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[S]Ventura

[S]Ventura

Pubblicato 5 mag 2023 Aggiornato 31 ott 2023 Cultura
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[S]Ventura

Critique du film "Sventura" 2023, inspirée de l'ouvrage "Venise sauvée" de Simone Weil, 1943. 

 

[L'uso perfetto dell'arte della guerra. Nessuna patria da difendere]

Destino di carnivoro: lottare per la vita, per un territorio, per reprodursi, per il cibo necessario alla sopravvivenza.  Lotta rapida. Rabbia senza rancore, a volte fino alla morte, ma nessuna vendetta. Legge di Natura a cui l'Uomo ha obbedito per milioni di anni, da onnivoro.

Poi, il territorio, mai abbastanza vasto. Gli appetiti, infinitamente più estesi del necessario. L'Uomo cessando di battersi unicamente per le mantenere in vita il suo corpo, comincia a battersi per l'ego che lo abita.                                                                                                    Attaccare, difendersi, piegandosi, umili, alle esigenze della Natura. Semplice catena alimentare.                                                               Massacrare, schiacciare, demolire, devastare. Perdite, disfatte, conquiste, umiliazioni, vittorie, gloire. Piegandosi, superbi, alle rischieste dell'ego. La complicata catena dell'odio.

Fu arte, la guerra. Poi mestiere. Massacro, infine, quando un moderno Caino, rubando una scintilla alla collera di Dio, riusci a uccidere suo fratello facendo piovere fuoco dal cielo. Il fiat mors di colui che mai ebbe une voce abbastanza potente per ordinare il fiat lux. Saper annientare a distanza, senza usare le propie mani, il proprio corpo. Non saper generare a distanza : senza usare il proprio corpo. La collera di Dio, senza la sua Onnipotenza. Collera d'infimo dio, accecato dall'odio, che morirà infermo del suo stesso odio. Si annienta solo cio' in cui non ci si riconosce. Dio si riconosce in tutto, tranne che nella crudeltà. L'uomo, pena a riconoscere perfino se stesso. La collera di Dio senza la sua Onniscenza. L'Uomo si perseguita con uno zelo che non ha mai riservato ad alcun culto.

E arte fu la guerra, per millenni. Arte di semi-dei quando l'uomo era ancora mezzo animale. Quando nel corpo che si batteva contro un altro corpo, dell'animale, c'era ancora il fiato, il sangue, il sudore, la paura, lo strappo della carne. E di divina, nella lotta, la pietas. La lealtà che si accordava al nemico - quando la guerra era arte - era la lealtà accordata a se stessi. Il valore del nemico, era il proprio valore. Finendo un nemico, si vedeva la propria fine. Fino alla morte per la polis, la Cité, l'ultimo atto della vita dell'éroe. La polis, l'inizio del Pensiero, l'inizio della coscenza. Delle sue tragedie. Il semi-dio trionfava sul mezzo animale ed era immortalità.

Poi techné, di guerra, ne fece mestiere. La polvere da sparo, allontanando i corpi allontano' la propria morte dalla morte del nemico. Ma non abbastanza per non vedere « gli occhi di un uomo che muore ». Avere la morte dell'altro negli occhi è sufficiente per uccidere con la morte nel cuore. Barricata efficace e artiginale contro la crudeltà.

La guerra come mestiere. Un duro mestiere. Ma qualcuno, per i figli, dovrà pur difendere la terra dei Padri. Qualcuno dovrà pur difendere la carne della propria carne. Si accetta la Morte in tutte le sue forme. Si accetta di riceverla, perché tutto quello che si ama non perisca per mano altrui. Si accetta di darla affinché tutto quello che si ama non perisca di mano altrui. Si accetta di vivere e morire a metà. Ed è forse questo il sacrificio estremo dell'uomo che sa ancora riconoscersi nell'Uomo. Il nemico morto potra' raggiungerti la notte, nell'isola deserta della tua anima, abitata solo dalla tua coscenza, e vendicarsi morendo ancora e ancora davanti ai tuoi occhi.

