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Il pensiero di Theodor W. Adorno sul capitalismo

Il pensiero di Theodor W. Adorno sul capitalismo

Publicado el 28, may, 2025 Actualizado 28, may, 2025 Cultura
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Il pensiero di Theodor W. Adorno sul capitalismo

Introduzione


Il pensiero di Theodor W. Adorno (1903–1969), filosofo tedesco appartenente alla Scuola di Francoforte, si caratterizza per una radicale critica della modernità capitalista. Insieme a Max Horkheimer e ad altri membri dell’Istituto per la Ricerca Sociale, Adorno ha elaborato una teoria critica della società che mette in discussione i fondamenti ideologici, culturali ed economici del capitalismo avanzato. La sua critica, pur essendo fortemente influenzata dal marxismo, si distingue per l’integrazione di elementi provenienti dalla psicoanalisi, dalla sociologia e dalla filosofia idealista tedesca. In questo saggio si analizzeranno le principali direttrici della critica adorniana al capitalismo, soffermandosi in particolare su tre ambiti centrali: l’industria culturale, la razionalità strumentale e l’alienazione dell’individuo.


La critica al capitalismo di Adorno si distingue per la profondità teorica e la radicalità del giudizio. Diversamente da molte letture riduttive del marxismo economico, Adorno evidenzia la pervasività del dominio capitalistico non solo nelle strutture produttive, ma anche nelle forme simboliche, nei processi cognitivi e nelle dinamiche intersoggettive. La sua analisi dell’industria culturale, della razionalità strumentale e della perdita dell’individualità rappresenta un contributo fondamentale per comprendere i meccanismi attraverso cui il capitalismo moderno produce consenso, disinnesca la critica e perpetua la propria egemonia. Sebbene spesso accusato di pessimismo, Adorno non rinuncia a una speranza negativa: solo attraverso la denuncia implacabile della sofferenza può aprirsi lo spazio per una trasformazione autentica.


1. L’industria culturale e la reificazione della coscienza


Uno dei contributi più noti di Adorno alla critica del capitalismo si trova nell’analisi dell’industria culturale, sviluppata in collaborazione con Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo (1944). Secondo Adorno, la cultura, nel contesto capitalistico, perde la sua funzione critica ed emancipativa per diventare una merce tra le merci, prodotta in serie secondo le logiche dell’efficienza e del profitto. L’industria culturale – cinema, radio, musica popolare, televisione – opera secondo un modello fordista che standardizza i prodotti e le esperienze, promuovendo la passività e il conformismo: «L’industria culturale non si limita a produrre merci, ma produce anche soggettività mercificate» (Dialektik der Aufklärung, 1944). In questa logica, l’arte non è più un luogo di resistenza simbolica, bensì un dispositivo di integrazione ideologica che anestetizza il pensiero critico. Il consumatore è spinto a identificarsi con modelli precostituiti, interiorizzando le logiche di dominio e contribuendo inconsapevolmente alla propria alienazione.


1.1 Cultura come industria: l’assoggettamento dell’estetico all’economico


A differenza della concezione umanistica della cultura come ambito dell’arricchimento spirituale e dell’autocomprensione, Adorno e Horkheimer insistono sulla sua trasformazione in industria, dove nulla viene lasciato all’improvvisazione o all’ispirazione. Film, musica, programmi radiofonici e riviste sono prodotti secondo schemi seriali, subordinati a logiche di mercato: “Il piacere promesso dall’intrattenimento culturale è sempre lo stesso: non essere costretti a pensare, dimenticare la fatica della vita quotidiana” (Dialektik der Aufklärung).


Questo processo non riguarda solo i contenuti, ma anche le forme estetiche, che vengono ridotte a formule ripetitive. Ogni innovazione è immediatamente neutralizzata, omologata e riassorbita dal sistema: anche ciò che appare come ribellione (es. jazz, rock, cinema indipendente) viene trasformato in stile, brand, consumo.


