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Il contrasto alla diffusione delle fake news come dovere costituzionale

Il contrasto alla diffusione delle fake news come dovere costituzionale

Pubblicato 2 mag 2023 Aggiornato 5 mag 2023 Cultura
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Il contrasto alla diffusione delle fake news come dovere costituzionale

Gli studi di psicologia sociale hanno dimostrato che l’indagine sui processi di formazione dell’opinione pubblica va condotta su due piani distinti, ancorché complementari e ricchi di intersezioni: quello individuale (opinione pubblica come somma delle opinioni dei singoli consociati) e quello collettivo (opinione pubblica come orientamento del gruppo) con riferimento al primo approccio, un fattore determinante sarebbe costituito dalle “credenze”, ossia dalla percezione che il soggetto ha sia dei dati di fatto (tra cui il contenuto dei programmi elettorali e la condotta di chi detiene incarichi di governo) sia delle opinioni altrui. Particolare rilievo avrebbero, a quest’ultimo riguardo, gli orientamenti coltivati dalla maggioranza della popolazione e, ancor più, quelli prevalenti all’interno del gruppo di appartenenza (“le donne”, “gli avvocati”, “i giovani” etc.). Ad essi, infatti, l’essere umano tenderebbe istintivamente a conformarsi, per timore di incorrere (o permanere) in una condizione di isolamento. Sul versante, invece, collettivo, l’opinione pubblica scaturirebbe anzitutto dal confronto dialettico tra le varie opinioni individuali, a loro volta sollecitate dall’esigenza di affrontare e risolvere problemi comuni. Tali problemi possono essere, per così dire, auto-evidenti (per esempio la scarsità di cibo, un’occupazione militare nemica, come di recente accaduto nella realtà), ma più spesso sono posti all’attenzione delle masse da attanti sociali ben specifici: i mezzi di informazione e gli opinion leaders in primis politici.

Alla luce del quadro sopra delineato, appare evidente l’effetto distorsivo che talune dinamiche proprie della comunicazione digitale sono in grado di produrre sui processi di opinion building. In particolare, la diffusione delle
fake news, agevolata dal carattere acefalo della Rete e dalla connessa difficoltà tecnica di identificarne gli utilizzatori, non solo tende ad alterare la percezione del reale, ma è, spesso, congegnata per suscitare rabbia e indignazione, così da massimizzare la propria incisività. Un ruolo di primo piano è svolto dagli algoritmi di motori di ricerca e social network, i quali,al fine di trarre profitto dalla vendita di big data e spazi pubblicitari, tendono ad accattivarsi l’utente chiudendolo in una rassicurante filter bubble, permeabile soltanto a quei contenuti che, sulla base delle sue precedenti navigazioni, è probabile gli siano graditi. Questa circostanza, insieme alle funzioni di sharing e di grouping offerte da numerose piattaforme, finisce per creare tante echo chambers, in ciascuna delle quali non solo ogni informazione riceve continue conferme, ma l’idea a essa sottesa (per esempio la dannosità dei vaccini, la disonestà di un certo politico ecc.) appare sempre maggioritaria e, proprio per questo, persuasiva. A ciò si aggiunga che, nella prassi, molti gruppi di interazione online si aggregano proprio attorno a un certo convincimento, col quale i relativi componenti finiscono per identificarsi, radicalizzandosi e mostrando una disponibilità al dialogo e alpensiero critico sempre più scarsa.
L’incidenza delle fake news è massima nelle campagne elettorali (e referendarie), in cui una certa tendenza alla polarizzazione degli orientamenti è già, in qualche misura, fisiologica. In tali contesti, la circolazione di notizie ingannevoli avvantaggia quei partiti e quei candidati che, avendo maggiori disponibilità finanziarie, possono accedere a servizi professionali di social marketing, vuoi per creare messaggi per sé favorevoli, vuoi per contrastare quelli immessi dagli avversari. In secondo luogo, essa tende a sviare l’attenzione degli elettori dai programmi, trasformando quella che dovrebbe essere una scelta razionale in un un’adesione istintiva e, spesso poco informata rispetto a quanto proposto dalla propria parte politica. Infine, rientra nella comune esperienza che una propaganda politica tanto agguerrita daricorrere alla falsità tenda a dipingere l’avversario come “nemico” assoluto, rendendo difficoltoso agli stessi partiti, una volta approdati in Parlamento, giustificare eventuali alleanze con le altre forze politiche; alleanze che, è appena il caso di osservare, l’attuale sistema proporzionale rende pressoché inevitabili. Sicché, il compromesso tra istanze e sensibilità diverse, che in un regime democratico dovrebbe essere fisiologico, finisce per essere avvertito dagli elettori come un “tradimento”, alimentando in essi sentimenti didisaffezione.
Alla luce di quanto appena osservato, sembra possibile affermare che il contrasto alla diffusione delle fake news, quantomeno in ambito politico, sia non soltanto costituzionalmente lecito, ma financo doveroso al fine di tutelare alcuni interessi primari: da una parte, l’effettività del principio democratico e, quindi, del diritto di voto attivo, ex artt. 1 e 48 Cost.; dall’altra, la possibilità, per tutti i cittadini e in egual misura di «accedere [...] alle cariche elettive» (art. 51 Cost.) e di «concorrere [...] a determinare la politica nazionale» per tramite dei partiti (art. 49 Cost.).



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