Poi per Ventura un giorno, sul tavolo di quelli che praticano il mestiere delle armi semplicemente per far fortuna, il Fato getta un dado. E un soldato di ventura, fra tanti altri è assegnato a una terra a cui apparterrà in maniera irrevocabile, per puro caso o per destino assoluto. Invaso da quiete e bellezza. Occupato senza assedio né battaglia. Conquistato da una pace istantanea. Dopo aver resistito alla guerra d'usura di una vita intera. Non c'è più spazio per null'altro. Né per la sua carne, né per la carne della sua carne – se mai ne ha messa in terra. Non c'è più spazio per i suoi fratelli d'armi, né per se stesso, per il suo ego. La fine perfetta del soldato di Ventura. Che moriva giorno dopo giorno nella battaglia di tutte le lealtà alle quali obbedire. Fino al giorno in cui arriva a compiere la scelta del Giusto rubando ancora una volta una scintilla a Dio. Non quella della collera: quella del Suo Amore, della sua infinita Misericordia.

Gli altri mercenari – assetati di richezza e potere – periscono dell'incendio che non appicca, della spada che non sguaina, dell'innocenza e della fiducia che non accetta di tradire. Di quel che ama non avra' salvato il salvabile. Ha salvato l'insalvabile. Senza gloria, in silenzio. Perché ha accettato di rinunciare non a tutto quello che ha, ma a quello che avrebbe potuto avere. In primis a quella terra che serebbe diventata sua, se avesse accettato di devastarla. Depone le armi per salvare una patria che non gli appartiene, una patria alla quale apparterrà per sempre.'

 

Critica al Film "Sventura" di Serana Nono, ispiraro dal testo "Venezia Salva" di Simone Weil

Contributo alla raccolta di testi sulla guerra di autori e artisti veneziani.                                   

       Edizioni La Toletta, Venezia 2023 

 

Soldat de fortune

[L'usage parfait de l'art de la guerre. Aucune patrie pour laquelle se battre].

Destin de carnivore: lutter pour la vie, pour un territoire, pour se reproduire, pour la nourriture nécessaire à la survie. Courts affrontements. Rage sans haine. Parfois jusqu'à la mort. Aucune place pour la rancune. Loi de Nature à laquelle l'homme a obéi en omnivore. 

Puis, les appétits de plus en plus vastes, tellement plus vastes que nécessaire. Le territoire de plus en plus vaste, bien au delà du nécessaire, bien au delà de ce qu'il pouvait maîtiser. L'homme en cessant de se battre uniquement pour garder en vie son corps, commença à se battre pour l'ego que l'habite. Attaquer, se défendre, pour ce que le corps exige se pliant, humbles, aux requêtes de la Nature. Simple chaîne alimentaire. Tuer, écraser, démolir, ravager. Pertes, défaites, conquêtes, humiliations, victoires, gloire. En se pliant, superbes, aux requêtes de l'ego. La très complexe chaîne de la haine.

Fut un art, la guerre. Puis métier. Enfin massacre quand un moderne Caïn, en volant une étincelle à la colère de Dieu, arriva à tuer son frère, en faisant tomber le feu du ciel. Le fiat mors de celui qui jamais eut une voix assez puissante pour ordonner le fiat lux. Savoir comment anéantir de loin, sans y mettre de sa mains et ne pas savoir comment générer de loin, sans y mettre de sa main. La colère de Dieu, sans sa toute-puissance. Colère d'un dieu infime, aveuglé par la haine - qui mourra infirme de sa propre haine. On ne détruit que ce qu'on ne reconnaît pas. Dieu se reconnaît en tout, sauf que dans la cruauté. L'homme, arrive à peine à se reconnaît lui même. La colère de Dieu sans son omniscience. L'homme se persécute avec un zèle que jamais n'employa dans aucun culte.