1.2 Reificazione e passività: l’effetto sull’individuo


L’effetto soggettivo di tale processo è ciò che Adorno definisce reificazione della coscienza. Il termine rimanda alla nozione marxiana di Verdinglichung, cioè la trasformazione dei rapporti sociali in cose. Nell’industria culturale, anche i desideri, i sentimenti e le aspirazioni vengono oggettivati, preconfezionati e somministrati al pubblico, che non ha più uno spazio reale di partecipazione attiva: “L’industria culturale produce ciò che è conforme, e ciò che è conforme viene accolto con piacere” (Dialektik der Aufklärung).


La cultura, invece di sollecitare il pensiero critico, promuove la falsa coscienza: lo spettatore crede di scegliere liberamente, ma in realtà consuma ciò che è stato selezionato per lui da una rete invisibile di interessi economici. Il consumo culturale diventa quindi un’illusione di libertà, mentre in realtà serve a consolidare l’adattamento alle condizioni esistenti.


1.3 La critica della massificazione e il confronto con altri pensatori


Adorno si distingue da altri teorici contemporanei della cultura di massa come Walter Benjamin. Mentre Benjamin, nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), intravede nella riproduzione tecnica un potenziale democratizzante dell’arte, Adorno è profondamente scettico: la riproduzione tecnica, nel contesto capitalistico, non emancipa, ma livella e manipola: “La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è il medium perfetto per la sua integrazione nel circuito della merce” (Dialektik der Aufklärung).


Anche rispetto ai sociologi americani come Lazarsfeld o agli apologeti del consumo culturale di massa, Adorno prende una posizione fortemente pessimista e dialettica: la cultura di massa non rappresenta una forma di partecipazione popolare, ma è un sistema di controllo soft, una pedagogia dell’adattamento, in cui l’ideologia si maschera da intrattenimento.


1.4 L’arte come negatività e resistenza (per contrasto)


Tuttavia, l’elaborazione di Adorno sull’industria culturale non implica una rinuncia all’arte. Anzi, proprio in virtù della sua critica, egli difende la possibilità di un’arte autentica, capace di mantenere un carattere negativo, non conciliato, in opposizione al mondo così com’è. Nelle sue riflessioni estetiche, specialmente in Teoria estetica (1970, postumo), Adorno afferma che solo un’arte che non si lascia integrare nel sistema può mantenere una funzione utopica.


2. La razionalità strumentale e la crisi dell’illuminismo


La seconda grande linea di critica adorniana al capitalismo si concentra sul destino della razionalità moderna. Secondo Adorno (e Horkheimer), il progetto illuminista, che aspirava all’autonomia e all’emancipazione dell’uomo tramite la ragione, ha subito una tragica inversione dialettica. La ragione, nata come forza liberatoria, è divenuta razionalità strumentale, un meccanismo impersonale al servizio del dominio. Questa tesi, espressa in modo sistematico nella Dialettica dell’illuminismo (1944), costituisce uno dei nuclei più originali e controversi del pensiero critico francofortese.


2.1 Il disincanto del mondo: la ragione come dominio


Adorno e Horkheimer reinterpretano il processo di secolarizzazione e razionalizzazione della modernità, così come descritto da Max Weber, come disincanto del mondo (Entzauberung der Welt), ma ne denunciano la deriva autoritaria. L’Illuminismo, anziché dissolvere i miti, ne ha prodotto uno nuovo: quello del controllo totale, della razionalità calcolante, dell’onnipotenza tecnica. Ogni elemento qualitativo, simbolico, immaginativo è ridotto a quantità, funzione, utilità. Il mondo viene “schematizzato”, svuotato del suo senso e subordinato alla manipolazione: “L’Illuminismo si è sempre proposto di disincantare il mondo. Voleva dissolvere i miti e abbattere l’immaginazione con la conoscenza. Ma la terra completamente illuminata risplende all’insegna di una vittoria trionfale della calamità” (Dialettica dell’Illuminismo).


In questo scenario, la razionalità perde la sua dimensione riflessiva e critica, diventando strumento per la realizzazione di fini esterni alla ragione stessa: efficienza, profitto, dominio tecnico-naturale e sociale.


2.2 Il modello tecnico-scientifico e il capitalismo come sistema di razionalità funzionale


Adorno identifica nel modello tecnico-scientifico moderno una delle espressioni paradigmatiche di questa razionalità strumentale. Il sapere non persegue più la verità o la comprensione del mondo, ma si riduce a sapere operativo, manipolativo, subordinato alla produzione. La scienza, che avrebbe dovuto emancipare l’umanità, si è alleata con l’apparato industriale e militare per ottimizzare la gestione della realtà secondo criteri funzionali.


