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Estetica ed arte in Hegel

Estetica ed arte in Hegel

Veröffentlicht am 2, Mai, 2023 Aktualisiert am 2, Mai, 2023 Kultur
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Estetica ed arte in Hegel

Ora, solo in questa sua libertà la bella arte è arte vera, ed adempie primieramente al suo compito supremo solo quando si è posta nella sfera comune con la religione e la filosofia, ed è soltanto una specie e un modo di portare a coscienza e di esprimere il divino, i piú profondi interessi dell’uomo, le verità piú ampie dello spirito. G.W.F. Hegel, Estetica, Introduzione, I.2.

 

Come è noto il testo sull’Estetica (in tedesco: Vorlesungen über die Ästhetik) non è un’opera organica scritta da Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), ma è una raccolta di appunti tratti dalle sue lezioni universitarie tenute ad Heidelberg nel 1818 e a Berlino negli anni 1820-21, 1823, 1826 e 1828-29. Quattro anni dopo la morte dell’autore (1835), il suo allievo ed editore Heinrich Gustav Hotho (1802–1873), utilizzando gli appunti dello stesso Hegel e quelli di altri studenti, compilò il testo che noi conosciamo. Hotho era chiaramente interessato all’argomento in quanto fu professore di Estetica e di Storia dell’Arte a Berlino (1829) e fu un autorevole esponente della Destra hegeliana. Da parecchi studiosi l’estetica hegeliana è considerata come una delle più importanti teorie estetiche prodotte dopo Aristotele. In epoca moderna, ad esempio, Martin Heidegger la definì come «la riflessione più completa sull’essenza dell’arte che l’Occidente possiede»[1]. Le tesi di Hegel influenzarono oltre a Heidegger, solo per citarne alcuni, pensatori come Theodor Adorno, György Lukács, Jacques Derrida e Arthur Danto.

In questo breve saggio percorreremo sinteticamente alcuni brani utili a comprendere il pensiero di Hegel su questo complesso argomento. All’inizio dell’Introduzione del testo sull’Estetica[2] Hegel sostiene che essa deve essere intesa come «filosofia dell’arte» avente per oggetto il «bello artistico», superiore, nella sua spiritualità, rispetto al «bello naturale»[3]. Per Hegel «tutto quel che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale», ed essendo l’arte prodotto dello spirito e da esso legittimata in quanto «l’opera d’arte è tale solo in quanto, originata dallo spirito […]ha ricevuto il battesimo di spirituale e manifesta solo ciò che è formato secondo la risonanza dello spirito». Nella consueta terminologia hegeliana lo spirito pensa sé stesso in una delle proprie forme, l’arte, e questo pensarsi dello spirito è proprio ciò che definisce la filosofia. E qui l’Estetica si fa scienza essendo lo spirito, come visto, pensiero in divenire e l’arte manifestazione dello stesso. Hegel è ben consapevole che l’arte può svolgere varie funzioni: può insegnare, edificare, sollecitare, adornare e così via. La sua preoccupazione, tuttavia, è identificare la funzione propria e più distintiva dell'arte. Si comprende immediatamente allora perché per Hegel l’arte non sia mera imitazione della natura, né tantomeno la produzione sentimenti o una via verso la catarsi[4], «l’arte è chiamata a rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile, è chiamata a manifestare quella opposizione conciliata, ed ha quindi in sé, in questa rivelazione e manifestazione, il suo scopo ultimo. Infatti, fini diversi, quali l’ammaestramento, la purificazione, il miglioramento, il guadagno, l’aspirazione a fama e onori non riguardano l’opera d’arte come tale, né ne determinano il concetto»[5]. In tal senso l’arte è essenzialmente mediazione e conciliazione tra spirito e materia, dove «lo spirito [...] produce da sé le opere della bella arte come il primo anello di conciliazione tra ciò che è semplicemente esterno, sensibile e transeunte, ed il puro pensiero, tra la natura e la realtà finita e l’infinita libertà del pensiero concettuale»[6]. Da qui si evince che l’opera d’arte sia di conseguenza sensibile e spirituale, la percepiamo sensibile, ma allo stesso tempo ci rivela il suo contenuto spirituale: «l’opera d’arte non è solo per l’apprensione sensibile, come oggetto sensibile, ma la sua posizione è tale che, come sensibile, essa è al contempo essenzialmente per lo spirito, lo spirito ne deve essere investito e vi deve trovare una qualche soddisfazione»[7]. In altre parole, l’opera d’arte reca in sé un momento, teniamo a mente questa parola, della vita dello spirito, essa è «essenzialmente una domanda, un’apostrofe, rivolta ad un cuore che vi risponde, un appello indirizzato all’animo e allo spirito».

