IN FUGA quarto capitolo
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IN FUGA quarto capitolo
Cap IV
Si era rialzato da terra senza sapere come fosse caduto. Aveva una mano sporca di sangue e quel colore lo spaventò a morte. Greg Muller si era rialzato in piedi anche se non riusciva ancora a formulare alcun pensiero logico. Vedeva che sul pavimento era stesa la moglie, che dormiva russando sonoramente. Rise suo malgrado perché la protesi dentaria della donna si era staccata dal supporto e ora era a metà strada tra i denti e le labbra, per cui oltre al rumore dovuto al russare, la donna faceva uno strano fischio quando l’aria incontrava quell’ingegno traballante.
Si era tagliato il palmo con i vetri del mobile, una sciocchezza si disse tranquillizzandosi. Cosa era successo?
«Greta -gridò tendando di svegliarla- che cazzo ci fai a dormire qui in terra?»
Il suono della sua stessa voce strappò violentemente il velo che avvolgeva la sua mente.
«Cazzo, cazzo, cazzo -disse- lo ammazzo di botte quello stronzetto! E tu vuoi svegliarti?» disse assestandole un bel calcetto nei fianchi.
«Stevie -urlò- dove sei?»
E fece per salire le scale che portavano al piano superiore dove si trovavano le camere da letto, quando fece un improvviso dietrofront.
«Le chiavi, merda.» toccandosi il passante in cui infilava il moschettone con tutte le chiavi che portava sempre con sé.
«Steven!» e poi un vaffanculo alla moglie che si stava rialzando e sulla quale quasi inciampò. Greg guardò il cassetto aperto e i soldi in disordine.
«Quel ladro fottuto -disse alla moglie che si era avvicinata- mi ha fatto svenire col suo potere di merda e mi ha derubato.»
Poi senza pensare ad altro, si mise a riordinare le mazzette accertandosi infine che non mancasse nulla ad eccezione della pratica di adozione.
«Allora, quanto ha preso quel ladruncolo?»
«Niente, credo. Ha preso solo le carte dell’adozione, penso che voglia prendere contatti con la sua madre biologica.»
«Ma questo non è possibile, vero?»
«Non credo e poi nei documenti che ha preso, tutti i dati relativi alla donna sono stati cancellati. Però da uno che fa quelle cose col pensiero, chissà cosa dovremo aspettarci.»
«Ma noi non lo permetteremo, vero?» chiese la donna interrotta dall’urlo rabbioso di Mike che cercava Steven per tutta la casa.
La donna socchiuse l’uscio dello studio su quel caos che regnava proprio mentre giungeva lì il figlio maggiore.
«Dov’è quel pidocchio di Steven? -chiese- Nello studio con papà?»
«Perché? Cos’è accaduto?» chiese la madre.
«Mi ha rubato quasi tutti i miei risparmi e ora glieli faccio sputare fuori a suon di cazzotti.»
«Ora non c’è in casa, tu sai dove potrebbe essere andato?»
«Che ne so, magari da quell’altra checca del suo amico, Jmmyno bello, o magari sta alla sala giochi a spendere tutti i miei soldi…»
«Facciamo così -disse la madre carezzandogli le guance con entrambe le mani in un gesto che riusciva sempre a calmarlo- Ora tu e tuo fratello vi mettete in giro per il quartiere a cercarlo però, se lo trovate, lo riportate a casa senza fargli assolutamente del male, si sarà trattato solo di uno scherzo da bambino e risolveremo tutto. I soldi che ti ha preso te li darò comunque io e se lo trovi e lo riportate qui senza fare casino ci aggiungo anche altri cento dollari.»
Mike non brillava sicuramente in acume ma dalla sua espressione era chiaro che non capiva l’atteggiamento comprensivo della madre e allora per evitare una inutile discussione che avrebbe fatto perdere ulteriore tempo la donna aggiunse: «Mamma ti ha mai mentito o consigliato qualcosa che non fosse per il tuo bene? Allora andate e fate quello che vi ho chiesto.»
«Ma sono più di cinquecento dollari», disse realizzando che poteva sfruttare quella storia a suo vantaggio.