Questa dinamica è perfettamente compatibile con l’organizzazione economica capitalista, che Adorno interpreta come un sistema razionale nella forma, ma irrazionale nella sostanza. Il capitalismo opera secondo logiche rigorose (divisione del lavoro, calcolo del valore, programmazione della produzione), ma è finalizzato a scopi non razionali: l’accumulazione illimitata, la crescita cieca, l’assoggettamento dell’uomo alla merce. La razionalità, pertanto, è “razionale” solo nei mezzi, ma profondamente irrazionale nei fini.


2.3 Il dominio sull’uomo e sulla natura: l’omologazione come violenza epistemica


La critica adorniana si estende al rapporto tra uomo e natura, che l’Illuminismo ha configurato in termini di dominio. Fin dall’antichità, osservano Adorno e Horkheimer, il pensiero occidentale ha cercato di sottomettere la natura attraverso l’identità concettuale, ovvero attraverso categorie astratte che cancellano la molteplicità del reale. Questo processo culmina nella scienza moderna e nella tecnica, che riducono ogni alterità a oggetto manipolabile. La medesima logica viene applicata anche alla società: gli individui sono trattati come oggetti, risorse, unità numeriche da amministrare: “Ciò che non può essere ridotto a numero è sospetto” (Dialektik der Aufklärung).


Questa riduzione dell’alterità a identità produce una violenza epistemica, in cui il diverso viene escluso, marginalizzato o assorbito come eccezione tollerata. L’omologazione non è solo culturale, ma ontologica: anche l’essere viene piegato ai parametri della funzionalità e della misurabilità.


Ricordiamo che la critica adorniana alla razionalità strumentale non è un rifiuto della ragione in quanto tale, ma una difesa della ragione contro la sua degenerazione funzionalista. In Adorno resta viva la nostalgia per una ragione capace di autonegazione, di riflessione sulla propria storicità, di apertura all’alterità. La Dialettica dell’illuminismo non è solo una diagnosi del fallimento moderno, ma anche un appello – seppure tragico – a riscattare la ragione dal suo stesso tradimento.


3. Alienazione e individualità negata


Un ulteriore aspetto della critica adorniana concerne la condizione dell’individuo nella società capitalistica. Mentre il liberalismo borghese proclama l’autonomia dell’individuo, Adorno sostiene che il capitalismo tenda in realtà a dissolvere l’individualità concreta, riducendo il soggetto a una funzione del sistema economico-sociale. L’individuo non è più un essere libero, ma un nodo intercambiabile in una rete impersonale di rapporti di produzione e consumo: «Oggi l’individuo è diventato il proprio concetto. In questo consiste la sua falsità» (Minima Moralia, 1951). In Minima Moralia, dunque, Adorno delinea una fenomenologia dell’alienazione quotidiana: la sfera privata, il lavoro, il tempo libero sono tutti colonizzati dalle logiche della produzione e del mercato. L’identità è plasmata dall’esterno, mentre la possibilità di una soggettività autentica è soffocata dal conformismo e dalla paura dell’esclusione sociale.


Nel pensiero di Adorno, il tema dell’alienazione assume una valenza specifica e distinta rispetto alla sua formulazione classica marxiana. Se per Marx l’alienazione è primariamente il risultato della separazione del lavoratore dal prodotto del suo lavoro e dalla propria attività vitale, Adorno ne approfondisce la dimensione antropologica, culturale e psicologica, mostrando come l’alienazione si estenda ben oltre la sfera economico-produttiva, fino a investire l’intero orizzonte dell’esperienza soggettiva e dell’identità individuale nella società tardo-capitalista. In altre parole, in questa società, l’autenticità non è semplicemente difficile: è impossibile senza una coscienza critica che resista alla riduzione dell’uomo a funzione.