In questi pregnanti passaggi ritroviamo i cardini della filosofia di Hegel espressi nei movimenti di manifestazione, mediazione e conciliazione, dove anche l’arte costituisce uno dei percorsi attraverso il quale lo spirito si libera dall’esteriorità della natura per ritornare alla piena comprensione di sé. Questi sono i passaggi teleologici della logica dell’essere, dell’essenza e del concetto riassunti nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio[8], che attraverso le celebri scansioni ternarie dialettiche[9] passano dalla Filosofia della natura (nella triade meccanica, fisica e organica) ai gradi della Filosofia dello spirito (soggettivo e oggettivo), per giungere al Sapere assoluto, ossia alla piena e trasparente autocomprensione dello spirito. Ricordiamo che in questo cammino l’arte come manifestazione sensibile della verità precede quelle della religione e della filosofia[10]. L’arte, in quanto fondata su un «fare» e un «produrre» dell’uomo, pone lo spirito in opera, lo istituisce insomma come ente finito e sensibile. Ma, dobbiamo fare attenzione a non isolare il momento artistico. Qui Hegel richiama la religione, quale assolutezza dello spirito nell’interiorità della rappresentazione e del sentimento, religione che, rammentiamo, precede nel sistema hegeliano la filosofia, ovvero la pura concettualità del pensiero. Leggiamo a tal proposito questo passo: «La natura e i suoi prodotti, si dice, sono opera di Dio, creati dalla sua bontà e saggezza, mentre la produzione artistica è solo opera dell’uomo, fatta dall’uomo secondo intendimenti umani», e qui abbiamo il «fare». Prosegue Hegel: «In quest’opposizione tra la produzione naturale come creazione divina e l’attività umana come attività solo finita, è insito l’errore, per cui Dio non opererebbe negli uomini e attraverso gli uomini, ma limiterebbe la sua operosità alla natura», ovvero se il fare dell’uomo fosse solo finito, materiale, sarebbe mera imitazione, ma «[…] il divino non è solo un elemento che agisce nell’uomo, ma è un elemento che in lui agisce in una forma che è conforme all’essenza di Dio, in maniera interamente diversa e superiore che nella natura. Dio è spirito, e soltanto nell’uomo il medio, attraverso cui penetra il divino, ha la forma dello spirito cosciente, attivamente producentesi», qui ritroviamo quanto espresso all’inizio, cioè l’arte come l’arte è essenzialmente mediazione e conciliazione tra spirito e materia. Senza questa mediazione «nella natura invece questo mezzo è l’incosciente, il sensibile e l’esteriore che, per valore, è di gran lunga inferiore alla coscienza. Nella produzione artistica, ora, Dio è operante come nei fenomeni della natura, ma il divino, quale si palesa nell’opera d’arte, ha acquistato per la sua esistenza un punto di passaggio adeguato, in quanto prodotto dallo spirito, mentre l’esistenza nella sensibilità incosciente della natura è un modo di apparire non commisurato al divino»[11]. Comprendiamo, leggendo queste parole, che l’arte per Hegel non sia estranea al sensibile, tutt’altro. La natura sensibile dell’opera d’arte viene ribadita tenendo presente però che l’arte è manifestazione della verità e incontro con l’assoluto. Quindi per comprendere che l’arte ci collega al vero, lo dimostra il fatto che l’apparenza del prodotto dell’arte, l’oggetto, non è un che di astratto, ma che, anzi, «la parvenza stessa è essenziale all’essenza; la verità non sarebbe, se non paresse ed apparisse, se non fosse per qualcosa, per sé stessa tanto quanto per lo spirito in generale. Perciò non la parvenza in generale, ma solo la maniera particolare di apparire in cui l’arte dà realtà al vero in sé stesso, può divenire oggetto della rimostranza», ovvero, l’oggetto va considerato come qualcosa che rimanda ad altro, «solo oltre l’immediatezza del sentire e degli oggetti esterni va cercata l’autentica realtà. Infatti, veramente reale è solo ciò che è in sé e per sé, il sostanziale della natura e dello spirito che dà a sé sí presenza ed esistenza, ma in questa esistenza rimane ciò che è in sé e per sé, e cosí soltanto è veramente reale. L’arte mette in rilievo e fa apparire proprio il governo di queste potenze universali». L’aspetto sensibile dell’opera è dunque anche manifestazione della verità, è il luogo in cui si conciliano, per così dire, un sensibile spiritualizzato e uno spirituale sensibilizzato.

