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Il capitolare di Quiertzy

Il capitolare di Quiertzy

Veröffentlicht am 2, Mai, 2023 Aktualisiert am 2, Mai, 2023 Kultur
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Il capitolare di Quiertzy

Il 14 giugno 877 l’imperatore Carlo il Calvo[1], promulgò il Capitolare di Quierzy, riconoscendo formalmente l’ereditarietà dei feudi maggiori, ossia quelli concessi ai grandi vassalli, come conti e marchesi. Questo nuovo scenario portò inevitabilmente ad una frammentazione del potere imperiale, fondando, di fatto, il cosiddetto ordinamento «feudale». Visti gli sviluppi successivi, su questo termine c’è da fare una breve riflessione. I secoli X e XI in Europa furono infatti caratterizzati da un sistema politico, sociale ed economico, il quale è stato a lungo definito, per l’appunto, ordinamento «feudale[2]», mentre, ad esempio, lo storico Barthélemy osserva che sarebbe preferibile designarlo come «ordinamento signorile»[3] . Usare una definizione come «ordinamento signorile» è, per Barthélemy, un modo per evidenziare la rilevanza propria di tale periodo e non come un momento di disordine e di trapasso fra la dissoluzione dell’impero carolingio e la nascita di nuove strutture politiche, quali successivamente saranno i comuni, le signorie, i principati e i regni nazionali.

Facciamo un piccolo passo indietro. Carlo il Calvo, nipote di Carlo Magno (742–814), era l’erede di una situazione politica molto critica e allo stesso tempo costruttiva per la storia del periodo. Ricordiamo che alla morte di Carlo Magno si ebbe un conflitto tra gli eredi Carolingi, conclusosi nell’anno 843 con il Trattato di Verdun. L’impero venne allora spartito in tre parti fra i figli superstiti di Ludovico il Pio (778–840). Carlo il Calvo ebbe il regno dei Franchi occidentali, cioè all’incirca la Francia di oggi. A Ludovico il Germanico (804–876) fu assegnato il regno dei Franchi orientali, ossia, all’incirca, la Germania attuale. Lotario (795–855) divenne Imperatore dei Romani (840–855, fu co-imperatore del padre Ludovico il durante il periodo 817–840) e re d’Italia, ed il regno centrale, una fascia di territorio tra il Mare del Nord, la Provenza ed il Lazio a sud. La titolatura Imperatore dei Romani, sinonimo di Impero carolingio[4], deriva del fatto che Carlo Magno[5] venne incoronato, nel Natale dell’anno 800, imperatore romano da parte di papa Leone III (papato 795–816). Come è noto questo è il nucleo che, con l’incoronazione ad imperatore, nel 962, di Ottone I di Sassonia (912–973), si titolerà ufficialmente Sacro Romano Impero, per indicare, come i precedenti, una continuità con l’Impero romano d’Occidente.

Questa fu la suddivisione politica dell’eredità di Carlo Magno, il quale aveva già posto le basi a livello amministrativo. Basi amministrative che porteranno conseguentemente, come vedremo, Carlo il Calvo, all’emanazione del Capitolare di Quierzy. Come è noto, per poter meglio amministrare i propri domini, Carlo Magno aveva diviso i territori dell’Impero in contee e marche (da cui i titoli nobiliari di conte o marchese), affidandole ai propri uomini di fiducia, che instaurarono un rapporto detto di vassallaggio[6] nei suoi confronti, divenendo così vassi dominici. Il vassallaggio rappresenta un mutuo rapporto di fedeltà e sostegno tra due persone, entrambe libere, l’una delle quali, il vassallo, si sottomette all’autorità di un’altra, detta senior, da cui signore (latino senior, il più anziano, comparativo di senex, ossia anziano) inteso come il nobile che esercitava il potere su un determinato territorio, promettendogli fedeltà e aiuto in campo militare e giudiziario (auxilium et consilium) in cambio di una protezione. Tutto ciò aveva anche un precisa rispondenza economica in proprietà fondiarie, che, rispetto a un appannaggio, avevano il vantaggio di legare permanentemente il beneficiato al suo signore. L’origine del vassallaggio si lega all’ascesa del vassallo (vassallus, termine latino medievale di origine celtica), come si definì la clientela armata soprattutto dell’Austrasia, regione da dove, nel VII secolo, provenne la dinastia dei più forti Maestri di Palazzo[7] (detti anche Maggiordomi), la famiglia di nobili franchi dei Pipinidi-Arnolfingi[8]. Da questa famiglia, ricordiamo, provenne Carlo Martello[9] (690–741), figlio illegittimo di Pipino II di Herstal (640–714), che governò come potente Maestro di Palazzo[10], dando vita, pur non essendo mai stato re, a quella che storicamente chiamiamo dinastia carolingia.