3.1 L’individuo come funzione del sistema


Secondo Adorno, l’individualità autentica è messa in crisi da un contesto sociale che tende a sopprimere ogni differenza qualitativa e a sussumere gli individui sotto categorie funzionali. L’individuo non è più il soggetto razionale e autonomo, idealizzato dall’Illuminismo e dall’umanesimo, ma è ridotto a ingranaggio del meccanismo sociale, a funzione statistica, a consumatore: “Il soggetto, un tempo forma dell’identità, si dissolve nella totalità sistemica che lo produce e lo utilizza” (Minima Moralia, 1951).


Nella visione adorniana, l’individuo non è alienato solo nel lavoro, ma nella forma stessa della vita moderna: nei modelli di comportamento, nel linguaggio, nel tempo libero, nei gusti. Il sistema sociale produce individui che credono di essere liberi, ma sono in realtà modellati dalle esigenze del mercato, dalla pubblicità, dai media e da un’educazione conformista.


3.2 Personalità autoritaria e adattamento passivo


Uno degli aspetti centrali dell’analisi adorniana è la relazione tra alienazione e personalità autoritaria, concetto approfondito nella ricerca empirica The Authoritarian Personality (1950), condotta insieme a Else Frenkel-Brunswik, Daniel Levinson e Nevitt Sanford. L’individuo, alienato da sé stesso, tende a interiorizzare forme di autoritarismo e conformismo per sopravvivere in una società che non gli consente l’autenticità.


Il soggetto alienato è incapace di pensiero autonomo: rifugge la complessità, si affida a regole, stereotipi, ideologie rassicuranti. La cultura di massa, in questo senso, non solo non emancipa, ma fomenta la regressione psichica, rendendo l’individuo vulnerabile al potere: “Chi pensa è senza patria nella società. Il pensiero non è benvenuto là dove si è già prescritto ciò che si deve essere” (Minima Moralia).


3.3 L’identità negata e il culto dell’uguaglianza formale


Adorno critica anche l’apparente uguaglianza che caratterizza le società liberali moderne. In nome dell’uguaglianza formale e della razionalità procedurale, il sistema annulla ogni differenza individuale reale, ogni esperienza soggettiva concreta. Il risultato è una società che proclama la libertà dell’individuo, ma che in realtà la nega nella pratica, omologandolo e neutralizzandolo.


In Dialettica negativa (1966), Adorno denuncia questa dinamica come una forma di identità astratta: ogni individuo è trattato come equivalente agli altri, ma solo in quanto portatore di funzioni definite dal sistema. L’identico trionfa sull’eterogeneo; il pensiero concettuale stesso si fa strumento di dominio: “Pensare significa non rassegnarsi. Ma la logica dell’identità domina ogni pensiero che si piega alla realtà come essa è” (Negative Dialektik).


3.4 Contro la falsa individualità: la speranza nell’irripetibile


Nonostante il tono profondamente critico, Adorno non rinuncia all’idea di individualità come promessa non mantenuta. La sua concezione dell’etica si fonda su una forma di fedeltà all’irripetibile, al singolare, al particolare che resiste alla riduzione concettuale. L’individuo autentico, per Adorno, è colui che resiste all’identificazione totale, che mantiene una distanza critica rispetto alla realtà data, anche al prezzo dell’infelicità o della solitudine: “La vera vita è assente” (Minima Moralia).


Questa frase, tratta da Rimbaud e assunta da Adorno come epigrafe della sua opera, condensa il senso di una negatività radicale che si oppone al mondo amministrato. L’alienazione, lungi dall’essere semplicemente una malattia sociale, diventa in Adorno il sintomo dell’impossibilità dell’etica nel mondo dato, ma anche la condizione per non aderirvi completamente.


4. Etica negativa e possibilità della critica


La riflessione etica di Adorno si distingue in modo radicale rispetto ai modelli tradizionali dell’etica normativa. In una società dominata dalla razionalità strumentale, dalla cultura mercificata e dall’omologazione degli individui, Adorno ritiene impossibile fondare un’etica positiva, prescrittiva, universale. Tuttavia, proprio in questa impossibilità, egli ravvisa lo spazio per una etica negativa: non una morale del dovere o dei principi, ma una prassi critica di resistenza, fedeltà al non-identico, e attenzione al dolore dell’altro.


