Scrivere uccide
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Scrivere uccide
SCRIVERE UCCIDE
Sono pronto. Per appuntarmi l’immagine che più mi tenta, la metafora più accattivante, la sequenza di parole più musicale. Ogni suo gesto, ogni sua parola può essere l’idea, l’ipotesi di storia a cui non avevo ancora pensato e che mi farebbe uscire vincitore nella lotta contro il mio nemico più temuto: il blocco dello scrittore. L’ho scelta per le sue labbra piene, le braccia e le gambe sottili, la pelle profumata e quasi trasparente, gli occhi di cielo. Deve essere molto bella perché la possa incontrare di nuovo, nel mio romanzo. Anche se… mi domando se narrare del movimento che le fa ondeggiare l’abito blu sulle cosce in modo così sensuale, potrebbe interessare di più della descrizione della sua bellezza. Le sue parole m’incantano: saranno dialoghi perfetti.
Parliamo come se ci conoscessimo da un po’, non le nascondo la mia passione-ossessione per la scrittura. Della mia paura del contatto fisico, invece, una cosa che cerco di non far mai trapelare, non accenno nemmeno. Le dico che il romanzo a cui sto pensando parlerà di seduzione e lei pare davvero interessata. Non al mio romanzo, intuisco poi, ma al tema del mio romanzo. Non mi ascolta più quando, seduti nei sedili posteriori della sua auto, le spiego che l’interesse per lei è solo mentale e che non accetto invasioni del mio spazio corporeo. Pensa che stia scherzando e interpreta il mio sguardo in cerca d’ispirazione con malizia. Comincia a sfiorarmi. Quando sento le sue mani su di me e il tocco della sua lingua molesta, il mio cuore accelera di colpo e io inizio a tremare e a sudare. Oscillo tra brividi e vampate, una fitta al petto mi trafigge, ostacolandomi il respiro. Sento che il panico sta per assalirmi, capisco che presto tutto diventerà incontrollabile, come è già successo. Prima che sia troppo tardi, estraggo l’arma. E le sparo.
Il suo corpo invadente si affloscia, gli occhi cessano di esplorarmi, la bocca che prima sorrideva si blocca in posizione semi aperta, le braccia ricadono molli sul sedile. La scena che ho davanti ai miei occhi dovrebbe turbarmi e invece mi sento meglio, il mio battito torna a ritmi accettabili. Un senso di sollievo mi pervade, finché uno stato di esaltazione sempre più crescente prende il suo posto e, senza ch’io possa oppormi, si appropria di me, eccitandomi. Come quando scrivo una storia, disponendo gli elementi del discorso in una crescente intensità di significato, fino a raggiungere il climax, così, senza più paure o tremori, assecondo l’eccitamento che mi governa e uso il suo corpo esposto per sfogare il mio desiderio.
La mano mi trema, è macchiata di sangue sul dorso, prendo comunque penna e taccuino per iniziare a scrivere. Dalle stesse dita che hanno impugnato la pistola ora sgorga possente l’ispirazione che ho atteso a lungo: viaggia veloce, in autonomia, decide per me, obbligandomi a seguirla. Quando riesco infine a fermarmi, dopo aver scritto pagine e pagine, rileggo tutto e mi accorgo che la narrazione è speciale, perfetta.
Stavolta è lei la cosa più bella che ho visto oggi.
Ispettore De Cillis
“Non è scrittore chi non è macchiato di sangue proprio o altrui” . Gli tornò alla mente quella frase, non riusciva a ricordare dove poteva averla letta. Ma il sangue schizzato sul biglietto era reale, come quello che bagnava i sedili dell’auto, accoglienti giacigli del corpo della giovane donna. Prima di raccogliere il foglietto con le pinze e infilarlo nella busta dei reperti, rilesse il messaggio scritto sopra, nonostante lo conoscesse già a memoria. Come per gli altri due omicidi, era stato scritto a mano, su un foglio di carta bianco:
LEI E’ LA COSA PIU’ BELLA CHE HO VISTO OGGI!! ARRIVEDERLA
Ripensò all’insuccesso delle analisi grafologiche eseguite sui precedenti biglietti e a tutte le ipotesi fatte che non avevano portato a nulla. Perfino la speranza che, con quell’arrivederla, l’assassino-scrittore intendesse suicidarsi per rivedere la vittima nell’aldilà, si era dimostrata vana.