«E li avrai, promesso. E il regalo anche.»
Non aveva mai fatto in auto quella strada e non sapeva quale fosse la fermata alla quale doveva scendere e nemmeno voleva chiedere qualcosa all’autista che lo aveva già notato al momento di pagare il biglietto, mettendo a rischio la strategia che aveva immaginato. Aveva avuto la fortuna che passasse proprio un autobus che faceva capolinea alla stazione dei Greyhound e di altre linee che servivano tratte di lunga percorrenza ma non poteva approfittarne. Quando pensò di essersi allontanato abbastanza da casa si alzò e scese. Avrebbe seguito la strada che sperava fosse senza troppi incroci facendo attenzione alle pensiline delle varie fermate per essere sicuro di andare nella giusta direzione. Immaginava che prima o poi i suoi genitori adottivi si sarebbero rivolti alla Polizia che avrebbe impiegato ben poco a ritrovarlo se fosse stato ancora a pochi chilometri di distanza. Però lui fidava sul fatto che loro sarebbero stati restii ad informare subito le forze dell’ordine della sua scomparsa nel timore che potessero venire a galla quelle cose che lo avevano costretto a fare. Era sicuro che avrebbero prima tentato di trovarlo da soli e poi magari si sarebbero rivolti alla Polizia. Se le cose stavano così come immaginava aveva qualche ora di vantaggio sulle ricerche e se avesse giocato bene le sue carte quando sarebbero cominciate sarebbe stato già a distanza di sicurezza da loro. In fin dei conti era un bambino e immaginare che alle otto di quella sera si potesse trovasse già in un altro Stato era piuttosto difficile. Non aveva un telefono cellulare e data la sua età non sarebbe riuscito a procurarselo, anche avendo il denaro per acquistarlo, ma sapeva leggere una cartina e appena sceso dall’autobus era entrato in un piccolo market dove aveva comprato un sandwich al pollo, una Sprite, un fumetto e due cartine, una degli Stati Centrali e una dell’America intera. La prima era molto dettagliata e lo avrebbe aiutato a scegliere la prossima tappa del suo viaggio. Era spaventato perché immaginava che avrebbe avuto enormi difficoltà in quel viaggio: procurarsi un biglietto, da mangiare, trovare un alloggio erano cose normalissime per un adulto ma per un bambino da solo sarebbero state assai problematiche. Aveva però la certezza di aver fatto la cosa giusta e sperava che con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a cavarsela e alla fine avrebbe trovato sua madre. Ora che sapeva che lei non lo aveva abbandonato e che anzi le era stato sottratto mentre era impossibilitata a lottare per lui, sentiva più che mai che l’avrebbe ritrovata e che sarebbero stati per sempre insieme. Aveva dovuto camminare per quasi cinque chilometri, stimò con approssimazione, ma lui era stato sempre un buon camminatore e non ne risentì più di tanto anche perché lo zaino che portava in spalla era leggero e di ottima qualità per cui riusciva a portarlo senza quasi avvertirne il peso. Arrivò alle pensiline del terminal e fingendo di bighellonare in giro lesse con attenzione tutte le prossime partenze e le località di destinazione cercando di memorizzarle. Poi si sedette su una panca tutta sgangherata, motivo per il quale era completamente vuota, e aprì lo zaino per prendere la cartina che gli serviva. La vista del sandwich gli rammentò che era dalle otto di quella mattina che non mangiava nulla e avvertì un immediato senso di fame. Aprì la piantina sulle gambe e cominciò a mangiare in cerca della sua destinazione. Appena individuava una possibilità faceva mente locale con le corse e gli orari che aveva memorizzato e ne valutava la fattibilità. Non voleva e non poteva arrivare a destinazione dopo le otto di quella sera perché sarebbe stato difficilissimo poi per lui trovare un posto dove passare la notte ed era impensabile che la trascorresse da solo per strada. Non temeva tanto i pericoli dovuti ad eventuali malintenzionati perché in quel caso avrebbe saputo come difendersi, ma avrebbe dato troppo nell’occhio e probabilmente la sua fuga sarebbe finita in qualche stazione di polizia. Aveva trovato una città, Gallup, che era a circa 400 chilometri di distanza da Phoenix, in New Mexico, in un altro Stato, e l’autobus sarebbe partito tra appena cinque minuti. Lo aveva saputo prima di guardare l’orologio che gli confermò quella sensazione. Non aveva tempo di pensare a quello adesso però perché doveva acquistare il biglietto. Non sapeva se ci fosse un limite di età per quell’operazione ma non voleva rischiare di sentirsi rifiutare il biglietto perché era troppo giovane di età. Aveva scelto come meta una località successiva a quella in cui sarebbe sceso, se mai fosse riuscito a salire su quel bus, così giusto per confondere eventuali inseguitori. Tra le dita stringeva due banconote da venti e una da dieci perché il costo del biglietto era di 47 dollari. La signora allo sportello lo guardò distogliendo per un momento lo sguardo dalle unghie rosa e lunghissime che stava limando con attenzione e disse uno svogliato: «Si?»
