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Il Re dei Gatti

Il Re dei Gatti

Pubblicato 12 apr 2024 Aggiornato 22 mag 2024 Adventure
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Il Re dei Gatti

Un gatto nero 

Fenrir è un gattone nero, con un pelo foltissimo e lunghissimo. Ha dei lunghi baffi neri che si perdono nel nero del manto scuro che lo ricopre completamente. Ha una foltissima coda nera che sembra un piumino. Ha delle zampe grosse per le sue dimensioni, che tra l'altro sono confuse dal pelo lungo e sembra quindi molto più grande di quello che è in realtà. Nonostante l'aspetto minaccioso e regale, è un gattone tranquillo, buono, sereno e soprattutto coccolone. Gli piace dormire, ed è estremamente viziato. Vuole infatti acqua fresca e pulita ogni giorno, e se non viene accontentato salta dentro al lavandino. Mangia solo un particolare tipo di croccantini e nient'altro, letteralmente. È un bravo gatto. Alla fine, al giorno d'oggi non ci sono più topi da cacciare in città, solo i ratti di fogna. Ma Fenrir non è il tipo da andare in una fogna. Quindi un gatto moderno vive solo per essere viziato, e lo si prende in casa con quell'intenzione. E i gatti davvero viziati sono quelli che non si approfittano di noi perché non ce n’è bisogno, tutto è un loro diritto. Un gatto viziato è libero di fare, di andare, di dormire, di guardare e disturbare come quando vuole. Si tratta di un gatto rilassato che difficilmente trova scuse per lamentarsi e che non ha motivo di graffiare, se non per gioco. Fenrir è così, lui sa che casa mia è la sua tana, e non si sognerebbe mai di sporcarla. Va infatti a fare i suoi bisogni nel giardino dei vicini che, amanti del giardinaggio, possiedono aiuole di terriccio sempre fresco. Se lo sapessero, andrebbero fuori di testa. Anche loro hanno un gatto, tutto grigio col pelo corto virgola che non lasciano mai uscire di casa. Ci fissa dalla finestra del primo piano, è un tipo molto triste. Fenrir invece entra ed esce di casa attraverso una gattaiola, strumento utilissimo il cui funzionamento, per fortuna, nessun altro gatto sembra aver compreso. Il mio gatto ha infatti degli amici che vengono a trovarlo, spesso affamati, che si presentano acquattandosi alle finestre della Camera o davanti alla porta a vetro. Io apro la porta e questi entrano a mangiare e bere sotto il costante sguardo di Fenrir, che mal sopporta la mia esagerata benevolenza. Ma io so che l'amicizia di Sakamoto, un gattone longilineo di colore nero, e della gattina tigrata sono essenziali per tenere a bada il temibile gattaccio bianco, da sempre nemesi di Fenrir e di tutti gli altri gatti del quartiere. 

 

“Te lo ripeto, non è con la violenza che cambieremo questo corso d'azione, non è dalla violenza che nasce la pace.” Disse Sakamoto a Fenrir, mentre seduti sul poggiolo in cemento nel giardino si lasciano piacevolmente scaldare dal sole del meriggio invernale.  

“Al contrario della pace, basta un singolo cuore corrotto per far dilagare la violenza. E ultimamente troppi cuori si corrompono troppo facilmente. Ci aspetta un futuro incerto, mio caro Sakamoto, l'unica cosa certa è la nube della brutalità che oscurerà il nostro amato sole.” rispose Fenrir. I due non parlarono più, i gatti non hanno bisogno di riempire il loro tempo di parole senza significato, ma apprezzano la pace ed il silenzio. Parlano solo con intento e sincerità. Non c'è bisogno di mentire nel loro mondo, perché ogni anima per loro è come un libro aperto: gli basta studiarlo un po' per comprenderlo affondo. Non c'è differenza tra la meditazione seduti in cima ad un pilastro e la guardia del giardino. Seduto, col naso sottovento, ferry l'attende, mentre una leggera brezza gli accarezza il pelo. Il suo orecchio si muove di scatto verso l'origine di un rumore di foglie calpestate dietro di lui. Nient'altro.” Ma guarda un po' chi è venuto a trovarmi” dice lui ad alta voce, agitando la coda lunga e nera nel vuoto con un movimento ritmico. 