Sembrava dormisse, non fosse stato per la grossa macchia di sangue che si allargava sotto il suo seno. Indossava un abito blu che le lasciava scoperte le gambe e una parte del gluteo, denunciando la mancanza delle mutandine. Era bruna, pelle di porcellana, labbra carnose. Molto bella, anche se inanimata. L’ispettore Lucio De Cillis iniziò a tormentarsi i baffi grigi pensando che fino a quel momento non era stato trovato alcun elemento che accomunasse le prime due vittime, a parte la bellezza. E ora che anche la terza vittima apparteneva alla categoria, temette che non sarebbe emersa nessuna nuova pista da seguire. Ma la cosa peggiore era che non c’era più tempo: avrebbero dovuto rendere pubblica la faccenda e sorbirsi tutte le spiacevoli conseguenze derivanti dalla notizia che un serial killer era in azione in città. Da quando De Cillis era in servizio a Parma, quasi quindici anni, non si erano mai verificati casi di omicidi seriali. Si chiese che impatto avrebbe avuto uno scoop del genere nella provincia emiliana, dopo che l’ultimo bilancio annuale sulla criminalità aveva registrato reati in calo in tutta la provincia. Immaginò i futuri titoli della Gazzetta.
“L’assassino-scrittore colpisce per la terza volta?” – domandò l’agente Pietro Cerdelli comparso al finestrino del Suv, la faccia nascosta dall’obiettivo della Canon puntato sul corpo senza vita della donna. Dietro la macchina fotografica sbucavano i suoi capelli rossi, sparati in tutte le direzioni.
“Potresti darti al giornalismo, Cerdelli.” - lo salutò l’ispettore.
“Lo dice perché ho tardato ad arrivare? Ero nel bel mezzo della festa del quarto compleanno di mia nipote, ispettore. Se non avessi aspettato le candeline, mia sorella non mi avrebbe più parlato per mesi…”
“No, tranquillo. Lo dicevo perché la tua frase sarebbe andata benissimo come titolo per l’articolo di fondo sul giornale…” - rispose De Cillis abbattuto, facendosi intanto da parte per lasciare spazio al collega – “Il biglietto lo fotograferai in laboratorio, l’ho già imbustato.” – aggiunse.
“Mi può aggiornare mentre faccio qualche scatto?”
De Cillis era uscito dall’abitacolo e camminava avanti e indietro nel mezzo della strada chiusa al traffico, massaggiandosi la pancia sporgente con movimenti circolari. “Opera dell’assassino-scrittore, non c’è dubbio: il messaggio lasciato sul corpo, l’auto come luogo del delitto e la ferita al cuore. Vedrai che l’arma sarà la stessa Glock semiautomatica degli altri due casi. Stavolta però potrebbe esserci stata violenza sessuale. Ma… dove si è cacciato Angeli?” Continuando a solcare il manto stradale, animato solo da agenti in divisa, l’ispettore chiamò il medico legale, lamentandosi a voce alta del suo ritardo e che non gli propinasse la solita storia dei cadaveri che non scappano, perché non avrebbe gradito. Finita la telefonata, arrestò di colpo anche la sua camminata. “Col terzo delitto dobbiamo ufficializzare la cosa, capisci che casino, ora?” – aggiunse rivolto al suo subalterno che era accucciato in un’improbabile posa da inquadratura – “Come minimo ci manderanno la cavalleria, un bel branco capace solo di alzare un grosso polverone al suo passaggio: specialisti di assassini seriali, psicologi esperti nei disturbi della personalità…”
“Sarà pure un disturbato mentale, il nostro assassino-scrittore, ma anche un grosso egoista, se decide di far fuori le donne più belle in circolazione lasciandoci a bocca asciutta.” - intervenne Cerdelli, sperando di risollevargli l’umore. Lui parve non ascoltarlo, continuò i suoi ragionamenti a voce alta straziandosi ossessivamente i baffi folti. “Mi tormenta quella parola…arrivederla. Perché si augura di rivederla, se poi la uccide? Crede nella vita dopo la morte, dove prima o poi ci incontreremo tutti?”
“Beh, intanto lui vuole incontrare solo belle donne…” – puntualizzò l’agente fulvo, riuscendo a rubare un sorriso all’ispettore.
“Hai ragione. Allora…adesso seguimi. Supponiamo che il nostro uomo, quando è vittima della sua pulsione incontrollabile, si metta alla ricerca della più bella del giorno. Il motivo è sconosciuto, ma andiamo avanti. La individua e la approccia. Lei è rapita dai suoi modi galanti e accetta di uscirci. Poi all’incontro accade qualcosa, qualcosa che fa degenerare tutto… alla fine lei viene ammazzata. E dopo, lui che fa? Lascia in bella vista un messaggio, per farle (o farci?) sapere che era davvero la miss del giorno e che vorrebbe tanto rivederla. Non ha senso, non ha per niente senso!”
