcosa che “è”. Tuttavia, l’essere non è una realtà uniforme. Esistono diversi livelli e modi di esistere, e comprendere questa varietà è il compito della metafisica, che per Tommaso d’Aquino è la scienza dell’ente in quanto ente.
L’intuizione fondamentale di Tommaso d’Aquino risiede nel concetto che l’essere non costituisca una categoria tra le altre, bensì l’elemento caratterizzante ogni ente. In tal senso, Tommaso si distingue sia dalla dottrina platonica, che attribuisce priorità alle idee, sia da quella aristotelica, incentrata sulla sostanza, per porre l’accento sull’atto di essere, l’actus essendi.
1.1 Composizione di essenza ed esistenza
Secondo Tommaso, ogni ente creato è composto di due principi:
- Essenza (essentia; id quod quid est; quidditas): ciò che una cosa è, la sua definizione (per esempio: “uomo = animale razionale”). Tommaso riprende Aristotele e la scolastica precedente, specialmente Avicenna, per definire l’essenza (essentia) come la quidditas, cioè “ciò che una cosa è”. È la natura specifica di un ente, ciò che lo fa appartenere a una certa specie (uomo, cavallo, pietra…).
- Esistenza (esse): il fatto che quella cosa sia, al di là della sua definizione.
Scrive nel De ente et essentia: “In omnibus creaturis aliud est essentia, aliud esse”,“In tutte le creature, l’essenza è distinta dall’essere.” (De ente et essentia, cap. 4). Solo in Dio essenza ed esistenza coincidono: “Deus est ipsum esse subsistens” – Dio è il suo stesso essere. Questo significa che nessuna creatura esiste per se stessa, ma riceve l’essere da un altro, cioè, nel nostro contesto, da Dio. L’essere, per Tommaso, è ciò che attualizza l’essenza, è l’atto più fondamentale.
1.2 Dio come esse subsistens
Diversamente dalle creature, vincolate dalla frattura tra essenza ed esistenza, Dio appare come un'unica, indivisibile realtà. In Lui, l'essere non è posseduto, bensì incarnato nella sua essenza; Egli non ha l'essere, Egli è l'essere. Come afferma nella Summa Theologiae: “Deus non solum est sua essentia, ut ostensum est, sed etiam suum esse” — Dio non è solo la sua essenza, ma anche il suo stesso essere (Summa Theologiae, I, q. 3, a. 4).
Questa verità riverbera con una potenza unica: Dio è il solo essere per essenza, il subsistens, colui che sussiste in sé e per sé, svincolato da ogni dipendenza. Da Lui scaturisce il dono dell’esistenza per tutte le altre entità, che traggono il loro essere dalla sua infinita pienezza. Egli è l'atto puro (actus purus), privo di ogni ombra di potenzialità, completamente realizzato, assolutamente perfetto. Nei limiti degli esseri finiti si cela sempre la dualità tra ciò che è solo in potenza e ciò che si concretizza in atto; in Dio, invece, tale dualità svanisce, lasciando spazio all'identità perfetta tra essere, agire e perfezione. Un’armonia assoluta che abbraccia l’eterno.
1.3 L’essere come atto
Tommaso d’Aquino considera l’essere come l’atto ultimo di ogni realtà, ciò che completa ogni altra perfezione. La forma di una cosa non è sufficiente a renderla reale: è l’essere che la fa esistere concretamente. Come scrive: “L’essere è l’attualità di tutti gli atti, e perciò è la perfezione di tutte le perfezioni” (De potentia, q. 7, a. 2).
Questa prospettiva rivoluziona la metafisica: il centro non è più la “sostanza” in senso aristotelico, bensì l’atto di essere (actus essendi) che sostiene ogni cosa.
Per Tommaso, quindi, l’essere è il fondamento ontologico di tutto. Ogni cosa è ciò che è in quanto partecipa dell’essere, e solo Dio è l’essere stesso. La filosofia tomista è, in questo senso, una vera e propria metafisica dell’essere, che parte dall’esperienza degli enti finiti per risalire, con rigore logico e razionale, all’essere assoluto, cioè a Dio.