Date queste premesse, nelle lezioni di Estetica di Hegel troviamo, con il solito ricorrere della scansione ternaria, tre grandi suddivisioni: «Idea del bello artistico o l’ideale», «Sviluppo dell’ideale nelle forme particolari del bello artistico» e il «sistema delle singole arti». Hegel sostiene che l’idea del bello artistico o l’ideale non è l’idea come tale, ossia concepita come l’assoluto, ma «l’idea in quanto si è foggiata a realtà ed è entrata con questa realtà in unità immediatamente corrispondente». Ritroviamo la conciliazione di idea e forma concreta. Risulta, interessante, nel nostro discorso, la descrizione delle diverse modalità in cui si realizza la conciliazione di idea e forma, spirito e materia. Anche qui Hegel descrive un cammino teleologico dello spirito, analizzando le tre forme dialettiche attraverso le quali si sviluppa il bello artistico: arte simbolica, arte classica e arte romantica.

L'arte, come abbiamo visto, per Hegel è la libera espressione sensibile dello spirito in un mezzo (sia esso metallo, pietra o colore) che è stato deliberatamente modellato e lavorato dagli uomini. Nello stadio dell'arte simbolica, per il filosofo, siamo nella sfera della «pre-arte», ovvero un’arte che in qualche modo manca d'arte, come da lui intesa. Questi oggetti artistici «appartengono alla pre-arte del simbolico, giacché in generale essi sono imperfetti e quindi sono meramente ricerca della vera arte, ricerca che ha in sé, sí, gli ingredienti per dare autentica forma, ma che li coglie solo nella loro finitezza, separazione e semplice relazione, rimanendo perciò subordinata»[12]. Ciò è dovuto al fatto che è il prodotto di uno spirito che non si comprende ancora come veramente libero, o perché è il prodotto di uno spirito che ha sì consapevolezza della propria libertà, ma non comprende ancora tale libertà tanto da coinvolgere la manifestazione di sé stesso in un mezzo sensibile specificamente modellato a tal fine. In entrambi i casi, rispetto all'arte autentica, la “pre-arte” si basa sulla concezione astratta dello spirito. Questa è, dunque, l’arte simbolica: «la prima forma d’arte è quindi piú una semplice ricerca della raffigurazione che possibilità di vera rappresentazione; l’idea non ha ancora trovato in sé stessa la forma, vi aspira soltanto, si sforza ad essa. Possiamo chiamare questa forma in generale la forma d’arte simbolica. L’idea astratta, in questa forma, ha la sua configurazione fuori di sé, nella materia naturale sensibile, da cui il configurare nasce e a cui appare legato. »[13].

