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C'è ancora una speranza

C'è ancora una speranza

Published Apr 28, 2023 Updated Apr 28, 2023 Education and Training
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C'è ancora una speranza

Le chiavi nella toppa. La porta che si apre. La porta che si chiude. Le urla. Di nuovo. Una porta che si apre. Le urla. Un tonfo. Un pianto. Di nuovo.

Questa è la mia ninna nanna serale e la mia sveglia mattutina. Questa è la mia vita.

Tutti pensano che per un ragazzo di 17 anni, figlio del sindaco della cittadina di Castle, nel Maine, gli unici pensieri siano le ragazze e come spendere ogni settimana i soldi del papino. Beh, mi dispiace per queste persone, ma le ragazze mi cercano per i soldi, coi soldi non posso comprarmi una vita migliore e l’unica persona che mi dà attenzioni è mia madre, che non vuole che vada a denunciare gli abusi di mio padre alla polizia. “Harry, è pericoloso” dice. “Non mi crederanno mai” ripete. “Se lo arrestassero, con quali soldi vivremmo?” chiede.

Vado a dormire e mi risveglio con le urla di mio padre e il pianto di mia madre. Molte volte intervengo, e finisco per essere picchiato anch’io.

Eppure mi sento dire sempre le solite frasi: “Harry, dovresti essere fiero di essere figlio di Adam Castle”, “Tuo padre è il sindaco più amato del secolo”. E a tutte queste persone, rispondo con una bustina di plastica trasparente, una polverina bianca come la neve e una delle tante banconote di mio padre, arrotolata e poi buttata nel cestino.

Non ho amici, né voglio averne. Finirebbero a far parte del disastro che è la mia famiglia e non voglio.

Un giorno mi sono svegliato e sono sceso in cucina per fare colazione. Stavo per versare il latte in una tazza, quando qualcuno la prende e la lancia sulla mia faccia. Mi giro, sapendo già di chi si tratta, e mi ritrovo davanti mio padre, furioso, pronto a sgridarmi per non so che cosa. “Tua madre mi ha detto che ieri sera hai provato a chiamare la polizia”, sbraita. "Sì, è vero, e mi hanno anche risposto, solo che quando ho iniziato a raccontare ciò che le fai, mi hanno riso in faccia”. Sento il sangue colare sui miei occhi, così salgo le scale e vado in bagno: la tazza mi ha procurato un taglio evidente sulla fronte. Provo a medicarlo alla bell’e meglio, prendo gli auricolari ed esco di casa.

Sto per entrare a scuola, quando sento qualcuno tirarmi per lo zaino. A quel punto, tolgo le cuffiette e mi giro, pronto a scaricare il mio nervosismo su chiunque mi abbia infastidito. La persona che mi ritrovo davanti, però, mi mozza il fiato, tanto da impedirmi di emettere suono. “Oh mio dio! Harry, ma che hai fatto alla fronte?”. Layla. Semplicemente Layla. La bambina con cui sono cresciuto. L’unica che ha reso la mia infanzia degna di chiamarla tale. Molti anni fa i nostri genitori erano amici, poi suo padre scoprì gli affari loschi di mio padre. In quel momento decise di non voler avere più niente a che fare con noi. Lei sa quello che ho passato e credo sappia che nulla è cambiato, nonostante non siamo più amici. È per questo motivo che non posso permettermi di farla rientrare nella mia vita, così decido di ignorarla e continuare per la mia strada. Devo riuscire ad uscirne da solo. Per questo, da un paio di mesi, ho contattato degli uomini che sono disposti a farmi fare qualche lavoretto, in modo da darmi il denaro necessario per andare via da qui con mia madre una volta per tutte. Pensavo fosse una buona soluzione, finché uno di loro mi ha obbligato a ferire un uomo che gli aveva fatto un torto in passato, minacciando di fare del male a mia madre nel caso in cui non avessi adempiuto al compito. E io l’ho fatto. Allo stesso modo in cui ho messo un serpente nella macchina di un poliziotto ed ho procurato una pistola ad un uomo agli arresti domiciliari. Non voglio pensarci più, ma almeno mi hanno pagato bene. Mi manca poco per raggiungere una buona cifra ed andarmene.

Entrando nella classe vuota mi ricordo che era stato organizzato dalla preside un incontro con alcuni rappresentanti di un’associazione per la protezione dei giovani dall’illegalità, o qualcosa del genere. Mi dirigo nell’aula conferenze e prendo posto in ultima fila. Accanto a me c’è un posto libero e, ironia della sorte, la persona che entra tra le ultime e prende posto accanto a me è proprio Layla. Non la guardo. Se io la ignoro, lei mi ignorerà… o almeno spero.

