Carne sintetica
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Carne sintetica
Metodo di produzione e realtà scientifica.
Gli homo sapiens si sono nutriti di carne animale sin dagli albori della specie, esistono infatti reperti archeologici di ossa animali incavate da utensili datate fino a 3.4 milioni di anni fa, periodo in cui i nostri predecessori ominidi cominciarono a colonizzare il mondo. Secondo alcune teorie, il passaggio dalla dieta erbivora a quella onnivora ha concesso agli ominidi di accumulare quantità maggiori di energia in tempi sempre più ridotti, velocizzando il lento processo di digestione delle fibre vegetali. Al giorno d’oggi questi cambiamenti evolutivi rimangono inalterati nella nostra specie, ma è variata la modalità di raccolta della carne, non siamo più infatti cacciatori raccoglitori, ma siamo consumatori di prodotti di allevamento. Il consumo globale di carne odierno è di 365 milioni di tonnellate annue (2018), con USA e Australia in prima posizione come maggiori consumatori al mondo (media di 120Kg per persona ogni anno). Con il miglioramento della situazione economica dei paesi più poveri, questi dati seguiranno una tendenza di costante aumento nel breve futuro.
Tenendo conto che la produzione industriale di carne inoltre fa parte di quei settori produttivi che incidono maggiormente nell’emissione di gas serra, com’è possibile unire la necessità di fornire al nostro corpo le proteine necessarie al suo corretto funzionamento, soprattutto quelle del gruppo B coinvolte nella produzione di globuli rossi e nel funzionamento dei neuroni, con la riduzione dei gas serra emessi dalle attività umane?
Alcune case farmaceutiche e start up propongono la carne coltivata in laboratorio come soluzione a questa crisi globale, creando un prodotto che bypassa la realtà agricola odierna. Attraverso tecniche di rigenerazione tissutale queste sono alla ricerca della perfetta ricetta per far crescere cellule animali senza attraversare lo stadio della vita.
Il processo ha inizio con le cellule staminali, ovvero un gruppo di cellule capaci di modificarsi e prendere il ruolo di praticamente ogni cellula che compone un animale. Queste cellule staminali vengono raccolte dagli animali di cui si desidera produrre la carne, i quali spesso sono vacche per citare un esempio. Queste cellule multipotenti vengono quindi isolate e inserite in un bioreattore assieme ad altri diversi elementi chimici come amminoacidi, ormoni della crescita e un elemento necessario alla duplicazione cellulare noto come siero fetale bovino. Questo cocktail di sostanze permette la proliferazione cellulare e il mantenimento in vita delle cellule. Il corretto apporto di fattori di crescita al bioreattore permette alle cellule staminali di differenziarsi in cellule di tessuto muscolare o lipidico, a seconda del risultato che si cerca di ottenere. Le cellule muscolari tendono naturalmente a unirsi formando miotubi, ovvero i componenti delle fibre muscolari; queste però, dato che quanto il livello di organizzazione dei tessuti è estremamente complesso, non sono ottenibili e quindi i miotubi vengono mescolati tra loro e gli unici risultati raggiungibili sono agglomerati. Con questi si possono poi formare nuggets o burger di carne di bovina, di pollo o di pesce.
La carne “animal free” ha però un aspetto preoccupante di primo piano, ovvero che in realtà non è animal free. Infatti una delle componenti principali della carne prodotta in laboratorio è, come abbiamo accennato sopra, il Siero Fetale Bovino (noto con l’acronimo FBS in inglese), il quale può essere raccolto unicamente dai feti bovini. Nei mattatoi è prassi che le vacche gravide uccise vengano sezionate ed il feto (ancora vivo) estratto velocemente dalla carcassa e dissanguato senza che muoia, cosa che danneggerebbe la qualità del siero raffinato dal sangue. Non è ancora stato identificato un mezzo di origine non animale che possa occupare il ruolo del FBS nella produzione di carne in laboratorio, anche se la sua scoperta porterebbe ad una svolta nel processo produttivo, soprattutto da un punto di vista etico.