 

Il confronto 

“Sono venuta a vedere cosa sta succedendo” rispose una voce dietro di lui “Sakamoto mi ha detto che dobbiamo affrontare i preparativi”. La coda di Fenrir si agita ritmicamente nel vuoto. “Mia cara amica, questo è ciò che temo, non ciò che desidero. Sarebbe da sciocchi chiudere i nostri occhi per nascondere la verità alla nostra ragione. Vivere in un'illusione, per quanto bella, rimarrà sempre una vita dedita ad una bugia”.  

“Non ha neanche senso prepararsi ad accogliere ciò che potrebbe non arrivare mai” rispose la gattina, “così facendo sarai tu a costringerli ad attaccarti, se non addirittura finirai per muovere tu il primo passo contro di loro”.  

“Non sono queste le parole che mi aspettavo da un amica”. 

“Sono proprio le parole che non vorresti mai sentir pronunciare, quelle che provengono da un vero amico”.  

La gattina salta a fianco a Fenrir per poi superare il muretto e continuare per la sua strada.  

Tutti i gatti intuiscono l’incombenza di un pericolo imminente, ma non tutti accettano allo stesso modo la sua esistenza. Non che siano vigliacchi, anzi non di tirano mai indietro se c’è da fendere qualche zampata, solo che preferiscono sempre non farlo. La pace, la tranquillità, la calma sono le virtù al centro della vita di ogni gatto.  

Fenrir, ancora seduto sul pilastro d’angolo del muretto, sempre con la coda a mezz’aria, riflette sul da farsi, continuando ad interrogarsi prima di compiere ‘un balzò. “Quando sei in volo non puoi più tornare indietro”. La sua figura seduta sotto il cielo stellato è quasi invisibile, se non fosse per i due occhi gialli che scrutano la notte. È possibile vederlo solo eclissando la sua figura con la luna piena. Sakamoto gli si avvicina: “Io ho riflettuto” gli dice, “lottare, combattere, mettere a rischio la nostra quiete. Io so come prevenire tutto ciò, eliminando il problema alla radice. Addestriamoci, miglioriamo. Facciamo in modo che nessuno abbia il coraggio di marciare contro di noi”.  

“Ho già capito dove vuoi arrivare” gli risponde Fenrir “ed ho paura che facendolo finiremmo solo con l’ottenere l’effetto contrario. Non c’è via di salvezza.” 

“Apprendendo il nostro fine, le nostre motivazioni, saranno sicuramente dalla nostra parte e ci concederanno di assistere ai loro insegnamenti”.  

“I cinque saggi non sono ciò che si proclamano, sono completamente pazzi.”  

“E lo sei anche tu! Lo hai detto tu che non vedi via di salvezza, e quando io te ne propongo una tu ti rifiuti! Se la strada che stiamo percorrendo non ha altre vie, tanto vale giungere all’arrivo preparati”. “Così sia”. 