In questo breve excursus abbiamo chiara quale fosse la situazione relativa all’effettivo potere dell’Imperatore all’epoca di Carlo il Calvo. Il vassallaggio, sulla carta, era basato, come abbiamo accennato, su uno stretto rapporto di fiducia tra le parti contraenti, ma è anche il momento in cui i poteri signorili vengono progressivamente amministrati all’interno di nuove realtà territoriali e, reciprocamente, i signori locali vengono assoggettati ai regni attraverso lo strumento giuridico del patto feudale. L’esatto ordine dei poteri signorili, a tutti gli effetti un sistema di deleghe, dovrà essere organizzato nella logica struttura gerarchica[11] su cui si basa il legame feudo-vassallatico. Questa delega gerarchica, secondo alcuni storici[12], avrebbe indebolito il potere sovrano. Dopo la seconda guerra mondiale, ad esempio, la storiografia francese, primo fra tutti Georges Duby, ha elaborato la teoria «mutazionista»: tale interpretazione vede tra il secolo X ed XI una vera e propria «rivoluzione signorile» in cui sarebbe venuta meno l’effettiva capacità di controllo dei funzionari regi sui loro territori. Lo storico Massimo Montanari considera, invece, non convincente questa teoria, in quanto «attribuisce a un periodo troppo breve fenomeni e cambiamenti che si svolsero invece in un lungo arco di tempo, con modalità differenti a seconda dei luoghi»[13].

Fatto sta che «le aristocrazie europee avevano acquisito sempre maggiore importanza e un’autonomia spiccata dal potere centrale»[14], tanto che i grandi vassalli riuscirono a far riconoscere il loro status anche in modo ereditario: in precedenza, alla morte del vassallo il feudo tornava nelle mani del signore che lo aveva concesso. Il primo passo di questo privilegio è appunto il Capitolare di Quierzy, una disposizione emanata, in via provvisoria, notiamo bene, dall’imperatore Carlo il Calvo, impegnato in una spedizione contro i saraceni.

Più in particolare la disposizione prevedeva: «Se sarà morto un conte, il cui figlio sia con noi, nostro figlio, insieme con gli altri nostri fedeli disponga di coloro che furono tra i più familiari e più vicini al defunto, i quali insieme con i ministeriali della stessa contea e col vescovo amministrino la contea fino quando ciò sarà riferito a noi. Se invero avrà un figlio piccolo, questo stesso insieme con i ministeriali della contea e il vescovo, nella cui diocesi si trova, amministri la medesima contea, finché non ce ne giunga notizia. Se invece non avrà figli, nostro figlio, insieme con i rimanenti nostri fedeli, decida chi, insieme con i ministeriali della stessa contea con il vescovo, debba amministrare la stessa contea, finché non arriverà la nostra decisione. E a causa di ciò nessuno si irriti se affideremo la medesima contea a un altro, che a noi piaccia, piuttosto che a colui il quale fino ad allora la amministrò. Ugualmente, dovrà essere fatto anche dai nostri vassalli. E vogliamo ed espressamente ordiniamo che tanto i vescovi, quanto gli abati e i conti, o anche gli altri nostri fedeli cerchino di applicare le stesse regole nei confronti dei loro uomini [...] Se qualcuno dei nostri fedeli, dopo la nostra morte [...] vorrà rinunciare al mondo, lasciando un figlio o un parente capace di servire lo stato, egli sia autorizzato a trasmettergli i suoi honores [...] E se vorrà vivere tranquillamente sul suo allodio, nessuno osi ostacolarlo in alcun modo né si esiga da lui null'altro che l'impegno di difendere la patria»[15]. In tal senso, il Capitolare di Quierzy fissò i limiti entro i quali i ministeriali della contea potevano agire, garantendo lo Status quo fino al rientro del Sovrano. Quanto all’aspetto strettamente ereditario, la disposizione stabiliva che nel caso di decesso di un Conte con un figlio minorenne o al seguito dell'imperatore, i ministeriali della contea non avrebbero potuto designare un successore, ma avrebbero dovuto limitarsi ad accertare la provvisoria e corretta gestione della Contea.

