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Il condottiero

Il condottiero

Veröffentlicht am 4, März, 2023 Aktualisiert am 4, März, 2023 Kultur
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Il condottiero

Ogni semaforo rosso era l’inizio di una nuova speranza. La speranza di raggranellare qualche moneta. Ad ogni semaforo rosso le persone della fila di macchine cambiavano, ma c’era una cosa che restava sempre la stessa: non lo guardavano quasi mai quando allungavano la mano che racchiudeva una moneta o che si apriva in un gesto rapido e violento, quasi a voler scacciare una mosca.  Meglio così, in realtà. Le poche volte che lo guardavano vedeva nei loro occhi spesso inespressivi una sorta di disgusto, o nel miglior caso di indifferenza. Nonostante ci avesse fatto il callo, gli dava fastidio ogni volta.

Serdar sapeva che quello non sarebbe stato per sempre il suo posto. Pensava in grande, pensava che se avesse potuto mettere da parte quelle monete, un giorno sarebbero servite a fare qualcosa che da solo sarebbe bastato a ripagare della fatica, dello sporco e dell’umiliazione. Ma quando arrivava il buio e la mamma arrivava a prendersi tutte le monete raccolte, Serdar si distendeva sul materasso pieno di macchie e pensava con rabbia al giorno successivo, quando avrebbe dovuto continuare a fare la stessa vita del giorno prima, una vita che tutta la sua famiglia faceva ma che lui non avrebbe più voluto fare.

Il suo amico Bilal lo prendeva spesso in giro, ogni volta che saliva correndo sul marciapiede allo scattare della luce verde. Lo chiamava “l’illuso” e riteneva un vanto essere disilluso nei confronti della vita e delle persone che popolavano le strade della città. Chiamava quei pendolari seduti nelle macchine borbottanti “portafogli”, perché quello erano per lui: oggetti inanimati che contenevano monetine. Per Bilal, la loro condizione di mendicanti non sarebbe mai cambiata e la colpa non era loro, ma di tutte quelle persone che avevano tutto, che stavano al caldo e che mangiavano la brioche mentre andavano al lavoro. Loro non avrebbero mai accettato Serdar e Bilal come loro simili, diceva.

Secondo Serdar, Bilal accampava una montagna di scuse, perché Bilal per primo non credeva che sarebbe riuscito a cambiare la sua situazione. Ogni azione doveva portare ad un risultato immediato, altrimenti non aveva nessun senso fare lo sforzo, diceva.

Un giorno Serdar vede una macchina blu in fila al semaforo. Non sa bene cosa attiri la sua attenzione, perché dopotutto è una macchina come tante. Guardando la città dal suo punto di vista privilegiato, il semaforo, Serdar ha capito che una Clio è la tipica macchina di quelli che possono allungare qualche moneta: sufficientemente ricchi da avercela e non abbastanza ricchi da voler tenere la povertà a distanza. La guida una vecchia signora che sorseggia qualcosa di caldo da un termos fumante. La riconosce, non è la prima volta che la vede. Bilal gli fa cenno, è ora di andare. La signora abbassa il finestrino e sporge la mano per buttare la cenere della sigaretta. Serdar sa che quello è il suo momento. Sa che deve avvicinarsi e recitare la sua parte: signora, aiutami, ho fame, anche lui ha fame, dacci una moneta per il pane, vogliamo mangiare. È già pronto a partire con la seconda parte della sua esibizione, quella in cui l’atteggiamento cambia e deve sparare addosso una serie di maledizioni, a lei e alla sua famiglia.

La signora lo guarda con uno sguardo fisso, talmente penetrante che Serdar si sente profondamente a disagio. La vede allungare il braccio destro per cercare qualcosa nel portaoggetti. Una volta trovato, glielo mette in mano e gli dice solo qualche parola: “tu non appartieni a questo posto”. Poi si gira verso i passeggeri sul retro, una donna e un bambino e dice al bambino: “Lo vedi? Guardalo bene, perché la prossima volta che lo vedrai avrà fatto qualcosa di grande.”

Improvvisamente, a Serdar scende una lacrima. Sente per la prima volta che qualcuno lo ha visto. Si sente per la prima volta considerato come persona e non come un insetto. Apre la mano e sul palmo vede una collanina sottile. Lo riconosce subito, è oro, come quello che una volta lui e Bilal sono riusciti a rubare da una casa non lontana dal semaforo. In quel caso era stato contagiato dall’adrenalina della situazione, si era lasciato convincere da Bilal che era la soluzione migliore per potersi comprare la cena per più di una sera. Questa volta però è diverso: ci vede un’opportunità. L’opportunità di portare se stesso in un luogo diverso, un luogo cui lui appartenga. Deve nasconderla da sua madre e riuscire a portarla al negozio all’angolo, dove ha visto che alcuni entrano con scatoline di gioielli ed escono con aria rassegnata contando banconote. La nasconde nelle mutande. Sa perfettamente che la madre e il tizio che la segue barcollando potrebbero trovarla a suon di calci, ma è determinato a portare a termine lo scambio prima del buio, prima dell’arrivo di sua madre.

Vede una ragazzina seduta sul muretto fuori dal negozio e vede il suo viso riflesso nella vetrina. Poi guarda la collanina che ha in mano. Per un attimo ha un dubbio. Se entra e chiamano la polizia? Come farà a spiegarlo?

Spera solo che questa volta, anche solo per questa volta, siano prese in considerazione le sue intenzioni e non le sue azioni. Vuole andare in un luogo dove la bellezza riempie gli occhi, dove può finalmente sentirsi più a suo agio.

“Ehi ragazzino”, gli dice il gioielliere. “Non dirmi che l’hai rubata”. “Me l’ha lasciata mia nonna in eredità, perché avessi i soldi per i libri e la scuola”. È davvero così distante dalla verità? pensa tra sé e sé Serdar, nella speranza di scacciare il fastidioso morso allo stomaco. Ogni volta che raccontava qualche bugia quel morso allo stomaco era lì e si faceva più forte se si sentiva costretto a elaborare bugie sempre più complesse a fronte di mille domande.

“Non ne sono così sicuro”, gli dice il gioielliere. Si nota che è dubbioso, e Serdar rimane in attesa. Non sa bene cosa può fare per convincerlo.

In quel momento entra la ragazza del muretto. “Papà, mi ha raccontato questa storia prima, qui fuori. La nonna era veramente una brava persona. Faceva quello che non facevano i suoi genitori, lo faceva sentire riconosciuto.”

Esce dalla gioielleria con in mano un mazzetto di banconote. Il sole quel giorno sembra meno polveroso del solito, il vento sembra meno tagliente del solito. Il semaforo diventa rosso, e Serdar corre sul marciapiede opposto. È arrivata l’ora di iniziare un nuovo giorno.

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A questo pensa il giorno in cui dalla porta semiaperta del suo ufficio, guarda fuori e vede il muso sporco di un cane infilato in un mucchio di immondizia. Pensa a come, in un giorno lontano e umido di gennaio, dopo la scuola, si era lavato la faccia nel bagno del benzinaio ed era entrato da quella stessa porta per un colloquio come portiere.

 

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