Il viaggio comincia 

Sakamoto  

Nel silenzio del mattino la coda nera scompare all'interno di un banco di bruma. È molto complicato navigare nella nebbia: I baffi diventano umidi, gli odori statici non vengono trasportati dal vento, non si vede molto lontano e quindi si è costretti a camminare a livello del terreno. Non un inizio ottimale. Il miglior modo per orientarsi rimane il sole e partire al mattino è necessario per sapere dov'è l'est. Il gatto nero scivola velocemente verso la campagna, filtrando tra le foglie bagnate degli arbusti variopinti. Le ragnatele bagnate dalle goccioline di condensa sembrano piccoli gioielli argentati legati tra i rami e i ciuffi d’erba più robusti. I prati verdi che si allungano oltre orizzonte ne sono adorni, come se una piccola porzione del cielo stellato si fosse attardata a riposarsi in quel bel Prato. Sakamoto si muove verso nord, verso le grandi montagne innevate che normalmente si impongono maestosamente sulla pianura. Lì, da qualche parte vaga il gatto Aren il senza dimora. E lui il saggio possessore dell'arte che Sakamoto brama apprendere. Alcuni credono che le sue conoscenze siano molto più ampie, ma non sono molto i gatti che sono stati capaci di trovarlo. Il calore del sole scaccia man mano la nebbia facendo comparire la cima delle montagne davanti al Sakamoto, imponendo la necessità di muoversi lungo le file alberate che seguono il corso dei piccoli ruscelli. Infatti, impediva di vedere, ma al contempo di essere visto. Gli uccelli cantano, i grilli saltano, topini e arvicole e fuggono più non posso quando sentono l’avvicinarsi del gatto, ma a questo non interessa nulla se non giungere alle montagne. Brevi periodi di sonno interrompono una marcia altrimenti instancabilmente costante. 

Fenrir 

Fenrir si muove con passo deciso, lasciando casa alle sue spalle. L'umidità della nebbia bagna il suo folto pelo nero, appesantendo. Si muove seguendo un marciapiede ciottoloso che lo porta verso ovest. La strada grigia è così silenziosa che non sembra essere un paesaggio di questo mondo, non incontra nessuno lungo il suo cammino. Persino gli uccelli, che solitamente sono estremamente chiassosi, o sono nascosti nei loro nidi o se ne sono andati, lasciando la strada completamente priva di vita. E ciò che succede anche troppo spesso quando si va lungo una strada di cemento: non ci si può scavare, non trattiene l'acqua e se lo fa è sempre nera, non ci si può nascondere. Non è pensata per la vita, è pensata per tenere la vita il più lontano possibile. Se ci cade una foglia va tolta, se ci cresce un fiore va tagliato. Una brezza gentile è l'unica compagnia per Fenrir lungo il suo cammino. Percorrendo la strada così monotona ma che sembra non finire mai, senza preavviso, la leggera brezza si gonfia e soffia con furore scompigliando il pelo al gatto, e qualcosa che bramava in attesa nella fitta nebbia sopra di lui comincia a muoversi. Migliaia di piccoli animali fendono l'aria all'improvviso, cadendo sopra di lui all'unisono. Il gatto salta, toccato sulla schiena da qualcosa, e scatta lungo il marciapiede sterile. Dopo pochi balzi riesce finalmente a saltare fuori dal banco di nebbia, e comprende. Davanti a sé si presenta nella sua infinita lunghezza la strada che deve percorrere, e al di sopra di essa un lunghissimo cumulo di soffici nuvole rose bianche. È un viale alberato lunghissimo ombreggiato da migliaia di ciliegi in fiore, i cui petali piovono su di lui stuzzicati dal vento. Dalla parte opposta degli alberi c'è un piccolo torrente di acqua cristallina. Il gatto riprende la sua marcia. 

 