4.1 Il rifiuto della positività ed Etica come attenzione al non-identico


Adorno parte dal presupposto che l’esperienza storica del Novecento abbia infranto la possibilità di una fiducia ingenua nei fondamenti della morale. La barbarie, verificatasi nel cuore della civiltà illuminata, dimostra che la ragione non garantisce l’etica, e anzi può renderla strumento del dominio. L’etica, pertanto, non può più essere fondata su valori assoluti o imperativi categorici (kantiani), ma unicamente su una coscienza storica della sofferenza e della possibilità del male. Secondo la visione etica adorniana, ciò che deve guidare l’agire non è tanto la realizzazione di un bene positivo, quanto la vigilanza permanente contro la riproduzione del male.


Nel contesto della Dialettica negativa (1966), Adorno fonda la sua etica non su un principio normativo, bensì su una posizione filosofica e ontologica: la fedeltà al non-identico, ovvero a ciò che elude la presa concettuale, la totalizzazione sistemica, la riduzione funzionale del pensiero. L’individuo che agisce eticamente è colui che resiste alla logica dell’identità, che riconosce il valore dell’altro in quanto tale, senza assimilarlo o ridurlo a mezzo: “L’esistenza dell’altro è la misura dell’etica: ciò che non si lascia assimilare, ciò che resiste all’identità, è il vero” (Negative Dialektik).


In questa prospettiva, l’etica si configura come attenzione minuziosa e discreta all’alterità – una pratica quotidiana di non violenza simbolica, una rinuncia al dominio anche nel pensiero. È l’etica dell’“occhio che guarda senza afferrare”, della coscienza che non si impone.


4.2 Critica immanente e pensiero non-identificatorio


Il pensiero critico, secondo Adorno, è inscindibile da questa postura etica. Si tratta, tuttavia, di un pensiero che ha rinunciato a ogni totalità, a ogni sistema chiuso, e si fonda sulla negatività, sull’analisi delle contraddizioni, sul rifiuto di ogni conciliazione prematura. La critica immanente – ispirata in parte da Hegel, ma rovesciata nei suoi esiti – consiste nell’individuare all’interno del reale i suoi nodi patologici, i suoi punti di rottura, le sue aporie irrisolte: “Pensare è già agire. La critica è l’ultima forma rimasta di coerenza” (Minima Moralia).


Il pensiero non-identificatorio, che si sforza di cogliere la specificità del reale senza ridurlo a schema, rappresenta una forma di resistenza etica. In questo senso, l’etica negativa non è solo denuncia del male, ma anche tentativo di preservare la possibilità di un altro mondo, sebbene tale possibilità non possa essere descritta né programmata.


4.3 L’utopia negativa: possibilità come esperienza del limite


Adorno non abbandona mai completamente il terreno dell’utopia, ma la concepisce in senso negativo: non come progetto positivo, bensì come coscienza del limite dell’esistente, tensione verso ciò che non è ancora. L’utopia è, per Adorno, l’eco dell’irriducibile in un mondo che tende a silenziare ogni differenza. Essa si esprime in gesti minimi, nella forma di vita che rifiuta il cinismo, nella fedeltà all’infelicità come segno della dissonanza tra individuo e società: «L’unica utopia concreta è quella che si oppone all’orrore della realtà attraverso la memoria della felicità mancata» (Negative Dialektik).


L’etica negativa, quindi, non salva il mondo, ma ne preserva le tracce di umanità possibile, rifiutando ogni conciliazione ideologica. Essa è, in fondo, l’etica della non-conciliazione, della distanza, del lutto come forma di verità.


L’etica di Adorno, dunque, si colloca contro ogni etica normativa, e si presenta come una sfida a pensare il bene senza tradirlo nella forma, a custodire l’umanità proprio là dove essa è negata. È una filosofia della soglia, della vigilanza critica, della fedeltà al particolare contro ogni astrattezza. In un mondo in cui tutto è già interpretato in termini di funzione, utilità e profitto, l’etica negativa è un esercizio di attenzione, di silenzio e di memoria.


Punti chiave

1) Il pensiero critico di Theodor W. Adorno rappresenta una delle più radicali e complesse diagnosi della modernità capitalista.

