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Mermeth, Re dei morenti

Mermeth, Re dei morenti

Veröffentlicht am 16, Mai, 2024 Aktualisiert am 16, Mai, 2024 Horror
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Mermeth, Re dei morenti

Era notte. Un uomo camminava in un cimitero, quando vide che la porta di una delle cripte si stava aprendo dall'interno. Lo sgomento fu tale che lui poté solo restare immobile, attonito, a guardare la macabra scena. La grande porta in marmo, enorme, si stava aprendo in modo irrefrenabile e spietato, senza fare alcun rumore nonostante il suo peso. Si aprì prima un piccolo spiraglio, da cui usciva una luce verdastra e flebile. Ne uscì un grido sordo, divertito più che straziato, felice. Cinque dita nere, lunghe, con unghie marroni come se avessero appena finito di scavare, fecero capolino dallo spiraglio, afferrando la porta e spingendola senza fatica. Questa sì aprì in tutta la sua maestosità, lasciando trapelare un'ombra animalesca, ma bipede. Come se un lupo con il manto nero potesse camminare eretto. In piedi, la sagoma adornata dalla luce verde incuteva rispetto e venerazione. Del fumo dall'odore di zolfo usciva dalle sue narici, e i suoi occhi gialli scrutavano l'uomo affogato nel buio della notte. Lo indicò e disse: "io sono Mermeth, re dei morenti, di coloro che soffrono e sono straziati, ma che comunque sperano di poter rinviare il momento fatale. Io regno su di loro dal primo pianto isterico di aiuto fino all'ultimo respiro, né di più né di meno. Eppure, sono il più temuto tra i re del regno dei morti. Mi nutro delle loro grida e del loro dolore, adoro vederli straziati nelle loro nuove forme, che hanno poco a che fare con la forma umana. Il terrore scompone il corpo, lo smembra delle sue parti che diventano autonome. Nuovi movimenti sono permessi dal dolore, espressioni mai viste prima compaiono sul viso. Io in fondo sono un artista, il re artista dello strazio." Detto ciò, camminò fuori della cripta, con le spalle alte, la testa incavata nel collo, i denti marci in mostra, le orecchie all'erta, gli artigli serrati. La mostruosa figura dominava l'oscurità come se fosse lui stesso a crearla, sembrava capace di scomparire nel vuoto ogni volta che i raggi lunari venivano mozzati dai rami secchi degli alberi del cimitero e il riverbero della luna piena non riusciva a colpire la sua terribile forma. "Sai" disse, "Ho un certo languirono, ma come puoi intuire la carne non mi sazia, né il sangue mi disseta. La mia anima è vuota e il mio corpo non è né morto ne vivo. Io mi nutro del dolore altrui, perché io non posso provarne. Il dolore è parte della vita, la parte più intensa e disperata, tutti lo rifuggono ma lui è irreprensibile. Ti abbraccia quando meno te lo aspetti. E io ne ho bisogno. Ora. " Alzando le zampe alla luna la figura mostruosa le portò all'altezza del busto dell'uomo, mozzandolo in due parti nette, disperdendo le interiora ovunque sul prato e sugli alberi del cimitero. Sangue e budella uscivano dal busto mozzato come acqua da un sacchetto bucato, mentre le gambe rimasero in equilibrio per ancora qualche secondo, zampillando sangue secondo traiettorie paraboliche. L'uomo era grato e felice di essere stato martoriato, non chiedeva altro, e Mermeth lo sapeva, i suicidi erano le sue prede favorite, poteva straziarli con gli artigli e maciullarli con le zanne. L'unico limite era la sua fantasia.  

Ma un solo sacrificio non può colmare la frenesia omicida del Re dei morenti. Chinandosi sulle zampe anteriori, annusando l'aria e il terreno, Mermeth cercava altre cavie per esternare la sua fantasia e il suo bisogno di uccidere. Cercando nell'oscurità trovò una traccia, che conduceva dritta in una casa, in cui una ragazza stava piangendo disperata. Teneva un coltello nella mano destra, mentre guardava, tra un singhiozzo e l'altro, il braccio sinistro divelto da lei stessa. La porta di spalancò con un boato terribile, e Mermeth si presentò all'uscio, terribile nella sua forma bipede, ansimante e in preda alla furia più ceca. La ragazza smise di piangere, il suo viso era gonfio, le sue grida soffocate dal terrore. I suoi muscoli tetanici, i suoi occhi spalancati oltre ogni misura. Sapeva di aver sbagliato e pregava che fosse solo un sogno, e che il suo braccio potesse tornare normale, e di poter ancora vivere la vita che sognava mentre piangeva nel letto. Mermeth la guardava dritta negli occhi, avanzando a grandi passi, ondeggiando il suo corpo. Le unghie dei piedi risuonavano sul pavimento della casa. Gli si avvicinò al viso e le disse "Vedi, morire non è poi così male, lo hai voluto tu liberamente, ma ora sei mia suddita. Ora qui le regole le faccio io. Non sei ancora morta, ma non provare speranza, non ne hai. Il tuo destino è scritto sulla porta della mia cripta ormai. È arrivato il momento" e così dicendo porto con le zampe il viso della ragazza tra le sue fauci ricurve, mordendo e storpiando. Si sentì un grido disperato di pietà soffocato dal ribollire del sangue, ma l'opinione della ragazza non aveva alcun peso ormai. 

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