Probabilmente non avrebbe fatto alcuna difficoltà ma lui era orgoglioso del suo stratagemma e voleva attuarlo. Fece la voce ancora più da bambino e disse: «Signora mi da un biglietto per…»
E poi rivolgendosi ad un immaginario adulto si rivolse alla sua sinistra, fuori dalla portata visiva dell’impiegata: «Come si chiama pa’?»
«Un biglietto per Jamestown» disse poi alla donna, annuendo verso l’immaginaria voce di risposta e allungando all’impiegata le banconote.
«Ed ecco i tuoi 3 dollari di resto», gli sorrise velocemente la donna consegnandogli il biglietto.
«Di a tuo padre di sbrigarsi perché il bus è in partenza.»
«Grazie signorina.»
Gli faceva male tutto, ma era ancora vivo e avrebbe cercato di rimanerci. L’occhio destro si era talmente gonfiato che non riusciva ad aprirlo se non per una sottilissima fessura, sufficiente però a fargli capire che non sarebbe rimasto cieco, se fosse scampato alla punizione di Ridley. Uno dei suoi scagnozzi, quello che lo aveva aiutato a ripulirsi un po’ gli aveva dato un paio di quei sacchetti di ghiaccio sintetico che gli sembravano essere la cosa più bella del mondo. La testa gli pulsava come se avesse avuto una specie di cuore all’intento che batteva senza sosta ma anche lì il freddo stava facendo da efficace anestetico. Aveva chiesto a Paul, così si chiamava il suo carceriere, delle pasticche di antidolorifico, magari anche solo di aspirina, ma questi consultatosi al cellulare con qualcuno aveva risposto che doveva aspettare il capo. Sentiva che le labbra erano spaccate in più punti, anche se non sanguinavano più e che la lingua era piena di tagli prodottisi dall’impatto dei pugni ricevuti, specialmente dopo che colpi precedenti gli avevano spezzato alcuni denti rendendoli appuntiti come piccoli rasoi. Il naso era a posto al momento, rotto ma messo a posto. Era ancora legato alla sedia quando Rocky glielo aveva sistemato. Appena uscito Ridley l’omone gli si era avvicinato e presolo tra le dita lo aveva torto nel senso opposto a quello in cui la cartilagine si era spezzata. Era svenuto per grazia di Dio. Era vivo però, più di quanto si aspettasse poche ore prima. Ho solo 22 anni, che cazzo pensò, non posso morire e per una cosa che non ho fatto. Con l’occhio buono si guardò in giro. Era in una specie di locale sotterraneo di un fabbricato, forse un parcheggio a più piani a giudicare dal poco che riusciva a vedere dal finestrino posto in alto, ma si trattava di una costruzione non ancora ultimata o comunque dismessa perché nessun rumore filtrava dall’esterno. Era stato portato li da qualche ora e mentre uno degli uomini usciva a comprare delle cose da mangiare e bende e disinfettanti, oltre al magico ghiaccio sintetico, gli altri lo avevano aiutato a darsi una ripulita in un piccolo bagnetto che si apriva su un angolo del locale e poi lo avevano fatto stendere per un po’ su una brandina che si trovava li. Non era legato, anche se guardato a vista e sostanzialmente inerme nei confronti dei suoi aguzzini, ma quella diversa condizione gli faceva ben sperare sulla sua sorte. Nell’ambiente Ridley passava per uno di parola e sperava che se avesse potuto aiutarlo forse l’avrebbe fatta franca. Sobbalzò sulla sedia quando sentì il suono della porta metallica che si apriva facendo entrare Ridley e un paio dei suoi uomini.