In questo schema triadico, in cui ogni momento deve essere compreso secondo il vero che vi si manifesta, il successivo momento dell’arte classica ha una funzione centrale rispetto a quella simbolica. Nell’arte classica si ha «la libera impressione adeguata dell’idea nella forma peculiarmente appropriata, secondo il suo concetto, all’idea stessa, con cui essa può quindi giungere a una libera, completa concordanza. Con ciò, soltanto la forma classica dà la produzione e l’intuizione dell’ideale compiuto e lo pone come realizzato»[14]. Per Hegel l’arte classica, trova la sua più compiuta espressione nella rappresentazione della figura umana: «Questa forma, che ha in sé stessa l’idea come spirituale – anzi la spiritualità individualmente determinata –, se deve mostrarsi in una apparenza temporale, è la figura umana»[15].

Chiaramente, Hegel nota subito che manca qualcosa, poiché «lo spirito è qui perciò al contempo determinato come particolare, come umano, non come senz’altro assoluto ed eterno, giacché come tale può esprimersi e palesarsi solo come spiritualità», il cammino deve dunque proseguire, ed è il momento in cui «la forma d’arte classica si dissolve e richiede il passaggio ad una terza forma superiore, quella romantica». Nel momento dell’arte romantica, l’oggetto è costituito dalla «dalla libera spiritualità concreta, che deve apparire in quanto spiritualità per l’interno spirituale», ovvero dove predomina l’interiorità, l’intimità soggettiva, il sentimento individuale e dove «può da un lato lavorare, conformemente all’oggetto sopraddetto, non per l’intuizione sensibile, ma per l’interiorità che concorda con il proprio oggetto semplicemente come con sé stessa, per l’intimità soggettiva, per l’animo, per il sentimento, che in quanto spirituale si spinge in sé stesso alla libertà, e cerca e trova la sua conciliazione solo nello spirito interno»[16].

Quanto finora accennato è solo una minuscola parte delle argomentazioni che si svolgono su centinaia di pagine, qui ci preme ricordare quali siano le forme concrete nelle quali le forme di arte simbolica, classica e si esprimono. Hegel le individua nell’architettura, nella scultura, nella pittura, nella musica e nella poesia.

L’architettura, nella sua elaborazione tecnico materiale della natura inorganica, viene vista dal filosofo come il genere artistico associato alla forma d’arte simbolica

La scultura è il genere dove si esprime con perfezione l’ideale della forma d’arte classica: «in essa l’interno spirituale, a cui l’architettura è solo in grado di accennare, si installa nella forma sensibile e nel suo materiale esterno, ed i due lati si plasmano l’un l’altro in modo tale che nessuno dei due prevalga. […] ad opera della scultura lo spirito deve restare in immediata unità, quieto e sereno, nella sua forma corporea, e la forma deve essere animata dal contenuto di un’individualità spirituale»[17].

Con pittura, musica e poesia, rapportate in un ulteriore cammino dialettico triadico, va avanti la graduale liberazione dello spirito dalla materia e quindi il superamento stesso dalla materia come mezzo dell’arte.

Pur avendo per oggetto «il render visibile come tale», la pittura, è sicuramente più spirituale della scultura, ma ancora legata alla pesantezza della materia, ossia il materiale pittorico. Nella musica, invece, la dimensione della spazialità viene superata dialetticamente verso una «idealità temporale», dove «il suono scioglie l’ideale, per così dire, dal suo incatenamento materiale»[18].

Si giunge infine a quella che, per Hegel, è la manifestazione più spirituale della forma d’arte romantica, la poesia, nella quale «il suono, estremo materiale esterno della poesia, non è più il sentimento che risuona, ma un segno per sé privo di significato»[19]. L’arte è qui giunta al culmine della capacità di liberazione dello spirito dalla materia e dalla sensibilità. Non c’è più bisogno di un materiale esterno sensibile dove l’idea debba concretizzarsi, ma essa «si effonde solo nello spazio interno e nel tempo interno delle rappresentazioni e dei sentimenti». Qui l’arte «va oltre sé stessa»[20], giungendo al compimento del proprio ruolo di forma dello spirito assoluto trapassando nella religione, e quest’ultima nella filosofia. Lo spirito procede attraverso le sue figure e i suoi momenti seguendo il ritmo dello Aufhebung[21], quel movimento secondo cui ogni contenuto determinato è tolto dialetticamente per essere inverato ed elevato a uno stadio successivo. Dunque, se per Hegel, attraverso questo percorso, il compito della filosofia, per Hegel, è conoscere l’idea nelle sue manifestazioni e nei suoi successivi modi di comprendersi, il compito dell’arte è manifestare lo spirito attraverso un suo prima nella natura ed un suo poi, attraverso il suo superamento nella religione, dove la verità si dà nella fede e nell’interiorità, e nella filosofia, dove la verità si dà da ultima nella forma propria, quella del concetto.

