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L’HO FATTO PER AMORE

L’HO FATTO PER AMORE

Veröffentlicht am 3, März, 2023 Aktualisiert am 3, März, 2023 Kultur
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L’HO FATTO PER AMORE

L’ho fatto per amore.
Non sopportava più di vedersi ferma. È stata campionessa italiana nei 1500, lo sapeva? Erano solo i giochi della gioventù ma in proiezione aveva tempi davvero eccellenti. Poi si innamorò della pallavolo e addio mezzofondo. Ne parlammo e anche se a malincuore, l’appoggiai in modo totale, senza riserve. Come ho fatto ieri. Fosse dipeso solo da me egoisticamente l’avrei tenuta ancora un po’, ma lei me lo chiedeva ogni giorno negli ultimi mesi.
No, la prego Giudice, non mi guardi come se fossi un folle, sono lucidissimo, e se vuole poi le dirò delle nostre chiacchierate.
Ieri ha compiuto 21 anni e mi aveva chiesto questo regalo. L’unico che desiderava.
Mia moglie? Mi chiede se Lucia lo sapesse? Ma sono domande da farsi?
Le rispondo: no, perché è no. Ma se pure così non fosse, davvero crede che le avrei detto che anche lei sapeva, che eravamo d’accordo. La prego, non offenda la mia intelligenza e la mia capacità professionale. Sono avvocato da trent’anni, avrei mai potuto coinvolgere altre persone in una cosa così? E poi Daniela? 
Ho un’altra figlia, come ho dettato per il verbale. Chi si sarebbe preso cura di lei? Quello che è giusto per la legge era moralmente ingiusto per Bimba e io ho messo le cose a posto.
Immagino che voglia sapere di ieri sera ma non riesco ancora ad andare col pensiero a quel momento, mi è più facile andare indietro nel tempo. Sa che mi ricordo quasi ogni cosa di Bimba? Sì, tra noi la chiamiamo così da quando è nata. Ho la sua intera vita in testa perché è tutto quello che mi rimane.
Grazie no, è gentile ma non mi serve. Non ho lacrime in sospeso, ne ho piante tante in questi anni. Pensi che dovevo mettere dei cubetti di ghiaccio sugli occhi prima di entrare in stanza da Bimba. Si dispiaceva quando capiva che avevo pianto. Com’è bella quando ride. Mi dispiace dottoressa che lei non l’abbia mai vista. Ridere intendo. Sì, sui giornali sono uscite spesso quelle tre o quattro fotografie in cui è sempre sorridente, ma che vuole che renda una fotografia. Aveva una luce in quel sorriso… Quella in tuta l’ha mai vista? Lì aveva 14 anni e aveva appena vinto i campionati regionali.
Lei ha figli? Sono felice per lei, li abbracci ogni giorno, li baci più che può, stia con loro ogni istante possibile perché non c’è nulla che valga quanto loro a questo mondo.
Qui? Sì sto bene. Mi mancano Daniela e mia moglie ma so di aver liberato Bimba e sto bene.  L’ho trattenuta già troppo, molto più di quanto lei fosse in grado di sopportare. 
Cosa ho fatto, quando e come lo sapete, ve l’ho confessato. Adesso volete sapere il perché però e allora dovete sapere di me e di Bimba, e per questo dovrete avere un po’ di pazienza perché 21 anni d’amore non si possono condensare in pochi minuti.  Ho cercato di farlo ieri sera questo riassunto, col dito poggiato sul pulsante del respiratore artificiale, ma dopo una mezz’ora ero ancora fuori la sala parto ad aspettare che qualcuno uscisse a dirmi che era nata. 
L’ho premuto col pollice quel pulsante, ve l’ho detto?  C’è una storia particolare su questo dito, sapete? Quando l’ho vista…-scusatemi credevo di non avere altre lacrime-   quando l’ho vista la prima volta era in braccio a una infermiera, appena nata, io ho allungato la mano verso il suo viso per farle una carezza ma lei l’ha afferrata e mi ha succhiato il pollice. Quel gesto, nei giorni che rimanemmo in clinica, diventò una specie di leggenda perché i neonati vedono pochissimo e non hanno una gran coordinazione motoria per cui era stato un fatto veramente inusuale. Quel gesto poi è diventato uno dei leitmotiv della nostra vita. Ogni volta che Bimba voleva convincermi di qualcosa, chiedermi un permesso speciale, giustificare magari una marachella veniva da me e mi mordicchiava quel pollice. Anche ora, vede, me lo accarezzo senza rendermene conto.
Sì, è proprio con quel pollice che ho fatto click.