«Allora Luke, vedo che stai una meraviglia. Ti hanno trattato bene i ragazzi? Dimmelo perché sennò li sculaccio io uno per uno.»
Luke cercò di sorridere, perché quella era chiaramente una battuta, anche se ne venne fuori uno strano ghigno.
«Capo avrei bisogno solo di qualche antidolorifico, magari qualche aspirina…»
«Certo -lo interruppe il gangster- solo che dovrai aspettare che finiamo questa chiacchierata perché non vorrei che ti si annebbiasse il cervello, più di quanto non lo sia normalmente.»
Tra le attese risate dei suoi uomini Ridley si sedette ad un piccolo tavolo di metallo e formica, forse un banco di scuola e con un cenno del capo indicò ad uno dei suoi di far sedere Luke di fronte a lui. Sul piano del tavolo lisciò con cura i fogli che aveva in mano e che erano le fotocopie di articoli di giornale. Tom aveva fatto un buon lavoro e trovato altri sei casi che presentavano molte analogie con quello che aveva visto protagonista i suoi uomini. Nessuno però finora li aveva messi in relazione perché si erano verificati tutti in posti diversi e lontani alcune decine di chilometri tra loro e poi perché le poste in gioco erano state sempre di piccola entità, tali da non destare una grande attenzione, nemmeno da parte della Polizia. Di fatto però, in un modo o nell’altro nei racconti dei presenti o delle vittime venivano sempre citati un bambino e un adulto che si trovavano sul posto.
«Allora Luke, visto che ti senti meglio e che mi sembra tu voglia vivere ancora un po’, anche se non capisco perché -consuete risate di sottofondo- vediamo cosa ti ricordi esattamente di questo fatto e come puoi aiutarmi a rintracciare quell’adulto e quel bambino che avete incontrato nel vicolo.»
«Il bambino, il bambino è lui che ci ha fatto quella cosa»
«Quale cosa?»
«Non lo so, quella cosa. È lui che ci ha guardato in quel modo, e Benny è morto. Quando mi sono svegliato era vicino a me morto completamente.»
«Beh è difficile morire parzialmente -disse convinto del suo umorismo- Ma Benny è morto per la caduta che ha fatto. Ha battuto con la tempia sullo spigolo del marciapiedi e puff, tanti saluti.»
Ridley era sicuro che Luke avesse ragione pensando che a fare ‘quella cosa’ fosse stato il bambino e non l’adulto, forse il padre. Se fosse stato l’adulto non avrebbe avuto senso che portasse con sé nelle sue imprese un bambino. Era pur vero che avrebbe potuto servirgli magari per apparire inoffensivo o per mimetizzarsi meglio tra la gente, ma i vantaggi sarebbero stati di sicuro molto inferiori ai problemi che poteva creare un bambino al seguito in imprese di quel genere. Ne era certo, era il bambino che andava cercato e preso.
«Allora Luke, vediamo un po’ se insieme riusciamo a salvarti la vita. Prima di raccontarmi del bambino abbiamo un problema da risolvere e non è proprio il caso che tu mi menta su questo fatto.»
Luke scosse la testa con violenza per assicurare l’uomo che avrebbe detto tutta la verità.
«C’è una cosa che non mi quadra nella tua storia, ammesso che io voglia crederci. L’uomo e il bambino vi hanno preso i soldi facendovi addormentare in qualche modo, ma io mi chiedo: come facevano quei due a sapere che avevate con voi dodicimila dollari? Una somma per cui insomma vale la pena di correre qualche rischio.»
