

La Xenìa nel mondo greco antico
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La Xenìa nel mondo greco antico
Vogliamo qui tracciare un veloce abbozzo storico-sociale su un concetto fondante la civiltà greca antica: la Xenìa, ξενία. Con questo termine si intende la visione greca dell’ospitalità, oggettivata nel rapporto tra coloro che concedono ospitalità e coloro che sono lontani dalla loro casa, ossia gli stranieri. Il termine che indica lo straniero in greco è Xénos, ξένος, quindi, sulla stessa radice di ξενία, e sta ad indicare, con un’ampia sfumatura semantica, l’ospite, lo straniero, l’amico (da non confondere con Philos, φίλος, ossia gli amici della stessa comunità o gli affini), come pure il nemico. Per essere stranieri bastava semplicemente appartenere ad un altro Stato greco o Polis, πόλις. Dobbiamo ricordare, in generale, che la civiltà greca si era diffusa su un vasto territorio a partire dalla colonizzazione, tra il 750 e 650 a.C., la quale vide Greci insediati nell’area mediterranea, dai territori egei della Grecia e dal litorale turco fino al Mar Nero, alla Sicilia e al sud dell’Italia, che prese, come è noto, il nome di Magna Grecia. Queste distanze, pur vissute sotto il segno di una generica unità culturale davano luogo a differenti condizioni politiche e a differenti visioni del mondo. La Polis, infatti, era una comunità che si venne delineando, durante un lungo arco di tempo, come una entità politica indipendente, con istituzioni e leggi proprie, corrispondente ad uno spazio geografico definito e stabile, del quale facevano parte, nel complesso, una parte urbana, un territorio rurale, santuari, i confini, ecc.. Da questo punto di vista è importante ricordare la figura di Clistene (Κλεισθένης, 565–492 a.C.) [1], uno dei padri della democrazia [2], ateniese, che con le sue riforme realizzò una Polis con una nuova distribuzione della popolazione su base territoriale, ben definendone i ruoli, che servì, successivamente, da modello.
La Polis rappresentava, dunque, un microcosmo in sé chiuso, dove il cittadino al di fuori del suo territorio poteva non sentirsi legalmente garantito, persino nella sua incolumità. Da qui si comprende la necessità di creare dei rapporti di mutua protezione tra persone di differenti città, che nei fatti erano tra loro stranieri (ξένοι) [3]. Importante ricordare che stiamo ancora parlando in un contesto di “stirpe greca”, il mondo greco, come è noto, distingueva un ulteriore straniero: il “barbaro” (βάρβαρος, onomatopeico che si può ben rendere con balbettante), ossia colui che non parlava greco, o lo parlava male, appunto perché straniero, visto come un autentico estraneo, sia sul piano etnico-culturale, sia su quello politico [4]. Lo straniero “barbaro” era spesso considerato come una minaccia, i persiani, ad esempio erano considerati, appunto, tali. Ma grazie all’evoluzione del pensiero filosofico e con il cambio radicale di prospettiva dovuta alla nascita e alla dissoluzione dell’impero di Alessandro il Grande (Μέγας Ἀλέξανδρος, 356–323 a.C.), la Grecia avrà un nuovo rapporto con i popoli vicini, ci stiamo riferendo al fenomeno dell’Ellenismo [5].
Un caso particolare di “ospite” è rappresentato dal Meteco (μέτοικος) [6], ossia lo straniero greco residente in una città-stato, almeno da più di un mese. Egli poteva risiedere per un periodo determinato di tempo, di circa massimo un anno. Ad Atene, per esempio, il Meteco era obbligato a iscriversi ad una lista [7] che lo distinguesse dai cittadini, a trovare un prosseneta (προστάτης, la prossenia è comunque una forma di ospitalità), un protettore, che garantisse per lui, a pagare il metoikion (μετοίκιον), ossia un’imposta diretta sulla persona, quest’ultima cosa impensabile per un cittadino e, infine, gli erano vietate anche cariche pubbliche e religiose. Ad Atene i meteci occupavano, nei fatti, una posizione intermedia tra i cittadini e i non liberi.
Tornando all’ospitalità, essa su concretizzava attraverso la relazione reciproca tra ospite e ospitato ed era espressa sia attraverso rituali di ospitalità, come abluzioni, banchetti, offerte agli dei, sia attraverso benefici materiali, ad esempio lo scambio di doni, sia in quelli non materiali, come la protezione, il riparo o altri aiuti. In altre parole, per prima cosa, l’ospite aveva il diritto di essere accolto, curato secondo le sue esigenze (in genere lavato e cosparso di unguenti) e rifocillato. L’importanza dell’ospitalità è confermata anche nell’attribuire al dio greco Zeus (Ζευς) il nome di Zeus Xenios (Ξένιος Ζευς), nel suo ruolo di protettore degli ospiti incarnando così anche un obbligo religioso nell’essere ospitali verso i viandanti. Sempre a ribadire la sacralità della Xenìa, abbiamo un tema della mitologia greca, le teossenie (Θεοξενίαι, letteralmente, l’ospitalità verso una divinità), dove gli uomini dimostrano la loro virtù o pietà estendendo l’ospitalità a un umile straniero (ξένος), che si potrebbe poi rivelare una divinità (Θεός) in incognito, la quale ricambierà il dono o la scortesia dell’ospitante con la dovuta ricompensa. Questo per avvertire i mortali che ogni ospite dovrebbe essere trattato potenzialmente come una divinità. Ecco una delle ragioni per cui il viandante può riprendere il suo cammino solo dopo aver accettato, secondo gli obblighi previsti dalle leggi dell’ospitalità, un dono che l’ospitante offre all’ospite e che quest’ultimo non può rifiutare. Il dono, peraltro, fa guadagnare in prestigio ciò che fa perdere materialmente. Rifiutare il dono significherebbe rifiutarsi di riconoscere il prestigio e la posizione sociale dell’altro. Infine, l’ospite è tenuto a ricambiare l’ospitalità qualora le parti si invertano e l’ospitante si venga a trovare, in veste di viandante, nella casa dell’ospite.
E’ nel mito e nella letteratura, importanti luoghi rivelatori congiuntamente alle fonti storiche, che l’ospitalità trova testimonianza delle sue antiche radici. Come non ricordare il mondo omerico, dove troviamo episodi che aiutano a comprendere il concetto di ospitalità nell’antica Grecia. Innanzitutto, la stessa guerra di Troia, come narrata nell’Iliade, si viene a configurare come il risultato di una violazione delle norme della Xenìa. Elena è sposa di Menelao il quale sta ospitando Paride, quest’ultimo la seduce e la rapisce infrangendo gravemente i vincoli dettati dell’ospitalità. Leggiamo nel
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