2) Intravede la sintesi perversa di razionalità illuminista, dominio sociale e alienazione esistenziale.

3) Adorno elabora una vera e propria ontologia negativa del presente.

4) Mostra come le strutture del capitalismo avanzato penetrino e deformino ogni aspetto della vita individuale e collettiva.

5) L’industria culturale si configura come uno degli strumenti centrali di questa colonizzazione.

6) Trasforma la cultura in merce e l’esperienza estetica in consumo passivo.

7) Contribuisce alla reificazione della coscienza e all’omologazione del soggetto.

8) La razionalità strumentale è diventata il principio organizzatore di un mondo amministrato.

9) Tutto ciò che non è funzionale viene espulso o negato.

10) In questo contesto, l’individuo autentico è impossibile.

11) L’alienazione non è più solo economica, ma investe la struttura profonda della soggettività.

12) L’individuo si adatta ai modelli dominanti interiorizzandone le logiche.

13) Eppure, proprio in questa condizione estrema, Adorno individua uno spazio per la critica.

14) Una etica negativa che rifiuta ogni affermazione conciliatoria, ogni fondazione positiva.

15) Si radica nel ricordo della sofferenza, nell’attenzione al non-identico, nella fedeltà all’irriducibile.

16) La filosofia, per Adorno, non ha il compito di prescrivere soluzioni, ma di resistere all’evidenza del mondo così com’è.

17) Mantiene viva la possibilità del pensiero come luogo di non-conformità.

18) In ultima istanza, il pensiero adorniano è un atto di denuncia e di fedeltà insieme.

19) Denuncia del presente come dominio razionalizzato dell’ingiustizia.

20) Fedeltà a ciò che, pur negato, continua a reclamare un senso – la sofferenza, la memoria, la speranza.

21) Il suo è un pensiero senza illusione, ma non per questo rassegnato.

22) Nella sua negatività, esso custodisce ancora la tensione verso un mondo che sia altro rispetto al dominio, al consumo, all’identità astratta.

23) È la filosofia dell’impossibile, ma anche dell’irrinunciabile.












NOTA BIBLIOGRAFICA




I. Opere di Theodor W. Adorno


Adorno, Theodor W. Dialettica dell’illuminismo. Con Max Horkheimer. Tradotto da Renato Solmi. Torino: Einaudi, 1966.

—. Minima Moralia. Riflessioni dalla vita offesa. Tradotto da Giacomo Manzoni. Torino: Einaudi, 1978.

—. Dialettica negativa. Tradotto da Lidia Cornoldi. Torino: Einaudi, 1970.

—. Teoria estetica. Tradotto da Giacomo Manzoni. Torino: Einaudi, 1975.

—. The Authoritarian Personality. Con Else Frenkel-Brunswik, Daniel Levinson, e Nevitt Sanford. New York: Harper, 1950.

—. “Erziehung nach Auschwitz.” In Gesammelte Schriften, vol. 10.2. Frankfurt a.M.: Suhrkamp, 1977. Tradotto in Educazione e emancipazione, a cura di Giuseppe Cospito. Torino: Bollati Boringhieri, 1999.


II. Studi critici su Adorno


Bonito Oliva, Achille, a cura di. Adorno: la società, l’arte, la critica. Roma: Manifestolibri, 1995.

Cospito, Giuseppe. Adorno e la dialettica della modernità. Torino: Bollati Boringhieri, 1998.

Held, David. Introduction to Critical Theory: Horkheimer to Habermas. Berkeley: University of California Press, 1980.

Honneth, Axel. La società del disprezzo: verso una nuova teoria critica. Tradotto da Luca Ceppa. Milano: il Saggiatore, 2007.

Jameson, Fredric. Late Marxism: Adorno, or, the Persistence of the Dialectic. London: Verso, 1990.

Jay, Martin. L’immaginazione dialettica: storia della Scuola di Francoforte (1923–1950). Tradotto da Luca Ceppa. Torino: Einaudi, 1987.

Wellmer, Albrecht. La forma della razionalità: studi su Adorno. Tradotto da Giuliano Gattei. Bologna: il Mulino, 1990.

Zuidervaart, Lambert. Social Philosophy after Adorno. Cambridge: Cambridge University Press, 2007.

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