Dead land ep.1 IT
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Dead land ep.1 IT
Gray City
Sangue grigio
Il cemento e il metallo soffocano la terra, il cielo è perennemente coperto da una coltre di gas grigio. Nessuna via d’uscita da ciò che chiamiamo casa. La notte e il giorno hanno lo stesso sapore, le stesse luci artificiali gialle, blu, rosa, verdi. L’odore degli scarichi delle auto è intriso nei vestiti, nel cibo, nelle labbra che baciamo. Tutto è ostile a noi nel mondo che abbiamo creato al costo delle nostre vite, anche la stessa legge. La maggior parte delle presone qui sopravvive a stento, giorno dopo giorno, in una estenuante esistenza alla costante ricerca di scappatoie per portare a casa un tozzo di pane grigio arrotolato nella plastica. Nulla ha più sapore, solo le salse sanno di petrolio, e le bevande sanno di gas. La vita scorre, nel ciclo infinito, tra le strade principali, i vicoli, le scale dei palazzi. Sembra tutto provvisorio alla nostra mente “non starò qui a lungo”, ma non sappiamo di sederci ogni giorno nella nostra bara, muovendoci nella cripta che contiene le nostre anime. La nostra città. Le dobbiamo tutto, ci concede di essere ciò che siamo, le siamo grati e gioiamo quando parlano di lei al telegiornale. Nel mondo aspettiamo che le persone riconoscano lei. Che sappiano i locali, le piazze, i ponti e i monumenti a memoria, senza neanche averli mai visti. Muoversi tra la folla di poveri per le strade, che ingombrano il passaggio e non ci lasciano correre verso la nostra prossima bara, ci rende nervosi, febbrili, morbosi. Una rabbia cresce dentro di noi giorno dopo giorno, mentre cerchiamo di soffocarla con panini e salse, con divertimento e spreco. Cerchiamo di ignorare le grida disperate che provengono dalle tende da campeggio accumulate lungo i marciapiedi, mentre i ruscelli di acqua nera scolano nelle fognature. Alcuni di loro stanno seduti, con le braccia abbandonate a penzolare dalla sedia di plastica che chiamano casa, mentre fissano il vuoto con uno sguardo sorpreso e angosciato e la mandibola cadente. Mentre le siringhe logore sono ancora attaccate alle loro vene. Si tratta di coloro che non possono permettersi di vivere, non hanno abbastanza denaro per essere accolti nel cemento, sono abbandonati a loro stessi mentre cercano disperatamente di tornare nelle grazie di colei che rende grandi gli uomini. Inferiori anche agli animali, nessuno vuole essere guardato da loro, perché i loro occhi sporcano i nostri vestiti con l’indecenza e la pietà, cercano di farcela pesare sulle spalle mentre NOI lavoriamo e NOI fatichiamo e NOI siamo accettati da altri come NOI. Loro sono loro e così deve essere. La città ha parlato chiaro, ha creato uno spazio adatto a loro e gli ha concesso di morire lì, qualsiasi altra richiesta deve essere rifiutata in tronco, qualsiasi preghiera provenga da quelle cose deve essere estirpata e la nostra mente purificata da essa. Camminando per i marciapiedi sentiamo la loro puzza, vediamo il loro cibo dentro le scatole per terra, le loro cose dentro a carrelli della spesa o sacchi della spazzatura. Ironico, perché è proprio ciò che sono e ciò che si meritano di essere. Così è scritto e così deve essere… Il loro unico passatempo, la loro unica medicina, sono le droghe. Ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, o meglio, per tutti i portafogli. Le meno costose sono le droghe sintetiche; non c’è spazio per la natura nemmeno dentro di noi, ma la scienza e la tecnica medica sono ciò di cui il corpo e l’anima hanno bisogno.
Mentre al porto arrivano navi enormi provenienti da ogni parte del mondo a scaricare tonnellate e tonnellate di cubi colorati, mentre giorno e notte le persone corrono come formiche viste dall’alto, con l’unico scopo di morire in nome del formicaio, il mercato si ingrandisce. Sacchi, boccette, blocchi di polveri di ogni genere vengono scaricati e trasportati verso i sobborghi, dentro a fabbriche in mattoni con i vetri rotti, per essere tagliate, allungate, colorate, modificate. Gli impiegati che fanno mucchietti di sabbia da dividere in bustine sanno che quando torneranno a casa dovranno farsi un bagno, per lavare corpo dalle sostanze che si sono depositate sulla loro pelle e la mente dalle conseguenze di ogni sacchetto che hanno chiuso col fuoco di un accendino.
Durante la notte le strade si riempiono di loro, pullulano di quei cosi che si muovono a scatti, con le braccia tese, dritte, cadenti e le schiene inarcate come in danze macabre e squallide, camminano a stento a piccoli passi, molti cadono, alcuni si rialzano. Le mamme chiamano a squarciagola i bambini che si attardano a giocare al parco quando i lampioni si accendono illuminando di giallo l’erba sintetica, perché gli organi freschi valgono un anno di droghe, e la legge della strada è unica e chiara: mai lasciare che un’opportunità si trasformi in un rimpianto. Alcune droghe ti rendono felice, altre ti fanno passare la fame, altre ti fanno dimenticare che il tuo corpo sta marcendo a causa dei buchi infetti che hai sulle braccia. Buchi che si ingrandiscono, facendo marcire intere porzioni di pelle, rendendola nera e squamosa finché non cade, lasciando esposte le ossa bianche. Spesso l’unica cosa che le protegge sono dei sottili fogli di plastica che quei cosi si mettono per coprirsi, come una pelle di petrolio per il nuovo essere che rinasce nel ventre dell’asfalto, che diventa tutt’uno con le strade.