La perplessità sul volto dell’uomo disse a Ridley che non aveva mai pensato a quell’aspetto del problema e istintivamente rispose di non saperlo e poi d’un tratto gli affiorò nitido un ricordo: Benny che faceva saltare in aria per strada i due grossi rotoli di banconote come fosse un giocoliere. Lui lo aveva rimproverato per quel fatto, dicendogli che avrebbe potuto passare un poliziotto e comunque che non era il caso di dare nell’occhio. E Benny, come sempre aveva sorriso e fatto una battuta sui poliziotti corrotti. Non ricordava chi ci fosse per strada ma evidentemente qualcuno c’era e li aveva visti.
Lo disse a Ridley, raccontando l’episodio così come gli era tornato alla memoria, e il boss annuì con un cenno del capo evidentemente soddisfatto di quella spiegazione.
«Va bene Luke allora diciamo che dopo qualche minuto tu e Benny il giocoliere imboccate il vicoletto dietro il ristorante Mamma Rosa e cosa succede allora?»
«Non c’era nessuno, da lì non passa mai nessuno, è pieno di bidoni di rifiuti. Poi all’improvviso abbiamo visto entrare dal lato opposto quei due ma non ci abbiamo dato grande importanza perché uno era un bambino.»
«E…» lo sollecitò Ridley visto che Luke si era fermato impegnato a mettere a fuoco quei ricordi.
«E niente abbiamo continuato a camminare verso di loro, poi arrivati a quattro o cinque metri il bambino ci ha guardati e io ha avuto appena il tempo di vedere che a Benny cedevano le gambe che ho sentito anch’io come un mancamento e poi una mezz’ora dopo mi sono svegliato. Benny era morto e i soldi erano spariti.»
«E hai deciso di sparire anche tu.»
«Si capo e come potevo raccontarti una cosa del genere? E poi fregati così da un moccioso.»
«E invece come vedi io ti credo e sono anche disposto a perdonarti se davvero come mi hai detto questa mattina puoi aiutarmi a prendere quei due. Comincia a descrivermeli come meglio ricordi.»
In un paio degli articoli che l’archivista del Daily gli aveva fotocopiato c’erano anche delle vaghe descrizioni di quella strana coppia e sperava che Luke potesse innanzitutto confermargli che il collegamento che lui aveva fatto non fosse frutto di una stranissima casualità, ipotesi che non aveva del tutto abbandonata, e soprattutto che fosse in grado di fornirgli elementi utili a rintracciarli.
«Erano due normali, insomma niente di particolare, Erano bianchi e l’uomo aveva una cinquantina di anni, credo. Aveva i capelli biondi e mi sembra fosse un po’ pelato.»
«Era alto, grasso insomma cerca di ricordare meglio ragazzo che ti giochi la vita in questo ricordo.»
«Cazzo capo, l’ho visto per pochi attimi ma penso che se fosse stato più alto della media o un ciccione me ne sarei ricordato. Uno normale insomma.»
«Per ora va bene» disse Ridley che ricordava che la descrizione di ‘un uomo biondo’ corrispondeva a una di quelle di altro episodio descritto in uno degli articoli che aveva sul tavolo.
«E del bambino cosa mi dici?»
«No aspetta capo» disse Luke felice di poter assecondare al meglio i desideri del boss. «Mi ricordo un’altra cosa dell’uomo. Ad un certo punto si sono fermati e lui ha lasciato la mano al bambino e ha fatto come un passo indietro mettendogli una mano sulla spalla, come a spingerlo verso di noi.»
«Bravo, vedo che ti stai impegnando e dimmi del bambino.»
«Quello me lo ricordo bene perché mi ha fissato dritto in faccia con i suoi occhi azzurri che sembravano di vetro. Poteva avere circa dieci anni, capelli scuri, forse neri non ne sono sicurissimo perché in quel vicolo c’è sempre ombra. Non era grasso ma neanche magro, sembrava un ragazzino in forma. Un bel bambino mi era sembrato ma mi aveva colpito l’espressione che aveva, sembrava triste.»
Luke si era fermato, perso del ricordo di quel momento e allora Ridley intervenne: «E credi che questa descrizione mi dia elementi utili per rintracciarli? Sono questi gli elementi con cui vuoi salvarti la vita?»
«Io so dove va a scuola», disse Luke, riuscendo addirittura a sorridere.