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Informarsi è un diritto, informarsi bene un dovere.

Informarsi è un diritto, informarsi bene un dovere.

Publié le 30 avr. 2023 Mis à jour le 30 avr. 2023 Technologie
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Informarsi è un diritto, informarsi bene un dovere.

I nostri occhi sono perennemente incollati a display illuminati che lanciano migliaia di stimoli diversi, e mostrano ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, un contenuto diverso.

Con l'avvento di internet ognuno di noi è stato in grado di avere a portata di mano centinaia di migliaia di informazioni.

Eppure quante di esse abbiamo effettivamente utilizzato?

L'era digitale è paradossale.

Viviamo nell'epoca in cui durante una pandemia, l'opinione dei migliori virologi veniva messa in discussione dal cittadino medio che fino al giorno prima non sapeva nemmeno cosa fosse un virus. E probabilmente la sua opinione sarebbe riuscita ad avere un influenza mediatica addirittura superiore all'esperto in settore.

La diffusione dei social network ha quindi messo nelle mani di chiunque un'arma che con un paio di "click" è in grado di lanciare un messaggio al mondo intero.

Proprio per questo è molto semplice diffondere una notizia falsa.

Il fatto che su Facebook il post di un dottore sia affiancato a quello del proprio vicino che invece di medicina non sa nulla, fa perdere un po' la percezione di come invece è fatta la nostra società.

Su questa stessa homepage, accanto al post del dottore rinomato, e del nostro vicino, ci saranno altre centinaia di post, che ogni giorno ci inonderanno di informazioni diverse.

Quante di esse però sono effettivamente vere?

Probabilmente meno della metà.

Sarebbe però poco pratico fare di volta in volta un approfondimento su ogni notizia, quindi si tende a dare per scontato che ciò che il web ci offra, sia effettivamente una verità.

Il problema principale è che manca un'educazione "digitale". Non bisogna pensare però solo ai giovani, considerati da sempre i soggetti deboli e più colpiti da questa "rivoluzione", ma soprattutto agli adulti. Sono questi coloro che dovrebbero dare l'esempio, invece condividono notizie senza pensarci due volte, e si rendono spesso protagonisti di commenti poco carini non realizzando che potenzialmente il mondo intero possa accedere a quel contenuto.

Il mondo intero.

Perché internet ci permette davvero di collegarci a persone di tutto il mondo, e spesso sembra che ce ne dimentichiamo.

Quindi se possiamo avere accesso a così tante notizie, perché la disinformazione è ancora così diffusa?

Pensiamo allora ai nostri classici mezzi di comunicazione, quelli che prima di Instagram e Facebook ci tenevano al corrente di ciò che succedeva: il telegiornale e i giornali cartacei.

Le testate giornalistiche potrebbero benissimo inondarci di notizie poco rilevanti senza distinzione. Eppure sarebbe poco pratico ed efficace. Succede quindi che avviene una pre-selezione e vengono scelte le notizie più accattivanti. Quelle che "vendono di più".

Il giornalista quindi sceglie con cura le notizie da diffondere e soprattutto le parole da usare. Sono proprio queste a fare la differenza.

Prendiamo 2 frasi.

Marito uccide la moglie a coltellate nel Lodigiano ieri sera.

Marito marocchino uccide a coltellate la povera moglie italiana nel lodigiano ieri sera.

Sono quasi identiche vero?

Eppure c'è un dettaglio che ne modifica il significato: viene citata la nazionalità delle parti.

Siamo tutti d'accordo che si tratti di un esempio di titolo di una notizia di cronaca nera. Quello che ci interessa è quindi essere a conoscenza dell'accadimento di questo fatto.

Eppure con il secondo titolo il giornalista medio attira maggiormente l'attenzione.

Perché?

Perché a molti di noi piace questo racconto. 

Sarà quindi pane per i denti di chi vuole confermare i propri pregiudizi. E sarà pane per i denti di molte propagande politiche.

Soffermiamoci ancora sulle informazioni che vengono trasmesse ogni giorni in TV.

Quando sopravviene un fatto di particolare rilevanza, sia esso una guerra, una pandemia, o anche un particolare delitto, sembra non esista altro.

Si parla solo di quello.

Ogni volta la conduttrice di turno inizierà con "continuano i bombardamenti su Kiev", "continuano le indagini sul caso di Tizio", "continua a crescere il numero di malati di Covid". 

 Sembra che non esistano altre notizie.

Ed eccoci quindi ad una situazione che ancora è una volta è paradossale, perché se ancora potremmo avere a disposizione migliaia di notizie, siamo ancora limitati ad un numero ristretto di esse.

Saremo forse coscienti del conflitto tra Russia e Ucraina, ma non di quello nel Kashmir, tantomeno di quello in Sudan.

Il problema più grande è quindi una divisione del mondo in "categoria A" e "categoria B", dove quest'ultima comprenderà tutti coloro i cui diritti sembreranno sempre meno rilevanti.

Se informarsi è quindi un diritto, informarsi bene è invece un dovere, perché quando pensiamo alle stragi del passato, spesso ci viene da dire "ma davvero nessuno sapeva? Nessuno faceva nulla?".

Forse è più semplice giustificare la disinformazione di chi viveva nel passato, ma non lo è giustificare quella del presente, dove invece con un semplice gesto potremmo leggere con cura un articolo e non fermarci al titolo "clickbait".

 

 

 

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