Et art fut la guerre, pendant des millenaires. Art de semi-dieu quand l'homme était encore à moitié animal. Quand dans un corps qui se battait contre un autre corps, de l'animal, il y avait encore le souffle, le sang, la sueur, la peur, la déchirure de la chaire. Et de divine, dans la lutte, la pietas. La loyauté qu'on accordait à l'ennemi - quand la guerre était art - c'était la loyauté qu'on accordait à soi-même. La valeur de l'ennemi, sa propre valeur. En finissant un ennemi, on voyait sa propre fin. Bataille après bataille, jusqu'à la mort pour la polis, la Cité, le dernier acte de la vie du héro. La polis, le début de la Pensée, le début de la conscience. De ses tragédies. Le semi-dieu triomphait sur le moitié animal. Et c'était immortalité.

Puis techné fit de guerre un métier. La poudre à canon, éloignant les corps éloigna la mort de l'ennemi de sa propre mort. Mais pas assez pour ne pas "voir les yeux d'un homme qui meurt". Avoir la mort de l'autre dans les yeux est suffisant pour tuer la mort dans le cœur. Efficace et artisanal rempart de l'âme contre la cruauté. La guerre comme métier. Dur métier. Mais il faut bien quelqu'un qui puisse la garder, la terre des pères, pour les enfants. Mais pour chaque peuple et nation il faut bien quelqu'un pour défendre la chair de sa chair. Un quelqu'un qui accepte la mort dans toutes ses formes. De la recevoir, afin que tout ce qui mérite de vivre, à ses propres yeux, ne disparaisse pas. De la donner, afin que tout ce qui mérite de vivre, à ses propres yeux, ne disparaisse pas. De mourir à moitié. Et c'est peut-être ce dernier, le sacrifice ultime pour l'homme qui sait encore se reconnaître dans l'Homme. La nuit l'Homme pourra rejoindre le soldat qui n'est pas mort, dans l'île de sa consciences et se venger en mourant, encore et encore, devant ses yeux, nuit après nuit.

Enfin  par un cas de la Fortune, comme tant d'autres,  un jour, dans ce métier des armes, la main du Sort jétte un dès, sur la table des soldats qui louent leurs services. Et ce soldat, un parmi tant d'autres, le Sort l'assigne à une terre à laquelle il appartiendra de manière irrévocable, par pur hasard ou destin absolu. Envahi par quiétude et beauté. Occupé sans siège, ni combat. Conquis dans un seul instant par la Paix, après la guerre d'usure d'une vie entière. Il n'y a plus la place pour rien d'autre. Ni pour sa chaire, ni pour la chaire de sa chaire – si jamais il y en a mis sur terre. Il n'y a plus de place pour les compagnons de fortune, pour les frères d'armes. Il n'y a même plus la place pour lui même. Pour son ego. C'est la fin parfaite du Soldat de Fortune. Qui mourait jour après jour, dans la bataille entre toutes les loyautés entre lesquelles il était obligé de se tenir, jusqu'à quand il fait le choix du Juste en volant encore une fois une étincelle à Dieu. Non pas celle de sa colère: celle de son Amour, de sa Clémence.

Les autres mercenaires – assoiffés de pouvoir et gain - périssent ainsi du feu qu'il n'alluma pas, de l'épée qu'il ne dégaine pas, de l'innocence et la confiance qu'il n'accepte pas de trahir. De ce qu'il aime il n'aura pas sauvé ce qu'il a pu, mais ce qu'il ne pouvait pas. Sans gloire, en silence. Parce que il a accepté de renoncer à bien plus de tout ce qu'il avait. Il a renoncé à ce qu'il aurait pu avoir, in primis cette terre qui aurait fait sienne, s'il avait décidé de la dévaster. Il pose les armes pour défendre une patrie que ne lui appartient pas, mais à laquelle il appartiendra à tout jamais.

 

Critique de "Sventura" Film de Serena Nono, inspiré par "Venezia salva" de S. Weil.

A paraître dans le reccueil de reflexions d'auteurs et artistes venitiens autour de la guerre.                   Editions La Toletta, Venezia, 2023.

 

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