Inizia la conferenza e indovinate qual è il primo argomento di cui si parla? Già, proprio le droghe e lo spaccio tra i minorenni. Sembra che il fato ce l’abbia con me. “La droga non è la soluzione ai problemi, bla bla bla”; “Non siete soli, bla bla bla”; “Se siete in pericolo, la polizia vi aiuterà, bla bla bla”. Certo! La polizia mi aiuterà, come no. Questa gente mi ha già stancato e l’incontro è appena iniziato. Decido di fare altro, così apro la tasca esterna del mio zaino e prendo il telefono. Mentre sono assorto nei miei pensieri, non mi accorgo di una persona che sta provando a passare davanti a me per uscire dall’aula. Con una delicatezza pari ad un elefante cieco, tira un calcio al mio zaino, facendo cadere tutto quello che era dentro la tasca che non avevo richiuso, e se ne va. Provo a trattenermi dal seguirlo e prenderlo a pugni, e mi abbasso per raccogliere la mia roba. Noto Layla che si abbassa con me per aiutarmi, ma non le do molto peso. Comincio a raccogliere gli oggetti: un caricabatterie, gli auricolari, i soldi, la coca, un pacco di fazzoletti. Appena ragiono sul fatto che lei avrebbe potuto vedere tutto, prendo la bustina e la nascondo nella tasca del mio giubbotto. Mi giro e la vedo con una faccia non arrabbiata, bensì triste e delusa. Mi si spezza il cuore vederla così, ma non lo do a vedere. Lei non sa cosa provo. Non può capirmi. Decido che ne ho abbastanza, così prendo lo zaino e esco dall’aula. Sento dei passi dietro di me. Sento una mano tirarmi lo zaino. Di nuovo. Mi volto, sapendo già chi sia. Mi guarda con gli occhi lucidi, come se venire a conoscenza di ciò che faccio le abbia spezzato il cuore. È la prima volta da quando mi drogo che mi sento in colpa per averlo fatto. È la prima volta che il mio cuore prova qualcosa che non sia rabbia. È bastato uno sguardo per farmi capire che, forse, non sto vivendo nella maniera più corretta possibile. Lei non parla, ma continua a guardarmi con quello sguardo penetrante, finché non le confesso tutto e le dico: “Non so cosa fare… sono solo, non ho nessuno”.

“Non sei solo, tu hai me”, mi dice con il cuore in mano.

“Lascia che ti aiuti” mi implora.

“Come? Sono già andato alla polizia e non credono che un uomo come mio padre possa fare una cosa del genere. Non hanno nemmeno voluto indagare”, le dico infastidito.

“Questa associazione che è venuta a scuola, è disposta ad aiutarti e combattere con te. Mia madre ne fa parte e ti posso assicurare che insieme muoveremo mari e monti per liberarti da questa situazione”.

Non vedendomi convinto aggiunge: “Vieni con me a casa dopo scuola, parleremo con mia madre e vedrai che insieme risolveremo tutto. C’è ancora una speranza!”

Fu così che mi lasciai convincere ad andare con lei. Fu così che denunciai mio padre. Fu così che confessai ciò che avevo fatto. E fu così che accettai di patteggiare per ridurre la mia pena, facendo i nomi di chi mi aveva minacciato e obbligato a compiere atti illegali.

Sono passati alcuni mesi dal giorno in cui ho fatto la scelta giusta, non quella più facile. Mio padre è stato condannato a vent’anni, perché oltre a tutti gli abusi nei confronti miei e di mia madre, sono venuti a galla tutti gli affari illegali che gestiva pur di aumentare il suo patrimonio. Io non ho lasciato la città, ma soltanto la mia casa. In accordo con mia madre abbiamo deciso che era meglio cambiare aria, così abbiamo acquistato una piccola casa in campagna, lontano dai pettegolezzi del vecchio vicinato. Io e Layla stiamo insieme da un paio di mesi ormai. Senza di lei probabilmente sarei ancora a casa a farmi picchiare da mio padre, oppure sarei morto a causa delle brutte compagnie a cui mi ero unito.

Versi di animali, fruscio di vento e foglie. Questa è la mia ninna nanna serale e la mia sveglia mattutina. Questa è la mia vita.

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