“Sono d’accordo. Ma come si fa a pensare come uno psicopatico? Probabilmente quello che per noi ha un senso, per lui non ne ha, e…”
“Ma se invece il biglietto non fosse un messaggio d’addio?” - lo interruppe l’ispettore.
“Non lo è, infatti. È un arrivederci.” – rispose Cerdelli meravigliandosi dell’ovvietà della sua risposta.
“Sì sì, ma… se il biglietto fosse un primo messaggio, quello per catturarla, e non l’ultimo per salutarla? Se fosse il suo primo approccio, l’incipit di tutta la storia?”
“Beh, non l’avremmo chiamato assassino-scrittore per nulla…”
De Cillis sorrise alla nuova battuta e continuò a rimuginare.
L’agente Cerdelli abbassò la macchina fotografica e rivolse due occhi chiari verso l’ispettore: “Ma perché lasciare sulle vittime il primo biglietto usato per attirare la loro attenzione? Se volesse davvero raccontarci una storia, saremmo sempre fermi all’inizio, non crede?”
“Non è detto. Forse ogni delitto aggiunge capitoli alla storia… Forse dobbiamo saper leggere dove non c’è nulla di scritto…”
“Capo, io non riesco più a seguirla ora. Mi faccia finire, poi riunisca la squadra: avrà più teste a sua disposizione.”
Quando l’ultimo agente fece il suo ingresso nella sala del commissariato, l’ispettore stava ancora pensando alla teoria dell’assassino che vuole raccontare una storia. Era stato facile per lui affibbiare il soprannome di ‘assassino-scrittore’ al serial killer: il biglietto era stato il primo motivo, ma anche l’ossessione da cui gli scrittori sono spesso tormentati. Da quando si era trasferito in Emilia aveva conosciuto alcuni romanzieri: persone distratte, assorbite da un lavoro che è una missione, oppresse da rituali e manie al solo scopo di reiterare ogni giorno il difficile processo creativo della scrittura. Tutte persone non propriamente sane. Ora era sempre più convinto che l’omicida avesse deciso di scrivere le sue ‘opere’ sia con la penna che con l’inchiostro rosso sangue delle sue vittime. Ma non era che una sensazione, ancora difficile da inquadrare.
Fece una semplice alzata di mano e ottenne subito il silenzio della squadra.
“Con questo terzo delitto abbiamo avuto delle conferme, ma anche nuovi sviluppi.” – esordì rivolto ai tre agenti Pietro Cerdelli, Bruno Vincenzi e Cecilia Rovesti che, insieme al patologo forense Marco Angeli, erano seduti attorno al tavolo della saletta adibita a riunioni e interrogatori. “Come potrete immaginare” – continuò – “le conferme riguardano il modus operandi dell’assassino: il biglietto lasciato sul corpo di una donna estremamente bella, l’auto come luogo del crimine, la ferita al cuore inferta col proiettile di una Glock semiautomatica… Modalità che riconducono tutti i tre omicidi ad un unico autore.”
Si schiarì la voce e, prima di continuare, si accertò che tutti prestassero attenzione.
“Tra pochi giorni dovremo accogliere i R.I.S., ma fino ad allora il caso è nelle nostre mani, perciò vorrei ci sforzassimo di dare il meglio. Proviamo a concentrarci sui nuovi sviluppi che sono emersi, due aspetti in particolare. Il primo è l’analisi fatta dal nostro dottor Angeli sul corpo della terza vittima, analisi che ha stabilito esserci stato un atto sessuale dopo l’omicidio. Un’evoluzione che ci dà una grossa mano nell’escludere dalla rosa dei candidati i sospettati di genere femminile, ma anche l’opportunità di analizzare eventuali altre tracce lasciate dall’assassino.”
“Tanto va la gatta al lardo…” - buttò lì Bruno Vincenzi, l’agente che non passava mai inosservato grazie alla grossa fessura che separava i suoi incisivi superiori, facendolo spesso fischiare involontariamente alla pronuncia di determinate consonanti.