Il ruolo del FBS nel bioreattore è quello di prevenire l’apoptosi delle cellule staminali (ovvero la morte cellulare programmata), evento che avviene naturalmente in tutti gli organismi viventi e che consente all’organismo di eliminare tutte quelle cellule che si stanno differenziando nel “posto sbagliato”, permettendo così il corretto sviluppo dei tessuti. Il sistema di apoptosi deve quindi essere inibito durante la produzione della carne in un bioreattore, e questo è proprio l’effetto che ha il siero fetale bovino. L’incredibile aspetto del FBS è la sua universalità, ovvero funziona per ogni tipo di cellula in cui vogliamo far differenziare le cellule staminali provenienti da ogni tipo di animale tipicamente allevato, pesci inclusi. Altre tipologie di siero esistono, ma nessuna è tanto versatile quanto il siero di origine bovina. È un ingrediente assolutamente necessario nella coltivazione di carne in laboratorio, la cui necessità elimina in modo automatico alcuni dei presupposti che hanno portato all’esigenza di coltivare carne.
L’attuale capacità produttiva della carne in laboratorio non è né economicamente né ambientalmente sostenibile: per produrre un singolo burger sono necessari 50L di siero bovino, quando da un singolo feto possono essere estratti, a seconda dello stadio di sviluppo, dai 150ml ai 550ml di siero. Facendo due calcoli risulta che questo hamburger necessita della morte di un minimo di 90 vacche gravide, fino ad un massimo di 330. Quindi finché non verrà trovato un valido sostituto al FSB, magari di origine vegetale, la carne coltivata in laboratorio non sarà vantaggiosa ma sarà anzi uno spreco. la ricerca di un sostituto non è tuttavia così semplice in quanto l’FSB contiene 1800 differenti proteine e circa 4000 metaboliti, e alcuni di questi componenti sono estremamente costosi, citando ad esempio il fattore di crescita TGS-B il cui prezzo è attorno al milione di dollari al grammo. Esistono per ora solo sieri iperspecifici per tipologia cellulare, o sieri originati dal sangue di donatori umani. è quindi autoevidente che i costi delle materie prime necessarie alla produzione della carne in laboratorio siano assolutamente non competitivi, senza contare la necessità di infrastrutture, energia e acqua. L’attuale stima di prezzo per 0,45kg (1 pound) di questo prodotto si aggira attorno ai 10.000 dollari americani in quanto 1 litr0 di FSB costa circa 700 USD, e le alternative sintetiche non potranno che essere ancora più costose. Per creare un singolo kilogrammo di carne sono necessari 5.000 litri di acqua potabile, contenuta in bioreattori di dimensioni enormi in quanto le cellule in replicazione necessitano di essere tenute in densità estremamente basse.
Le cellule in cultura non hanno poi un sistema immunitario, e quindi qualsiasi virus o batterio che ne venga a contatto troverà un terreno estremamente fertile per la sua proliferazione. Sono quindi necessarie intere strutture sterili, tipiche degli ambienti farmaceutici più che delle strutture dedite alla produzione di cibo.
Un ulteriore problema non di secondaria importanza è il sapore, infatti la carne a cui siamo abituati ha delle percentuali di parte grassa e parte muscolare ben definite, e ricreare le stesse condizioni in laboratorio non è una sfida facilmente affrontabile.
In conclusione la produzione di carne sintetica in quantità accessibili al grande pubblico è ad oggi un miraggio, sia per i costi che per le problematiche etiche legate al FSB, e la vendita di tali prodotti è un evento estremamente poco probabile nel prossimo futuro. Questo tuttavia non deve giustificare gli attuali ritmi di produzione, consumo e spreco della carne animale, i quali non sono sostenibili per l’ambiente ne per la nostra salute. È quindi necessario ricercare carne prodotta con tecniche tradizionali, magari più costosa di quella che troviamo al supermercato ma sicuramente più sana per ogni punto di vista.