Murka 

La gattina Murka, toccando terra con le sue zampine bianche, si dirige verso il cancello dei vicini dall’altra parte del giardino, e con un balzo si infila attraverso l’inferriata e scompare nella nebbia. Con lunghi balzi controllati si dirige verso ovest, dove il terreno si inclina in discesa in maniera impercettibile. Lei sa che finché scende sta seguendo la direzione giusta. Dopo una breve ma costante marcia di pochi minuti si ferma davanti ad un fiume di piccole dimensioni, largo una manciata di metri e profondo forse un paio. Un fiume decisamente rispettabile per un gatto. Cerca lungo le rive del fiume un'ansa, una curva stretta e concava in modo che l’acqua le giri attorno, e si siede. Attende pazientemente.  È sicura di sé. Sa che gli altri due suoi amici non sarebbero assolutamente d’accordo con quello che vuole fare, ma non le importa. Un suo orecchio si piega all’indietro, da solo, la avvisa di un pericolo. La gatta non si muove, ma si irrigidisce, pronta a scattare. Sente dei passi che, lentamente, si avvicinano alle sue spalle. Passi felpati, da gatto, però sconosciuti. Di scatto muove la coda, facendola strisciare ritmicamente sull’erba bagnata dalla rugiada. “Girati” le intima una voce di gatto sconosciuta. Lei, per niente intimorita, continua a fissare l’acqua che segue tranquilla il lungo del corso del fiume. “Non mi ripeterò, non avrai un'altra occasione per obbedire.” Ripete imperiosa la voce. “Dai a uno sciocco infinite ricchezze, e lui vorrà la tua” risponde Murka, senza girarsi. “Vi concedo la ricchezza di un altro giorno su questa terra. Andate via.” Sente conficcarsi sul terreno gli artigli dei gatti, ora adiratissimi. “Hai scelto delle pessime ultime parole. Puliremo quest’ onta col sangue.” Murka sente dietro di lei uno dei due gatti lanciarsi a tutta velocità verso la sua direzione. Ancora non si muove, la sua coda si ferma, rimane immobile e dritta verso l’alto. Sente le zampe del gatto che si trascina a gran salti verso di lei, con gli artigli estratti, pronto a colpire. Questo salta, con le zampe aperte, i denti aguzzi in vista, ma senza produrre neanche un suono. Murka quando non sente più le zampe a terra salta dentro la nebbia, verso il corso d’acqua. Il gatto, sorpreso, piomba nello spazio ormai vuoto.  

Murka si ritrova in piedi, su una piattaforma legnosa galleggiante, un grosso tronco che stava aspettando pazientemente da usare come barchetta, per raggiungere la sua destinazione.  il mare. È infatti il mare il luogo dove si dice vaghi Astrid, su una zattera di canne intrecciate. Non si sa come ne sia entrata in possesso, né come sia possibile manovrarla, né di cosa si nutra. Si dice che i pesci saltino fuori dall’acqua per lasciarsi mangiare. Ma sono solo storie che si raccontano ai micetti. Murka ha deciso la sua strada, la più pazza tra le tre. 

La fuga (Sakamoto)

Sakamoto, con passo leggero e rapido, continua la sua marcia verso la cima della montagna. Nel corso di metà pomeriggio raggiunge un grande prato, che si estende a perdita d’occhio davanti a lui. Al centro del prato si erge un'altissima e maestosa quercia. Il gatto si intrufola tra i ciuffi d’erba più alti per continuare imperterrito il suo viaggio, ma all’improvviso si blocca, immobile. Drizza le orecchie, in ascolto, muovendole a scatti in tutte le direzioni. Sembra che ci sia un nuovo fruscio, che prima non c’era. Una lieve brezza muove l’erba attorno a lui, e diviene immediatamente tutto più chiaro. Sakamoto tende i baffi ed estrae gli artigli, graffiando il terreno. Striscia velocemente la pancia su un ciuffo d’erba, marcandolo, e scatta in avanti. Dopo pochi balzi sente dietro di sé un forte brusio, seguito da suoni secchi di denti che sbattono a vuoto e ringhiate. Il micio, disperato, accelera il passo con grande affanno, dirigendosi a rotta di collo verso la sua ultima speranza, la vecchia quercia. Ringhiando, ansimando e sbuffando qualcosa striscia attraverso l’erba dietro di lui, inseguendo il suo odore. Una grossa bestia gli sta' alle calcagna. già sente il suo pesante fiato, caldo e fetido, addosso al suo pelo e le sue zampe artigliate rovinargli addosso possenti. Non può assolutamente fermarsi. A grandi falcate supera metà della distanza che lo separa dalla quercia, e dietro di questa li osserva, stoica e impassibile, la montagna con la cima innevata. L'erba attorno a Sakamoto diventa sempre meno fitta, e sempre più bassa, esponendolo alla vista del mostro. Abbandonato dietro di sé il muro d’erba più alta, questo sembra una muraglia naturale insormontabile, formata da milioni di singoli fili d’erba. Per una manciata di secondi questo muro rimane imperturbabile, ma improvvisamente grandi fasci d’erba tremano, e si piegano, calpestati dalla bestia carnivora. Ed ecco saltare fuori dall’erba un’orrida forma, con denti sporgenti, rotti, sbavante e ansimante. È un cane. Ed eccone saltare fuori un altro, e un altro ancora. Esplosi fuori dal muro d’erba in tre punti differenti, si lanciano impazziti all’inseguimento del gattino. Una tremenda voce da orco scoppia dietro a Sakamoto: “Fermati!”. Il gatto fugge, con la coda nera che rimbalza libera ad ogni salto. Senza mai voltarsi il gatto chiude la distanza dall’albero, correndo sopra le sue grosse radici e finalmente poi aggrappandosi al suo robusto tronco. In pochi secondi è già salito, scomparso tra le fronde e i rami. Serve una scarsa manciata di secondi ai cani per raggiungere l’albero, e cominciano a piantonarlo. Sakamoto li spia dall’alto, sono uno più grande dell’altro, tutti e tre marroni e tutti e tre con le orecchie cadenti sul capo. Guardano l’albero, ansimando, annusando, grattando le radici con le grosse zampe, con movimenti repentini e furiosi. Le tremende voci da orco ricominciano: “Vieni giù, gattaccio! Devo dirti una cosa!” un altro rimbombo fa eco alla prima “Devo farti vedere una cosa!” e ancora “Devo darti una cosa!”. Sakamoto, sforzandosi di dissimulare il terrore, risponde “Che cosa?”.  