“Vedremo, Bruno, vedremo se l’assassino sarà stato così ingenuo da lasciarci lo zampino... vi farò sapere appena avremo gli esiti, cioè molto presto, visto che abbiamo la priorità per questo caso.” - intervenne il patologo, anticipando la domanda che i colleghi gli avrebbero rivolto di lì a poco.
“D’accordo dottore. Pendiamo dalle tue labbra, allora.” – tornò a prendere la parola l’ispettore - “Ma io vorrei che mi diceste ora il vostro parere su un secondo aspetto, più una mia intuizione a dire il vero. Sto parlando del messaggio. Siamo certi che il biglietto abbandonato sui corpi contenga l’unico messaggio che l’assassino-scrittore vuole lasciarci? Se invece si andasse oltre quei biglietti? Se, come molti scrittori, volesse liberarsi dalle sue sofferenze e ritrovare la serenità raccontandoci la storia della sua ossessione? Se l’assassino-scrittore fosse davvero uno scrittore? Per voi sto farneticando?”
“Penso al racconto di una storia molto triste, ispettore…perché un uomo che si libera dalle sofferenze uccidendo, è come se le scagliasse addosso a qualcun altro.” rispose di slancio l’agente Cerdelli.
“Una storia molto triste, non ci sono dubbi…” – intervenne il dottor Angeli – “Lucio, non avertene a male, ma io abbandonerei il filone dello scrittore, mentre sono più che d’accordo con te nel dire che, volente o nolente, un serial killer racconta la storia della propria ossessione con gli omicidi che compie.”
“Certo, certo, allora intendiamo scrittore nel senso di persona che scrive, anche solo un biglietto, non uno scrittore vero e proprio… Cecilia, tu come la vedi?” – domandò De Cillis rivolgendosi alla dottoressa Rovesti, neo psicologa criminale, una testa di lunghi capelli, neri come le sue unghie laccate e una bocca rosso fuoco.
Lei nascose una ciocca dietro l’orecchio e rispose: “Esiste molto spesso una correlazione tra la scelta delle vittime e il tipo di lavoro svolto dal killer: il suo mestiere lo aiuta a catturare le vittime e a compiere gli omicidi. Pensate per esempio ai medici e alle infermiere, che possono scegliere di uccidere i pazienti di cui si occupano… In ogni caso sappiate che l’assassino seriale è quasi sempre un individuo isolato dalla società e con un lavoro modesto. Con l’omicidio vuole riscattarsi da questa posizione di inferiorità, vendicando le frustrazioni subite. Ma, a dire il vero, tra le professioni più frequenti svolte dai serial killer non rientra il lavoro dello scrittore…” S’interruppe un istante prima di continuare: “Anche se… ammetto che stare molte ore da solo e lasciarsi assorbire dalle proprie fantasie…”
“E magari scrivere senza che nessuno ti pubblichi, vuoi mettere la frustrazione?” –s’intromise Cerdelli.
“State venendo dalla mia parte, allora? Dobbiamo cercare tra gli scrittori per trovare il nostro assassino?” –domandò De Cillis.
Si guardarono l’un con l’altro poi, a sorpresa, fu Angeli a rispondere.
“Potrebbe essere qualcosa da cui ripartire. D’altronde, al momento non vedo altre strade da percorrere.”
Avrebbero avuto ancora quarantotto ore di tempo o, con un po’ di fortuna, qualcuna in più. Discussero per ottimizzare il lavoro e dividersi i compiti.
A Vincenzi quello di fare ricerche sul web per individuare un elenco di scrittori locali, tramite il sito dell’ISTAT o dell’agenzia ISBN o contattando le numerosissime case editrici italiane, cercando poi di restringere il campo a quelli con precedenti penali e/o con patologie mentali accertate.
Angeli, una volta in possesso degli esiti di tutte le analisi effettuate sia sulle tracce non biologiche che biologiche rinvenute sulla scena del crimine, avrebbe lavorato per individuare il DNA del colpevole e ricavare dalla Banca Dati del DNA eventuali profili compatibili. L’analisi del liquido seminale avrebbe anche permesso di diagnosticare la presenza di eventuali patologie veneree.
La dottoressa Rovesti avrebbe continuato a lavorare sulle motivazioni psicologiche dell’assassino in relazione alla professione di scrittore e non solo, lasciando spazio anche ad altre ipotetiche professioni del killer, data la molteplicità di persone in Italia per le quali la scrittura è spesso un secondo lavoro.
L’incarico di indagare ulteriormente sui profili social delle tre vittime, analizzando le interazioni ai loro post o tweet, fu affidato a Cerdelli, mentre l’ispettore De Cillis avrebbe usato le sue conoscenze per intrufolarsi nel mondo editoriale locale e carpirne rumors e segreti.