Il capitolare, come abbiamo appena visto, in realtà, prevedeva che alla morte del vassallo, a cui erano state date in beneficio delle terre in cambio di servizi resi al re, in questo caso la campagna contro i saraceni, le suddette terre tornassero al re che poteva stabilire di affidarle all’erede prossimo, oppure darle in beneficio ad altri che gli avessero dimostrato fedeltà. Pertanto, nero su bianco, il capitolare garantiva soltanto al beneficiario in vita e non ai suoi eredi la solidità del possesso fondiario. Ma, nel tempo era diventato fatto acquisito che il figlio del vassallo defunto ripetesse il giuramento fatto dal padre al sovrano, perpetuando così il legame vassallatico e riottenendo i connessi benefici. Dunque, l’eredità era divenuta un’usanza di fatto e perciò non ancora ratificata giuridicamente. Il Capitolare di Quierzy, pertanto, non era ancora l’atto giuridico definitivo per stabilire l’ereditarietà, ma ne forniva un appiglio dando al re la possibilità affidarla all’erede del vassallo. Di logica conseguenza più debole fosse risultato il sovrano e più facilmente i signori feudali avrebbero fatto valere la loro sperimentata usanza.

Quando, pertanto, la centralità del potere regio perse efficacia[16], creando un effettivo vuoto di potere, i signori resero nei fatti ereditario il beneficio che avevano ottenuto dal sovrano. Alcuni secoli dopo, nell’anno 1037 Corrado II il Salico (imperatore del Sacro Romano Impero dal 1027 al 1039) emanò l’Edictum de beneficiis, meglio conosciuto come Constitutio de feudis, che, decretando l’ereditarietà dei benefici minori, avvallò definitivamente una consuetudine ormai effettiva.

Considerazione finale

Questa ridistribuzione dei poteri feudali, con i signori resi sempre più forti da documenti come il Capitolare di Quierzy e la Constitutio de feudis, ebbe conseguenze a lungo termine e, per fare un esempio, possiamo osservare lo sviluppo politico del nascente Stato britannico, ossia:

  • il Re e i giudici furono sottoposti alla legge (XII secolo), ossia dalla Common Law[17], cioè dalla legge comune a tutti i sudditi. Il Re doveva rispettarla per giuramento, come pure gli stessi giudici, anche se nominati dal sovrano Re.
  • la Magna Charta Libertatum[18] (1215) sanciva l’accordo sui diritti e doveri reciproci tra i Re ed i feudatari. Questo documento, con la “clausola di sicurezza”, influenzerà le future Costituzioni garantiste. Essa stabiliva, difatti, che un organismo di controllo di 25 baroni sarebbe stato istituito per monitorare e garantire la futura adesione di Giovanni[19] alla Carta.
  • Gli organi di controllo, si trasformeranno, poi, in Parlamenti, ovvero, nella fattispecie, nel Consiglio del Re[20]durante il regno di Edoardo I (1272-1307). Una sorta di bicameralismo in embrione, in quanto il consiglio era formato da un lato dai rappresentanti dei cavalieri e borghesi e dall’altro dai rappresentanti della nobiltà e clero. Cavalieri e borghesi, si riunivano e affidavano poi a uno speaker (portavoce) la relazione e le risposte da dare. Sono qui, insomma, delineati gli elementi del futuro parlamento inglese: House of Commons, con il relativo Speaker, e House of Lords.