Rimandiamo al punto 6 per un rapido sguardo ai concetti di intelletto e di metafisica dell’essere come trattati nella Summa contra Gentiles nel Libro 2, LII.
2. La dimostrazione dell’esistenza di Dio
Tommaso d’Aquino affronta la questione dell’esistenza di Dio in modo filosofico, cioè a partire dalla ragione naturale. Egli sostiene che, sebbene la fede possa conoscere Dio per rivelazione, è anche possibile dimostrare razionalmente che Dio esiste osservando il mondo. Questo è il compito della teologia naturale, che studia Dio con gli strumenti della filosofia. La trattazione più celebre si trova nella Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3, dove Tommaso espone le famose “cinque vie” (quinque viae), cioè cinque argomenti razionali che portano alla conclusione che Dio esiste: “Deum esse quinque viis probari potest”; “L’esistenza di Dio può essere dimostrata in cinque modi” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.1 Prima via: dal movimento
Tommaso parte dal fatto evidente che nel mondo ci sono cose che si muovono (cioè il divenire che passa dalla potenza all’atto). Ma niente può muoversi da solo se non è mosso da altro. Questa catena di motori non può andare all’infinito: deve esserci un primo motore immobile: “Ergo necesse est devenire ad aliquod primum movens, quod a nullo movetur, et hoc omnes intelligunt Deum”; “Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.2 Seconda via: dalla causa efficiente
Ogni effetto ha una causa. Ma una cosa non può essere causa di se stessa. Se non si può andare all’infinito nelle cause, si deve arrivare a una causa prima, che non è causata da nulla e che dà inizio alla catena causale: “Ergo est necesse ponere aliquam causam efficientem primam, quam omnes Deum nominant”; “Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.3 Terza via: dalla contingenza all’essere necessario
Nel mondo ci sono esseri contingenti, cioè che possono esistere o non esistere. Ma se tutto fosse contingente, ci sarebbe stato un momento in cui nulla esisteva. E dal nulla, nulla viene. Dunque deve esistere un ente necessario, che non riceve l’essere da un altro: “Ergo necesse est ponere aliquid quod sit per se necessarium, non habens causam necessitatis aliunde, sed quod est causa necessitatis aliis, quod omnes dicunt Deum”; “Dunque bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.4 Quarta via: dai gradi di perfezione
Notiamo che ci sono gradi nei valori: più o meno vero, buono, nobile, ecc. Ma questi gradi si misurano in base a un massimo, come il più caldo rispetto al calore. Deve dunque esserci un essere perfettissimo, che è la misura di tutte le perfezioni: “Ergo est aliquid quod omnibus entibus est causa esse, et bonitatis, et cuiuslibet perfectionis, et hoc dicimus Deum”; “Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
2.5 Quinta via: dal fine (ordine del mondo)
Le cose naturali, pur prive di intelligenza, agiscono in modo ordinato per un fine. Questo ordine non può essere casuale. Ci deve essere un intelletto ordinatore, che dirige tutto verso il fine: una mente suprema che ha disposto l’universo: “Ergo est aliquid intelligens, a quo omnes res naturales ordinantur ad finem, et hoc dicimus Deum”; “Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio” (Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3).
Facciamo notare che, in tutte le sue argomentazioni, Tommaso si muove da un principio fondamentale: “ex effectibus proceditur ad cognitionem causae”, ovvero si conosce la causa attraverso gli effetti.
3. La conoscenza: ragione e rivelazione
Per Tommaso d’Aquino, la ragione naturale può conoscere molte verità sul mondo e persino su Dio. Tuttavia, alcune verità superiori, come la Trinità o l’Incarnazione, possono essere conosciute solo tramite la rivelazione divina. La filosofia e la teologia, pertanto, non si oppongono, ma si completano: la filosofia prepara il terreno alla fede e ne difende i contenuti con argomenti razionali. Questa visione è definita “armonia tra fede e ragione”. Tommaso
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