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La Filogenesi Molecolare

La Filogenesi Molecolare

Published Aug 22, 2025 Updated Aug 22, 2025 Culture
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La Filogenesi Molecolare

Il problema moderno della teoria dell’evoluzione darwiniana è che non spiegava il modello di ereditarietà genetica dei caratteri, ovvero Darwin non era ancora al corrente degli studi effettuati da Mendel. Una volta concretizzata la genetica Mendeliana e si è sviluppata la sintesi moderna, ovvero un aggiornamento della teoria dell’evoluzione a cui si aggiungono le nozioni di ereditarietà dei caratteri. Gli alberi filogenetici, che servono a descrivere le relazioni di parentela tra le varie specie, dagli albori della scienza fino agli anni 60 del novecento erano costruiti attraverso il solo paragone e confronto di caratteri fenotipici tra le specie.

Un carattere è una qualità di un organismo, ereditabile ed in parte variabile. Due organismi che possiedono molti caratteri simili sono filogeneticamente affini. Due organismi con pochi caratteri affini sono filogeneticamente lontani.

I caratteri possono essere unici o non unici:

o I caratteri unici si sono sviluppati una sola volta nel corso dell’evoluzione delle specie (Apomorfia); sono quindi ottimi marcatori della storia evolutiva;

o I caratteri non unici si sono evoluti più di una volta in modo indipendente. Da questi caratteri non si può ricostruire la filogenesi, in quanto sono caratteri simili tra loro che però non presentano un’origine comune. Si tratta di evoluzione indipendente e si parla di omoplasia.

L’evoluzione quindi, vista in chiave moderna, non è semplicemente una selezione applicata su caratteri fenotipici come l’aveva inizialmente concepita Darwin, ma avviene anche a livello molecolare, in particolare a livello di DNA. Al giorno d’oggi possiamo usare dati molecolari per ri-costruire le relazioni filogenetiche (di parentela) tra organismi, dati riassumibili visivamente in un albero filogenetico. Non tutti gli organismi esistiti hanno lasciato tracce fossili, ma tutti hanno posseduto, e in modo passivo modificato e selezionato, segmenti di DNA. Con questi dati, presenti e mantenuti tutt’oggi negli organismi moderni, possiamo ricostruire la storia evolutiva degli organismi a livello di organizzazione genetica. Questa tecnica ha però delle limitazioni per quanto riguarda la ricostruzione della filogenesi a ritroso nel tempo, in quanto gli organismi unicellulari ancestrali erano, e sono, capaci di scambi genetici orizzontali. In un certo senso ci mischiano le carte in tavola.

Cosa tratta questa scienza quindi? Davanti a noi abbiamo delle lunghe stringhe di DNA, lunghissime ripetizioni delle stesse 4 basi azotate al cui interno è “salvata” ogni singola proteina e molecola prodotta dal nostro corpo. Questo libro magno viene copiato ad ogni duplicazione cellulare, in modo che ognuna delle due cellule figlie ne riceva una copia dalla cellula madre; ogni tanto però può capitare che qualcosa vada storto. Tra le tantissime basi è infatti possibile che il macchinario della replicazione cellulare commetta un errore, scambiando una base azotata con un'altra. Si presenta quindi una discrepanza tra il codice genetico originale e quello presente all’interno della cellula che ha commesso l’errore. Se questa cellula è un gamete, quindi una cellula adibita alla riproduzione, ecco che l’errore viene propagato alle generazioni successive. Ma questa modifica casuale quali conseguenze può avere? Ci sono tre possibilità: che sia una mutazione deleteria, ovvero che rovini la produzione di una molecola o una proteina importantissima per lo sviluppo del nuovo organismo. Che sia una mutazione neutra, ovvero avvenuta in una posizione del DNA non codificante o che la modifica non consista in una conseguente modificazione del prodotto genico (questo è possibile grazie alla ridondanza del codice genetico, ovvero più combinazioni di basi azotate producono lo stesso amminoacido). E infine molto raramente può capitare che la variazione sia positiva per la specie. È qui che entra in gioco la selezione naturale: le mutazioni favorevoli si accumulano nel DNA, come quelle silenti, mentre le mutazioni deleterie vengono eliminate attraverso gli agenti di selezione naturale.