__________

Nota Bibliografica

  • Alessandro Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, Laterza, Bari 2000.
  • Alessandro Barbero, Liberi, raccomandati, vassalli. Le clientele nell’età di Carlo Magno, in «Storica», 14 (1999)
  • Dominique Barthélemy, L’ordre seigneurial. XIe-XIIe siècle, Seuil, Paris 1990.
  • Marc Bloch, La società feudale, Einaudi, 1949, più volte ristampato.
  • Renato Bordone - Giuseppe Sergi, Dieci secoli di Medioevo, Einaudi, 2009.
  • Sandro Carocci, Signori, castelli, feudi, in AA.VV., Storia medievale, Donzelli, Roma 1998.
  • Heinrich von Fichtenau, L’impero carolingio, Laterza, 1974 (ed. orig. Zürich 1949).
  • Massimo Montanari, Storia medievale, Laterza, 2002.
  • Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi merovingi. Vicende storiche, in AA.VV., Storia del mondo medievale, Vol. I, Garzanti - Cambridge University Press 1978-1981.
  • Ralph Turner, King John: England's Evil King?, Stroud, UK, History Press, 2009.
  • VV., Enciclopedia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2007.
  • VV., Dizionario di storia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2010

NOTE

[1] Nato a Francoforte sul Meno il 13 giugno 823, figlio dell’imperatore Ludovico il Pio (778–840),  fu re dei Franchi occidentali dall’840, re di Aquitania dall’838 (nominale), effettivo tra l’852 e l’855, re di Lotaringia dall’869 e, infine, re d’Italia, re di Provenza e imperatore dell’Impero carolingio (Imperatore dei Romani) dall’875. Morì il 6 ottobre 877.

[2] Dal latino medievale feudum, a sua volta derivato dal basso francone antico fehu “beni mobili, averi; possesso di bestiame”.

[3] Dominique Barthélemy, L’ordre seigneurial. XIe-XIIe siècle, Seuil, Paris 1990.

[4] Heinrich von Fichtenau, L’impero carolingio, Laterza, Bari, 2000.

[5] Vedi Alessandro Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, Laterza, Bari 2000.

[6] Cfr. voce, Enciclopedia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

[7] «La funzione di sovrintendente della casa, che presso i franchi spettava originariamente, dati gli umili compiti, a uno schiavo, passò gradualmente, nella casa merovingia, ad assumere sempre più importanza. Essa si accrebbe con il progredire dell’autorità dei re dei franchi, fino a divenire tanto potente, che, quando iniziò il decadere della stirpe merovingica, sotto i «re fannulloni» [639–751], il maestro di palazzo divenne la prima dignità dello Stato, ebbe l’amministrazione delle pubbliche finanze, partecipò con il re all’amministrazione della giustizia, si batté moneta con il suo nome, fu il capo dei commendati del re e si attribuì il titolo di dux, princeps et subregulus Francorum». Cfr. Dizionario di storia Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2010.

[8] Cfr. Christian Pfister, La Gallia sotto i Franchi merovingi. Vicende storiche, in Storia del mondo medievale, Vol. I, Garzanti - Cambridge University Press 1978-1981, pp. 688-711.

[9] Maggiordomo di palazzo all’epoca dei «re fannulloni», era a capo dell’esecutivo e dell’esercito. Si rese celebre, durante il regno del re franco Teodorico IV (712–737), per la sua importante vittoria nella Battaglia di Poitiers (732), che allontanò dalla Francia il pericolo degli Arabi spagnoli Umayyadi. Questa battaglia, rimase per l’Occidente cristiano, il simbolo dell’arresto dell’espansione araba in Europa.

[10] Questa carica, come abbiamo anche evidenziato in alcune note precedenti, venne successivamente, considerata pericolosa da Carlo Magno, che la abolì riconfigurando i ranghi di palazzo: «A corte il re era circondato dai suoi conti palatini e da alcuni dei vassi dominici. Inoltre, mentre non fu più riattivata la funzione di maestro di palazzo (considerata evidentemente fonte di pericolose concorrenze al potere regio), furono istituite o regolamentate altre cariche fisse: il cappellano di corte o arcicappellano, il camerario (che amministrava indistintamente i beni della corona e della famiglia regia), l’apocrisario (che sovrintendeva alla cancelleria), il coppiere (responsabile del vitto e delle bevande di corte), il maestro di caccia e altri ancora (siniscalco, conestabile)». Cfr. Renato Bordone - Giuseppe Sergi, Dieci secoli di Medioevo, Einaudi, 2009, parte I capitolo 3.2.

