Il sonno della ragione
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Il sonno della ragione
Alle elezioni per il sindaco erano anni che non si candidava nessuno oltre al candidato della lista del Fronte Cittadino. Ogni cinque anni, da un quarto di secolo ormai, come una cerimonia spogliata di ogni sacralità si ripeteva la chiamata alle urne, e ogni volta, puntuale, arrivava il risultato meno desiderato. Sarebbe stato possibile fermare una qualunque persona per strada ed essere sicuri che alla domanda “ma tu chi vorresti vincesse?” quella avrebbe risposto “non questi qua”. “Questi qua”, erano i candidati del Fronte: in genere uomini, sui cinquanta-sessant’anni, senza nessuna reale competenza, sicuri di sé più per il fatto che erano abituati a non mettersi mai in discussione che non per le loro reali competenze. Questi “politici”, dai volti sconcertantemente sovrapponibili per la loro comune aria tronfia e sprezzante, si alternavano nelle cariche del comune come in un grottesco valzer, senza che nessuno opponesse particolare resistenza al loro monopolio. Nei primi anni dopo la formazione del partito l’opposizione provava ad ammonire gli elettori parlando di pericolo di una deriva qualunquista della politica, dell’importanza dell’alternarsi di diversi partiti al potere, dell’impossibilità di dialogare con un avversario così sfacciatamente avverso al confronto con i fatti e con la propria incoerenza.
A nulla era servito mettere in guardia i cittadini
il Fronte, con il suo nucleo di non-valori riassumibili in slogan come “i cittadini al primo posto”, “per una città più sicura”, “in difesa dei nostri valori”, aveva stravinto le elezioni la prima volta in cui si era presentato e negli anni successivi aveva perfezionato la sua ricetta fatta di populismo e fumo negli occhi dell’opinione pubblica, garantendosi la rielezione per la apparente mancanza di alternative più che per i successi della propria amministrazione. I partiti avversari ottennero percentuali sempre più esigue alle elezioni successive; aveva fatto scalpore la decisione di uno di questi, alle terze elezioni dalla nascita del Fronte, di non candidare nessuno. Confusa iniziativa attuata un po’ come protesta un po’ per disperazione, sicuramente per mancanza di idee migliori, questo fatto era stato archiviato dopo poco tempo come le mille storie di corruzione, di scandali sessuali, di abusi di potere che coinvolgevano i politici al potere abbastanza insignificanti da non godere di una minima protezione dall’esposizione mediatica. Erano gli anni in cui il flusso incessante delle informazioni anestetizzava tutti e li rendeva incapaci di pensare a un reale cambiamento, fantasmi troppo occupati nell’estremo tentativo di rimanere aggrappati alla propria vita non perché tengono a ciò che hanno ma per la paura del carico di ignoto che ogni cambiamento porta con sé. Con il passare del tempo tutte le speranze di chi non si accontentava di farsi trascinare dalla corrente e provava a deviare dal corso del fiume, sempre più impetuoso, della retorica del Fronte, deperivano come arbusti in una campagna brulla senza più un sole da cui trarre energia. La situazione appariva immutabile.
Questo finché un giorno, inaspettato, non arrivò il silenzio.
Da un giorno all’altro prima pochi individui, poi gruppi sempre più numerosi, infine intere masse di persone si riversarono nelle strade. Le domande giravano e si spargevano con la velocità e l’intensità di fiamme in una sterpaglia secca: “ma a te arrivano i messaggi?”, “a te funziona la mail?”. Misteriosamente ogni forma di comunicazione digitale aveva smesso di funzionare. Nei mesi successivi le persone, come imparando nuovamente ad utilizzare un arto dopo aver tolto un gesso che lo aveva bloccato per lungo tempo, ripresero ad organizzare il proprio vivere individuale e sociale con maggiore calma, con un approccio lento e misurato. In una realtà in cui gli scambi tra persone avevano la solida consistenza del legno, della carta e del metallo, e non più quella inafferrabile ed avvolgente dell’eterea elettricità, la retorica e i meccanismi di indirizzamento dell’opinione pubblica del Fronte semplicemente non avevano uno spazio adatto ad esprimersi e quando non si frangevano vanamente come le onde contro le alte ripe di un fiordo venivano ignorati come era accaduto a tutte le opinioni di buonsenso nei decenni precedenti. In questo modo la città riprese ad essere un luogo in cui le opinioni si confrontavano e dal loro incontro nascevano idee nuove, e i cittadini si sentivano vicini, non camminavano l’uno al fianco dell’altro ignorando la reciproca esistenza come biglie fatte scorrere su un piano, tutte identiche ma distinte dalle altre. Fu chiaro a tutti che non sarebbe stato possibile il ripetersi della storia, ormai gli esseri umani avevano interiorizzato un valore troppo forte per essere ignorato o dimenticato: quello della realtà, intesa come dimensione a cui riferire tutte le esperienze dell’animo, in cui ricercare di un altro valore non come un fine ma per il processo stesso della ricerca: la verità.