In questa casistica di modificazioni, individuiamo due macro-tipologie di variazioni a livello di gene:

i geni Paralogi sono geni la cui funzione è diversa rispetto a quella che avevano nei loro progenitori, ovvero le mutazioni casuali ne hanno modificato la funzione;

i geni ortologi sono geni la cui funzione è rimasta invariata rispetto a quella che svolgevano nei loro antenati, quindi non hanno subito mutazioni (o meglio, hanno subito solo mutazioni neutre).

Le mutazioni geniche vanno a modificare gli alleli (le possibili forme con cui si può presentare un gene) presenti nel genoma, cambiando di conseguenza le frequenze alleliche delle popolazioni. Plausibili conseguenze di queste mutazioni sono appunto selezione negativa, drift (neutro, accumulo di variazione allelica), e selezione positiva. Inoltre errori di mantenimento della struttura genetica a livello cromosomico possono portare a duplicazioni geniche (con espansione del cromosoma), delezioni (con perdita di informazione genetica).

Si parla di selezione positiva quando vengono promosse nuove varianti genetiche vantaggiose per la sopravvivenza di una popolazione;

Parliamo di selezione negativa invece quando la selezione naturale agisce contro tutte le mutazioni deleterie;

Il drift è dato dall’accumulo di tutte quelle mutazioni silenti, ovvero neutrali, che non possono essere rilevate dagli agenti di selezione naturale perché non hanno un corrispettivo fenotipico. Queste mutazioni neutre si accumulano silenziosamente nel genoma attraverso i secoli e sono responsabili della maggior parte della variazione genetica degli organismi. Nel soggetto non è cambiato nulla a livello fisiologico o morfologico, ma la ripetizione di basi azotate che costituisce il suo DNA, se la analizziamo nel dettaglio, presenta moltissime variazioni e differenze rispetto al DNA “originale” delle sue popolazioni antenate.

A questo riguardo, Motoo Kimura sviluppò la Teoria Neutrale: secondo lui la maggior parte delle mutazioni è neutra, e il tasso di mutazione (la velocità alla quale le singole basi mutano) è statisticamente stabile nel tempo. Si può quindi ipotizzare di usare un “orologio molecolare”, ovvero uno strumento che ci permette di risalire a ritroso nel tempo avendo come indizi unicamente una stringa di DNA. Ma come si fa?

Data la velocità di mutazione (costante) e noto il periodo di tempo che una stringa di DNA ha avuto per mutare (o in generale un lasso di tempo che noi scegliamo di prendere in analisi), si può risalire alla quantità di mutazioni avvenute nella stringa investigata, anche se queste non sono rilevabili a livello fenotipico. È un approccio statistico che ci permette di indovinare i cambiamenti subiti da una sequenza di DNA. Questo rapporto è come una grandezza fisica, ovvero la velocità (Mut./t) è il rapporto tra il tasso di mutazioni (Mut.) e il tempo trascorso (t). è quindi possibile investigare ognuno dei singoli parametri a seconda dei dati a nostra disposizione. Ad esempio avendo la totalità della variazione tra le stringe di due specie (mut) si può risalire al tempo di speciazione delle due (mut*v=t), considerando il tasso di mutazione noto e costante.

Per poter applicare la teoria neutrale è necessario però imporre delle assunzioni matematiche:

·Alcune mutazioni non sono soggette a selezione;

·Le mutazioni soggette a selezione sono mutazioni di amminoacidi (le mutazioni non sinonime sono più spesso soggette alla selezione naturale rispetto alle mutazioni sinonime);

·Il tasso di mutazione è calcolabile.