Tre anni dopo
“De Cillis, ha visto la promozione Sellerio?”
Il suo libraio di fiducia gli rivolse la domanda ben sapendo che l’ispettore non sarebbe uscito dal negozio senza almeno un paio di gialli Sellerio sotto il braccio. Nonostante la libreria che aveva a casa traboccasse di libri ancora da leggere, gli era impossibile resistere all’opportunità di regalarsi nuove letture del suo genere preferito e, in più, scontate. Lesse le trame nei risvolti di copertina e scelse due libri di autori che già conosceva. Poi, un titolo di un autore sconosciuto attirò la sua attenzione. Scrivere uccide. Scorse l’incipit. Quando sento le sue mani su di me e il tocco della sua lingua molesta, il mio cuore accelera di colpo e io inizio a tremare e a sudare. Oscillo tra brividi e vampate, una fitta al petto mi trafigge, ostacolandomi il respiro. Sento che il panico sta per assalirmi, capisco che presto tutto diventerà incontrollabile, come è già successo. Prima che sia troppo tardi, estraggo l’arma. E le sparo. Richiuse il libro e dette un’occhiata alla trama. Lo sguardo si inchiodò su una frase che lo fece rabbrividire. Lei è la cosa più bella che ho visto oggi!! Arrivederla. Non poteva crederci. Rilesse dall’inizio la trama, poi la rilesse ancora. Lo aprì e ne lesse degli stralci a casaccio. Il libro gli tremava tra le mani. Era come il caso di tre anni prima, quello del serial killer che né la sua squadra, né l’arrivo dei RIS, né il lavoro extra dei mesi successivi aveva permesso di individuare. Scacciò dalla mente l’idea che il romanzo fosse opera di qualcuno che, come lui, aveva accesso a tutte le informazioni sull’indagine: conosceva troppo bene i suoi colleghi per pensarlo e sapeva esattamente cosa era stato fatto trapelare alla stampa e ai media, e cosa no. Nello stesso tempo si rese conto che non poteva neppure trattarsi di un’opera di fantasia: troppe coincidenze. Pensò alle febbrili ricerche di Cerdelli, completamente inutili, che avevano etichettato il killer come un ‘tardivo digitale’, cresciuto senza tecnologia e scettico sull’utilizzo. Ricordò l’inconcludenza degli esiti di laboratorio: non si era ricavato alcun profilo di DNA compatibile con quello del colpevole e nemmeno si erano ritrovate tracce di malattie. Si rivide con Vincenzi nel sottoporre a colloquio tutti gli scrittori che avevano individuato: sorrise al ricordo delle domande del collega, intervallate da imbarazzanti fischiettii. Gli scrittori si erano dimostrati comunque completamente estranei agli omicidi o con alibi inattaccabili. Anche il lavoro della psicologa criminale e degli esperti del RIS, di balistica, chimica, biologia… erano stati fallimentari. Dulcis in fundo, l’assassino non aveva fatto altre vittime, per fortuna, ma anche purtroppo per la loro indagine. Andò subito alle note sull’autore. Glauco Ferrarini. Giornalista, ha iniziato collaborando col quotidiano La Gazzetta di Parma; dal 2016 si occupa anche di sceneggiatura, dividendosi tra Parma e Roma. ‘Scrivere uccide’ è il suo primo romanzo. L’ispettore De Cillis non poté non associare i due verbi: scrivere e uccidere: entrambe azioni molto difficili e rischiose, che richiedono perfezione, ma anche eccesso. Esattamente come la foto che ritraeva l’autore: un bell’uomo, capelli chiari lunghi fino alle spalle, il volto di un ovale perfetto. Immortalato mentre sorrideva in modo eccessivo, sembrava guardarlo dagli occhi grandi e sporgenti con aria di compatimento.
Quindi volevi che ti catturassimo? - pensò l’ispettore – O far sapere a tutti quanto sei bravo a scrivere e a uccidere? O magari avevi solo bisogno di qualche anno in galera per dedicarti a scrivere il seguito?
Si diresse verso la cassa per pagare i tre libri, poi, immaginando come si sarebbe riaperta e subito conclusa l’indagine per il primo serial killer parmigiano, se ne andò verso casa trascinando i piedi e dondolando la testa, deluso.
Ma prima della caccia all’autore, decise che avrebbe letto tutto il romanzo. - S.B.