“C’è un grande osso qui!” gli fanno le voci terribili “È molto grande! Non ne ho mai visto uno di così grande!”, “È tuo, scendi a prenderlo!”.  

“Un osso?” risponde il gatto “Che me ne dovrei fare di un osso gigante? Non è di mio interesse, mi dispiace”.  

“Ma come!” tuonano i tre. Il cane più grosso, al centro del branco, si siede. <Devo pensare a qualcos’altro, lui è un gatto, non un cane. Devo attirarlo con cose da gatto... Ma certo!> “Vieni giù!” gli fa “qui per te ho un topo bello grande!”, “Un topolino, molto bello!” “è tuo, scendi a prenderlo!”  gli fanno eco gli altri due.  

“Un topolino? Per me? Davvero?”. Sakamoto è così ben nascosto che la voce sembra provenire dall’albero stesso.  

“Si, scendi, è un regalo per te!”.  

Sakamoto, con voce arrogante, gli risponde “Ossa? Topolini? Che schifo! Siete degli sciatti. Si vede eccome che il vostro padrone preferisca uno tra voi tre. Guardalo, che ciccione! Lui no che non sgranocchia ossa, né si accontenta di topolini! Lui si siede a tavola sulle gambe del padrone, e mangia dal suo piatto!”.  

A sentire queste parole, il cane seduto, stizzito, chiude la bocca, e gira la testa verso gli altri due che stanno facendo lo stesso. “Chi è che siede in braccio al padrone?” sbotta uno dei tre. Sakamoto rincara la dose “Tu sei pelle ed ossa, ma lui è ciccione, guardalo!”. I tre cani si scambiano occhiatacce sempre più cariche d’odio, cecando di capire chi sia il più ciccione tra i tre. La tensione nell’aria è palpabile, i respiri diventano pesanti e rauchi, le zanne vengono accennate. Uno dei tre si alza e dice “Vuole solo metterci gli uni contro gli altri, dice il falso apposta”. Sakamoto, dall’alto, gli risponde “Hai ragione tu, sei proprio bravo e intelligente, è per questo che sei il preferito del tuo padrone!”. Il cane si zittisce e abbassa le orecchie. Gli altri due lo guardano, e prima che possa girarsi gli saltano addosso. Sakamoto corre lungo un ramo e salta in cielo, verso la montagna, atterrando poi sull’erba soffice e fuggendo lontano dai cani.  

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