Con questi dati possiamo affermare che per capire l’effetto finale delle mutazioni possiamo misurare il rapporto tra le mutazioni non sinonime e le mutazioni sinonime dN/dS. In caso di neutralità delle mutazioni, il rapporto è tendente a 1. Se è avvenuta una selezione positiva, e quindi le mutazioni subite sono favorevoli, il numero di mutazioni non sinonime è minore rispetto a quelle sinonime, e quindi il tasso di mutazione è >1; in caso contrario, se è avvenuta una selezione negativa e le mutazioni sono state eliminate, il rapporto dN/dS risulta con tasso di mutazione <1. Cosa significa questa frase? Il numero di mutazioni sinonime sono le mutazioni neutrali, mentre le mutazioni non sinonime sono tutte le mutazioni soggette alla selezione naturale. Usando il tasso di mutazioni sinonime come riferimento, costruiamo un indice che ci permette di controllare se, in un tempo noto, il numero di mutazioni non sinonime è stranamente inferiore rispetto a quello atteso, e quindi qualcosa è stato cancellato, oppure superiore, e quindi le variazioni avvenute sono state mantenute e le riscontriamo nel DNA. (Per poter distinguere a livello operativo una mutazione non sinonima da una sinonima è necessario analizzare la stringa di DNA e valutare la funzione di ogni singola base nell’ottica d’insieme della produzione proteica).

Date queste premesse, ora possiamo introdurre la filogenesi molecolare, ovvero lo studio delle relazioni di parentela che intercorrono tra le specie. In questo caso non ci limitiamo alla filogenesi dei caratteri ma approfondiamo la filogenetica molecolare, che sfrutta i dati di DNA e proteine per inferire queste relazioni di parentela con grande accuratezza.

Per studiare in modo efficace la struttura delle relazioni di più specie contemporaneamente è utile produrre dei diagrammi visivi, detti alberi filogenetici, che mostrano in modo chiaro i risultati dello studio effettuato. La grande sfida della filogenesi è quella di sfruttare dei dati contemporanei a noi, il DNA degli animali, per risalire a ritroso nel tempo evolutivo e scoprire le intersezioni e le divisioni di questi DNA, e quindi la complicata storia evolutiva delle specie animali e vegetali.

Com’è fatto un albero filogenetico? Ce ne sono di diverse categorie, ognuna delle quali possiede al suo interno informazioni particolari. Tutti sono però caratterizzati da degli elementi comuni:

-le foglie: ovvero le estremità della ramificazione, rappresentano le specie moderne;

- i nodi: indicano il momento di ramificazione di una specie, ovvero un evento di speciazione. Da un nodo dipartono tipicamente 2 rami, ma incertezze nei dati o eventi particolari di speciazione possono portare alla presenza di Politomia, ovvero ad un nodo da cui dipartono più di 2 rami;

-i rami: elementi di congiunzione dei nodi, indicano la strada evolutiva percorsa dalla specie a partire dall’antenato comune. A seconda della tipologia di albero filogenetico possono rappresentare anche altre informazioni.

- la radice: il punto di partenza dell’albero, rappresenta il nodo principale, ovvero l’antenato più antico. È un dato necessario per la lettura corretta dell’albero, infatti è la radice che fornisce il verso di lettura delle informazioni contenute nell’albero, e senza di questa non è possibile capire la storia evolutiva contenuta al suo intero.

La categoria più semplice di alberi filogenetici sono i Cladogrammi, ovvero alberi che rappresentano semplicemente le relazioni di similarità tra specie in cui i rami servono solo per unire gli elementi.

I dendrogrammi sono come i cladogrammi, solo che i loro rami contengono anche un informazione generale sulla distanza genetica tra le specie.

I filogrammi contengono un informazione specifica sul rapporto delle distanze genetiche tra le specie.


continua.

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