[11] «La storiografia tedesca di fine Ottocento è responsabile della definizione di «anarchia» del sistema che si definì con la frammentazione dell’impero carolingio: essa riteneva che re deboli avessero ceduto parti di potere in feudo a signori che a loro volta ne avevano concesso parti ad altri, creando in tal modo una struttura gerarchica espressa attraverso la metafora della “piramide feudale” che prevedeva al vertice il re, poi i vassalli del re, e ancora i valvassori, ossia i vassalli dei vassalli, e infine i valvassini, vassalli dei valvassori», Massimo Montanari, Storia medievale, Laterza, 2002, Capitolo 13.

[12] Cit., capitolo 13.2.

[13] ivi.

[14] Cit., capitolo 13.3.

[15] Capitolare di Quierzy-sur-Oise, KK 2, cc. 9-10, 877. Consultato su https://bit.ly/2SuN7iH

[16] «Carlo il Calvo, re dei Franchi occidentali, per due anni, poi Carlo il Grosso, re dei Franchi orientali. Quest’ultimo ebbe la possibilità di riunire per l’ultima volta sotto la propria unica autorità i regni franchi, ricostituendo in tal modo l’impero del nonno Ludovico il Pio. Dopo la sua morte (888), il moribondo Impero romano dei Carolingi si trasmise, come un titolo già privo di potere effettivo, in Germania ad Arnolfo, poi in Italia a Lamberto di Spoleto, Ugo di Provenza e Berengario del Friuli (915-24). L’«Impero carolingio» non era durato neppure un secolo ma aveva avuto l’immenso merito di far rinascere sulla terra un’istituzione sempre presente nelle menti», Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt, a cura di, Dizionario dell'Occidente medievale, Einaudi, 2014.

[17] «Enrico II cercò di sottomettere alla giustizia regia anche il clero, a scapito del privilegio di immunità di cui tradizionalmente godeva. Con le Assise di Clarendon (1164-1166), una sorta di elenco dei diritti rivendicati dalla corona, definì in termini larghissimi la potestà giudiziaria del re. Ma il suo antico cancelliere, Thomas Becket, divenuto arcivescovo di Canterbury, si oppose, innescando un conflitto con il sovrano che nel 1170 gli costò la morte. L’omicidio di Becket scatenò una vasta reazione e costrinse lo stesso re a fare penitenza inchinandosi sulla sua tomba. Al di là di questo formale atto di sottomissione, a cui seguirono alcune concessioni alla chiesa, la giurisdizione regia ne uscì notevolmente rafforzata. Essa diventava il centro di un sistema – poi definito common law – in cui le varie giurisdizioni particolari (locali, ecclesiastiche, speciali) potevano essere private di alcune cause che venivano trasferite alla corte del re», Massimo Montanari, op. cit., Capitolo 17.2

[18] «[…] un documento che, nelle intenzioni di coloro che l’avevano sollecitato, limitava l’eccessiva autorità che il potere regio aveva assunto dall’epoca di Enrico II e tornava a riconoscere le prerogative di città, chiese e nobili all’interno del sistema dominato dalla corona», Massimo Montanari, ivi.

[19] Ralph Turner, King John: England's Evil King?, Stroud, UK, History Press, 2009.

[20] «solo dall’età di Edoardo I (1272-1307) il parlamento cominciò a essere convocato con una certa regolarità, a causa dell’impellente necessità di trovare nuove entrate fiscali per finanziare l’esercito. In questo contesto si affermò verso la metà del XIV secolo un modello bicamerale, che suddivideva il parlamento in «camera dei lord» e «camera dei comuni». Nella prima sedevano i rappresentanti dei più antichi lignaggi della nobiltà inglese (nobility), i cui rappresentanti erano definiti, appunto, «signori» (lords) o «pari» (peers) ed erano chiamati nominalmente dal re a partecipare alle sedute; della seconda facevano parte i «comuni» (commons), cioè i rappresentanti della media e piccola nobiltà (gentry secondo una terminologia successiva) e altri notabili, eletti localmente in rappresentanza delle contee e delle città. Ben presto la camera dei comuni si dotò di un portavoce (speaker) che rappresentava l’insieme degli interessi dei «comuni», particolarmente in ambito fiscale. Si venne così creando un sistema politico bilanciato, in cui i re disponevano di una struttura amministrativa ampia e radicata sul territorio, e i gruppi sociali di rappresentanti dei loro diversi, specifici interessi», Massimo Montanari, op. cit., Capitolo 29.2.

Immagine: Pagina 66 di "A first book in American history with European beginnings" (1921) 

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