L’alimentazione sostenibile
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L’alimentazione sostenibile
Un’opportunità per il pianeta e per noi stessi.
Fino al secolo scorso, circa il 50% della popolazione italiana era impiegata nel lavoro del settore agricolo, mentre al giorno d’oggi questa percentuale si è drasticamente ridotta ad un mero 4%. Questo processo si è presentato come la grande rivoluzione agricola durante i centocinquant’anni che ci separano dall’era preindustriale italiana, la quale, resa possibile grazie alla capacità motrice dei combustibili fossili, ha permesso a moltissime persone di spostarsi dagli ambienti rurali ed agricoli, recepiti dai contemporanei non solo come più modesti ma addirittura inferiori, verso le zone urbane alla ricerca di un lavoro nel settore secondario o terziario. Questa “fuga” dalla campagna è stata resa appunto possibile grazie all’enorme riduzione della richiesta di manodopera necessaria alla coltivazione dei campi, all’allevamento del bestiame e alla mungitura, alla silvicoltura e a tutte le altre attività contadine ordinarie. Il contadino, noto come proletario in quanto l’unico “bene” di cui era possessore era la sua prole, aveva infatti l’arduo compito di nutrire la sua famiglia e una fetta di popolazione cittadina attraverso enormi sforzi e sacrifici. Al giorno d’oggi sforzi e sacrifici non mancano, ma la maggior parte del lavoro non è più svolta da animali da soma o da tiro, ma da mezzi agricoli a motore, i quali rispetto agli animali hanno una resa infinitamente maggiore. Un singolo operatore agricolo è passato dall’arare un ettaro di campo al giorno grazie all’aiuto dei suoi buoi, ad arare cento ettari al giorno grazie all’aiuto dei mezzi agricoli.
Con l’avvento dell’industrializzazione dei settori produttivi primari, tra cui quelli agricoli e zootecnici, si è parallelamente verificata una sovraproduzione tipica del sistema industriale capitalistico che ha richiesto, al fine di produrre cibo in abbondanza e sovrabbondanza riducendo contemporaneamente il tempo e la manodopera richiesta per la sua produzione, lo sfruttamento massivo delle risorse naturali come terreno, acqua, prodotti fertilizzanti, animali.
Da una grande gioia per la massiva produzione di cibo e l’addio alla temuta “fame” si è passati, ai giorni nostri, ad un terrore per l’eccessivo sfruttamento di queste materie e l’impoverimento della qualità della terra e delle produzioni agricole, oltre che all’inquinamento dovuto in generale a tutti i sistemi di produzione ordinati secondo le necessità del capitalismo. Si è quindi capito che esiste un limite alle risorse che la terra ha da offrire, e che il sistema di cui siamo parte non è mai stato sostenibile.
Le generazioni moderne si trovano quindi obbligate a cambiare il loro stile di vita pieno di sprechi ed eccessi, orientandosi verso un sistema che permetta lo sfruttamento della terra anche da parte delle generazioni future. Si è capito che mangiare cibo eccessivamente processato, come quello proposto da ogni catena di fast food, o prodotto attraverso metodologie chimiche nocive per l’ambiente (e per l’uomo) comportano un decadimento della salute dei consumatori. Mangiare in modo più consapevole è sinonimo quindi non solo di amore per l’ambiente, ma anche per noi stessi, e soprattutto ci permette di vivere una vita molto più sana.
Alimentarsi in modo sostenibile, come ogni altra azione dettata dalla filosofia della sostenibilità, significa mangiare prodotti i quali non portano danni eccessivi alla salute dell’ambiente e di noi stessi. Nutrirsi diventa il passo successivo all’informarsi: prendere conoscenza della zona di produzione, delle modalità di produzione, delle modalità di trasporto e imballaggio, e soprattutto se il produttore viene trattato in modo umano o disumano diventano azioni di centrale importanza in un mondo in cui ci è concessa un’ ampissima scelta dei prodotti che preferiamo consumare. Contrastare le mode odierne diventa quindi imprescindibile se si vuole mangiare in modo sostenibile, allontanandosi da tutti i prodotti non di stagione o che vengono trasportati tramite aereo in Europa (come papaya, avocado, mango, ananas, e moltissime varietà di prodotti ittici), cercando invece un ritorno ai cibi “di una volta”, piatti legati al susseguirsi delle stagioni e alla necessità di sfruttare al meglio ogni singolo prodotto per nutrire famiglie molto numerose, senza sprecare nulla.
Preferire prodotti della regione o addirittura a km0 rende possibile non solo nutrirsi di cibo fresco, ma soprattutto di cibo non trattato tramite conservanti o attraverso altre metodologie di conservazione, i quali possono influire in modo negativo sulla nostra salute e, tramite la loro produzione in modo chimico, sulla salute dell’ambiente. Permette inoltre di salvaguardare le tipicità dei nostri territori e le secolari tradizioni legate alle tecniche di produzione e alla realizzazione delle pietanze.
Il prodotto locale è una garanzia per l’approvvigionamento del prodotto alimentare e della sovranità alimentare, oltre che della garanzia di produzione corretta e onesta, verificata possibilmente dai nostri stessi occhi. Comprando cibo sostenibile non solo abbiamo la possibilità di seguire il ciclo annuale della natura, ma anche di reimparare a conoscerla attraverso il contatto con il produttore e l’animale, imparando che dietro ad ogni scatola che troviamo al supermercato ci sono mesi di duro lavoro e, inevitabilmente, la tragica fine di una vita (animale o vegetale) cosa da cui ormai siamo alienati a causa della catena di produzione industriale della carne, che ci fa conoscere il bestiame come mezzo utile al nostro benessere e ci allontana sia metaforicamente che fisicamente dal sacrificio di un’esistenza. Rispettare la vita significa anche non comprare il cibo per poi eliminarlo in modo superficiale.
È quindi non solo necessario, ma imperativo, modificare la nostra dieta odierna ricca di carni e zuccheri e riscoprire la ben nota dieta mediterranea, nata attorno a noi, mettendo in tavola cereali integrali, moltissima frutta e verdura, olio di oliva, riducendo il consumo di proteine e di latticini.
La dieta mediterranea non riguarda solo il cibo ma anche il come lo si mangia. Si incentiva il mangiare in compagnia e il godimento dell’esperienza culinaria come avvenimento comune, al quale gli italiani hanno sempre dato grande importanza.