Quel rumore l’ha svegliata, posto che dormisse. È stato forte, davvero. E ha cominciato a piangere. Era felice però, gli occhi erano quelli delle foto di cui le dicevo prima.  Io li conoscevo e sapevo quando erano felici. Si riempivano di lacrime che poi rotolavano ordinate lungo le tempie e io le raccoglievo con le dita per evitare che le andassero nelle orecchie dandole fastidio. Io non piangevo perché sapevo che Bimba si sarebbe dispiaciuta e non volevo che andasse via con quel pensiero triste in testa. Ci sono riuscito. Neanche una lacrima, lasciavo che fosse lei a piangere per tutti e due. Poi sono corsi tutti ma aveva già smesso di piangere.
No, sto bene, grazie. Sono in grado di continuare.
Che padre sono stato? Mi piacerebbe dire un buon padre, ma questo dovreste chiederlo alle mie figlie.  Credo iperprotettivo, ansioso, noioso, geloso, retrogrado, burbero, sdolcinato, un padre insomma. Daniela fino a tre anni fa mi accusava anche di essere un po’ partigiano e di tenere più a Bimba che a lei, ma d’altra parte la sorella diceva lo stesso di Daniela e dunque da questa colpa mi assolvo. Dall’incidente in poi le cose sono cambiate e allora sì che ho trascurato Daniela ma lei non me ne vuole per questo. Anzi se capitava che spendessi del tempo con lei, mi diceva: “che ci fai qui, va da Bimba che ha bisogno di te”.
Una meraviglia di sorella. Quando per portare Bimba in giro per il mondo alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla abbiamo finito i soldi ha preteso che vendessimo anche l’appartamento che era destinato a lei. Ecco, questa è la sorella che ha Bimba.
Le nostre chiacchierate?
Solo una palpebra, la sinistra. Non poteva muovere altro. Che strano. Chissà perché una sola, e chissà perché la sinistra. Però poteva piangere da entrambi gli occhi. Lo sapete una ragazza come Bimba come comunica? Devi farle scorrere l’alfabeto davanti agli occhi e lei chiude l’occhio quando il dito si posa sulla lettera giusta. Sapete quella creatura quanto impiegava anche solo per scrivere che ci voleva bene o chiedere di una amica, o per dire al fidanzato che doveva lasciarla e trovare un’altra ragazza che potesse amarlo? No, non credo che lo sappiate, e non credo neanche che vi interessi. Era faticoso però, ve lo assicuro io. 
Con lei?
Sì ne abbiamo parlato. Una volta passammo tutta la notte a parlarne e fu quella la prima volta che mi chiese di lasciarla andare. Sissignora, così diceva fly away, volare via, era più corto in inglese. Mi chiese di mettere in atto la procedura per lasciarla volare via. Non sapeva che con il suo meraviglioso cervello funzionante non avrei mai avuto quella possibilità, ma non glielo dissi. 
Era così stanca, non riusciva a dormire mai. E i medici non potevano darle che sedativi molto blandi.  E lei non riusciva a dormire mai. Poteva solo pensare. E battere una palpebra.
Ogni volta che ho sentito parlare di questi argomenti mi sono chiesto del perché non si prenda quasi mai in esame la prospettiva più importante, l’unica che veramente conta, quella del malato. Si discute di filosofia, della vita, dell’etica religiosa, del diritto all’esistenza, ma di quello che veramente pensa e sente l’ammalato non se ne occupa mai nessuno. Nessuno si chiede di quanto possa essere lungo un giorno, un’ora e forse anche solo un minuto per chi è totalmente immobile in un letto, vigile, pienamente cosciente di un mondo fatto di suoni, movimenti, voci, vita. Con una sola palpebra per parteciparvi.
La scorsa settimana sono arrivato alle 11 invece che alle 8 perché dovevo andare dal dentista. La mattina sono sempre solo perché mia moglie lavora e Daniela è a scuola. Appena mi ha visto ha cominciato a piangere lacrime brutte. Io le riconosco da come le sgorgano fuori, sono quelle di quando è arrabbiata. Mi ha scritto: perché tanti giorni sola? Mamma, Daniela? Quando le ho spiegato ha scritto: matta. Poi mi ha selezionato uno smile sorridente e un cuore.
Se tre ore le sono sembrati giorni quanto sono state lunghe quelle notti?
Daniela?
Non lo so come l’ha presa con lei non ne ho mai parlato. Spero che possa perdonarmi perché l’ho fatto per amore.
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