Da notare che il superamento hegeliano dell’arte potrebbe essere letto anche come “fine dell’arte”, sottolineando, in tal modo, che l’arte sia, in realtà, solo una forma limitata e finita di manifestazione dell’assoluto nel sensibile pur trasparendo nell’arte un certo grado di verità. L’opera d’arte nel sistema hegeliano è parte di un movimento dialettico e trova la propria verità nel tempo e nel divenire, nell’«inquietudine» che muove il finito oltre sé stesso. Del resto, Hegel stesso afferma che l’arte, una volta compiuto il suo ruolo viene superata, essendo un momento della manifestazione dello spirito: «Per tutti questi riguardi l’arte, dal lato della sua suprema destinazione, è e rimane per noi un passato». L’arte però ha ancora la sua funzione di appagare esteticamente, ma pure di continuare ad interrogarci intellettualmente: «Ciò che in noi ora è suscitato dalle opere d’arte è, oltre il godimento immediato, anche il nostro giudizio, poiché noi sottoponiamo alla nostra meditazione il contenuto, i mezzi di manifestazione dell’opera d’arte e l’appropriatezza o meno di entrambi. […] L’arte ci invita alla meditazione, ma non allo scopo di ricreare l’arte, bensí per conoscere scientificamente che cosa sia l’arte».

 

A conclusione di questo breve excursus, non possiamo che usare le parole che Hegel pone a conclusione del suo denso discorso introduttivo: «Ciò che dunque le arti particolari realizzano in singole opere d’arte, sono, secondo il concetto, soltanto le forme universali dell’idea della bellezza nel suo dispiegarsi. Come sua esterna realizzazione s’innalza il vasto Pantheon dell’arte, di cui costruttore ed architetto è lo spirito del bello che coglie sé stesso, ma che la storia del mondo porterà a compimento solo nel suo sviluppo millenario».

 

NOTA BIBLIOGRAFICA

 

AA.VV., Enciclopedia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

Gianluca Garelli, La questione della bellezza. Dialettica e storia di un'idea filosofica, Einaudi 2016.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica (Vorlesungen über die Ästhetik), Edizione italiana a cura di Nicolao Merker (1967), introduzione di Sergio Givone (1997), Einaudi, 1997.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, La fenomenologia dello spirito, a cura di Gianluca Garelli, Einaudi, 2014.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scienza della logica, a cura di A. Moni, C. Cesa, Laterza, XIIed, 2019.          

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, a cura di Alberto Bosi, UTET, 2000, Edizione eBook 2013.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica, Guida alla lettura a cura di Francesco Valagussa, LA SCUOLA, 2013.

Giovanni Reale, Dario Antiseri, Storia della filosofia dalle origini a oggi, Volume 7: Romanticismo, idealismo e suoi avversari, Bompiani, 2008.

Valerio Verra, Introduzione a Hegel, Laterza, 1991.

NOTE

[1] Martin Heidegger, The Origin of the Work of Art, in Poetry, Language, Thought, traduzione Albert Hofstadter, New York, Harper and Row, 1971, pag. 80. Vedi anche sul sito di Stanford University [https://stanford.io/2vpmFiZ], The Philosopher and the Poet: An Impossible Dialogue by Brenda .

[2] Le citazioni saranno tratte da G.W.F. Hegel, Estetica (Vorlesungen über die Ästhetik), Edizione italiana a cura di Nicolao Merker (1967), introduzione di Sergio Givone (1997), Einaudi, 1997.

[3] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, I.1.

[4] Dal greco κάϑαρσις «purificazione», nella filosofia pitagorica e in quella platonica, indicava sia il rito magico della purificazione, inteso a mondare il corpo contaminato, sia la liberazione dell’anima dall’irrazionale. In particolare, secondo Aristotele, la purificazione dalle passioni, indotta negli spettatori dalla tragedia. Nella storia dell’estetica, l’azione liberatrice della poesia che purifica dalle passioni. Voce della Enciclopedia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

[5] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, III.B.

[6] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, I.2.

[7] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, III.A.2.

[8] L’opera, Enzyclopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, venne pubblicata nel 1817 e rielaborata nelle edizioni del 1827 e del 183. In pratica costituisce una brillante sintesi delle due opere capitali del filosofo: la Fenomenologia dello spirito (Phänomenologie des Geistes; 1807) e la Scienza della logica (Wissenschaft der Logik; 1812-1816)

[9] La comprensione dei tre lati o momenti del moto dialettico ci porterà a capire il punto più intimo, il vero fondamento del pensiero di Hegel. Questi tre momenti sono generalmente indicati coi termini 1) tesi; 2) antitesi; e 3) sintesi, ma in maniera semplificata, perché Hegel li usa poche volte e preferisce un linguaggio molto più complesso e articolato. 1) Il primo momento è detto da Hegel il lato astratto o intellettivo; 2) il secondo momento è detto invece il lato dialettico [in senso stretto] o negativamente razionale; 3) il terzo momento è detto il lato speculativo o positivamente razionale. La dialettica, come la realtà in generale, e quindi il vero, è questo movimento circolare che abbiamo descritto, che non ha mai posa. Hegel ha cura di rilevare che il momento dialettico non è affatto una prerogativa del pensiero filosofico, ma è presente in ogni momento della realtà (il seme deve rovesciarsi nel suo opposto per diventare germoglio, ossia deve morire come seme; il bambino deve morire come tale e rovesciarsi nel suo opposto per diventare adulto, e così via). Cfr. Giovanni Reale, Dario Antiseri, Storia della filosofia dalle origini a oggi, Volume 7: Romanticismo, idealismo e suoi avversari, Bompiani, 2008, Parte III.2.

[10] Hegel crede di avere, in tal modo, conciliato finito e infinito definitivamente. Ma questo auto-sapersi dello Spirito non è una intuizione mistica, bensì un processo dialettico, perciò un processo triadico, che si realizza nell’Arte; nella Religione; nella Filosofia. Queste sono, dunque, tre forme attraverso le quali noi conosciamo Dio e Dio si conosce. Esse si realizzano, rispettivamente: attraverso la intuizione sensibile (estetica); 2 attraverso la rappresentazione della fede; attraverso il concetto puro. Cfr. Vedi Giovanni Reale, Dario Antiseri, cit., Parte III.6.

[11] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, III.A.1(c).

[12] G.W.F. Hegel, cit., Parte Seconda, Sezione prima, capitolo III.A.

[13] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, IV.2.

[14] G.W.F. Hegel, ivi.

[15] G.W.F. Hegel, ivi.

[16] G.W.F. Hegel, ivi.

[17] G.W.F. Hegel, cit., Introduzione, IV.3.

[18] G.W.F. Hegel, ivi.

[19] G.W.F. Hegel, ivi.

[20] G.W.F. Hegel, ivi.

[21] Sostantivo, dal verbo aufheben, che ha duplice significato di «togliere via, eliminare» e di «sollevare, conservare». Con questo termine Hegel esprime il carattere peculiare del processo dialettico, il quale «nega», «supera» un momento, una categoria, ecc., e, al tempo stesso, lo «eleva» e «conserva» in un ulteriore momento, in un’ulteriore categoria, che quindi ne è l’inveramento e il completamento. La negazione dialettica di un momento ne annulla dunque soltanto l’immediatezza, e in effetti lo riafferma e lo compie in un grado superiore di svolgimento. Voce della Enciclopedia Treccani, cit..

Illustrazione: (c) Giorgio Ruffa

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